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S. Alfonso Maria de Liguori
Dissertazioni teologiche-morali

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§. 2. Della pena del senso.

 

7. E I. della pena del fuoco. S. Tommaso15 dimostra che questo fuoco dell'inferno è corporeo e materiale; del resto il s. dottore dice ivi che non parla propriamente del fuoco che crucia le anime separate dal corpo, ma di quello che affligge i dannati dopo che saranno risorti col corpo, e lo stesso dice s. Agostino16. Molti autori poi fra gli eretici dissero che il fuoco dell'inferno non è materiale, ma metaforico. Calvino in più luoghi, seguendo Origene, scrisse: Infernum nihil aliud esse nisi conscientiae horror17. E fu seguito da Teodoro Beza, da Lamberto Daneo e da altri. Del resto da più testi delle scritture costa che il fuoco dell'inferno è vero fuoco materiale e corporeo:


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Ignis succensus est in furore meo, et ardebit usque ad inferni novissima1. Devorabit eum ignis qui non succenditur2. Spiega Tirino, non succenditur alimento terreno, sed semel a Deo succensus in aeternum ardebit. Di più: Quis poterit habitare de vobis cum igne devorante3? Di più: Praeparata est enim ab heri Tophet... nutrimenta eius ignis etc. Di più: Vermis eorum non morietur et ignis eorum non extinguetur4. Di più: Dabit enim ignem et vermes in carnes eorum ut urantur et sentiant5. Sed potius timete eum qui potest et animam et corpus perdere in gehennam6. Disse quel ricco dannato: Crucior in hac flamma7. Disse in hac flamma per dinotare che il fuoco dell'inferno è fuoco di diversa sorta, è fuoco fatto apposta per vendicare le ingiurie fatte a Dio dal peccatore co' diletti carnali: Vindicta carnis impii, ignis et vermis8. Fuoco vendicatore che (come scrisse il Savio) qual ministro di Dio tormenterà più o meno il dannato, secondo la misura delle sue colpe: Creatura enim tibi Factori deserviens exardescit in tormentum adversus iniustos9. Dice s. Tomaso10: Ignis ille erit instrumentum divinae iustitiae punientis; onde opera secondo la divina volontà.

 

8. Ma qui si fa la difficoltà: Come il fuoco corporeo può cruciare l'anima ch'è spirituale? La risposta è, che noi non possiamo comprendere come ciò avvenga. S. Agostino11 dice che quantunque noi non arriviamo a capirlo, ben lo sa la divina potenza, onde12 soggiunge: Cur enim non dicamus, quamvis miris, tamen veris modis etiam spiritus incorporeos posse poena corporalis ignis affligi. vale il dire che quando l'anima sta unita al corpo, i moti corporali cagionano il dolore dello spirito, perché sempre ritorna la difficoltà, che i moti materiali non possono operare nell'anima ch'è immateriale; onde sempre bisogna dire che Iddio opera ciò; e siccome quando l'anima è unita col corpo, l'anima è quella che sente il dolore; così anche fa Dio che l'anima senta lo stesso dolore benché sia divisa dal corpo; e così giustamente discorre Giovanni Clerico13.

 

9. Aggiunge poi s. Tommaso14 che i dannati passeranno da un immenso calore ad un grandissimo freddo, senza provarne in tal passaggio alcun refrigerio: Transibunt ex vehementissimo calore ad vehementissimum frigus, sine hoc quod in eis sit aliquod refrigerium. E ciò ben si ricava da Giobbe che lasciò scritto: Ad nimium calorem transeat ab aquis nivium15. Se pure non è vero, com'è più verisimile quel che dice s. Girolamo, che i dannati nel solo fuoco proveranno la pena del calore, del freddo e di tutti gli altri tormenti dell'inferno: In uno igne omnia tormenta sentient damnati in inferno.

 

10. In oltre nella scrittura si fa menzione di alcune altre pene più particolari. Si fa più volte menzione della pena del verme: Vindicta carnis impii ignis et vermis16. Vermis eorum non morietur17. Alcuni padri, come s. Basilio, san Gregorio Nisseno, s. Anselmo18 tengono che questo verme sia materiale, e roda le carni del dannato. Ciò Suarez e Barradio lo stimano probabile, ma il p. Patuzzi e 'l card. Gotti e s. Tommaso19 con s. Ambrogio, s. Girolamo, s. Bernardo e più teologi ed interpreti ben chiari, quasi comunemente dicono che per lo verme s'intende il rimorso di coscienza che s. Gregorio giudica la maggior pena di quelle anime infelici: Nulla est maior afflictio quam conscientia delictorum20. E s. Basilio nel luogo citato n 6 si uniforma alla stessa sentenza, dicendo: Confusio, in qua in aeternum vivent peccatores, horrenda est magis quam tenebrae et ignis; e soggiunge che i dannati semper habituri ob oculos quae in animae memoria permansura sunt; replicando i miseri quelle parole della Sapienza (5. 7): Lassati sumus in via iniquitatis et perditionis, et ambulavimus vias difficiles. Quid nobis profuit superbia? aut divitiarum iactantia quid contulit nobis? Transierunt omnia illa tamquam umbra etc.

 

11. Ai rimorsi di coscienza che in sé patisce il reprobo, si aggiungeranno i rimproveri de' demonj. Quando alcuno commette un errore di gran conseguenza, grande è ancora la pena che ne sente; ma quando poi un altro gli rimprovera spesso l'errore fatto, la pena si rende insopportabile. Questo sarà uno de' tormenti più crudeli de' dannati, il sentirsi rinfacciare da' demonj loro nemici continuamente i loro peccati. Se poi i demonj abbiano


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potestà di tormentare i dannati, siccome possono in questa terra tormentare gli uomini, permettendolo Dio, secondo scrive s. Paolo: Quoniam non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem, sed adversus principes et potestates, adversus mundi rectores tenebrarum harum etc.1. Il ven. Beda in un altro luogo par che lo neghi, ma poi par che l'affermi, scrivendo in s. Luca c. 12 v. 58, dove si dice: Iudex tradat te exactori... donec etiam novissimum minutum reddas. Onde sembra che il demonio ( ch'è l'esattore) esiga e tormenti il reo sinché non termini di pagare. Estio2 assolutamente nega che i demonj dopo il giudizio finale tormentino i corpi de' dannati nell'inferno; ma secondo quel che scrive s. Luca pare più probabile la sentenza contraria.

 

12. In oltre nell'inferno vi è la pena delle tenebre, che ben furono descritte da Giobbe, chiamando l'inferno Terram miseriae et tenebrarum, ubi umbra mortis et nullus ordo, sed sempiternus horror inhabitat3. Alcuni interpretano questo testo per la sepoltura de' morti, ma con più ragione e verità s'interpreta per l'inferno da s. Agostino, s. Girolamo, Beda, s. Bernardo e s. Tommaso, de' quali siegue la sentenza il p. Patuzzi4, e ne rapporta le citazioni. Quanto poi sieno terribili queste tenebre, ben l'esprime l'apostolo s. Giuda nella sua epistola al vers. 17, dove, parlando de' reprobi, dice: Quibus procella tenebrarum servata est in aeternum. Si noti l'espressione, procella tenebrarum, le tenebre dell'inferno compongono una tempesta di tenebre raddoppiate per tormentare i dannati. Dice poi s. Tommaso5. che per loro maggior tormento in quelle tenebre vi sarà tramischiata una certa luce, ma luce maligna e molesta, che farà vedere a quegl'infelici più cose che gli affliggeranno: Ad videndum illa (scrive il santo) quae animam torquere possunt: e fra le altre vedranno la bruttezza degli altri dannati, come dice Domenico Soto.

 

13. Si aggiunge poi a tutte queste pene la pena di non potersi muovere: Ligatis manibus et pedibus, mittite eum in tenebras exteriores6. Scrive nonperò s. Tommaso7, che talvolta il Signore con sua particolar dispensa manda in terra qualche dannato a farsi vedere o sentire per alcun buon fine di utilità o d'istruzione a' viventi. E s. Gregorio e Beda8 narrano che più anime dannate han fatto sapere a' viventi le gran pene che pativano nell'inferno; ed in quel tempo che si fan vedere in questa terra, soffrono le stesse pene che nell'inferno pativano. In oltre i dannati soffrono la pena della puzza che vi sarà nell'inferno: Et de cadaveribus eorum ascendet foetor9. La pena della strettezza che vi sarà per la moltitudine de' dannati, onde continuamente si sentiranno mancare il respiro. Scrive poi s. Matteo 13, 42: Ibi erit fletus et stridor dentium. Vi sarà pianto e stridore di denti: dice s. Tommaso10 in quanto al pianto, che non si può intendere pianto con lagrime, perché dopo il giudizio finale cessa la generazione dell'umore, ch'è la materia delle lagrime. Oltreché il pianto è sfogo agli afflitti, ma nell'inferno non vi è alcuno sfogo per quei miseri disperati; sicché per lo pianto secondo l'angelico s'intende il disturbo interno che affliggerà il dannato, e per lo stridore dei denti spiegano intendersi l'acutezza continua del dolore che farà loro continuamente stridere i denti a nostro modo d'intendere.

 




15 Suppl. q. 97. a. 5.



16 L. 21. de civ. Dei c. 10.



17 Inst. l. 3. c. ult.

1 Deuter. 32. 22.



2 Iob. 20. 26.



3 Isa. 33. 14.



4 Isa. 65. 24.



5 Iudith. 16. 20.



6 Matth. 10. 24.



7 Luc. 16. 24.



8 Eccli. 7. 19.



9 Sap. 16. 24.



10 Suppl. q. 97. a. 3. ad 3.



11 L. 21. de civ. Dei c. 7. et 8.



12 C. 10.



13 In Notis ad l. 3. c. 5. p. Petavii.



14 Par. 5. suppl. q. 97. a. 1. ad 3.



15 Iob. 24. 19.



16 Eccli. 7. 19.



17 Isa. 76.



18 In ps. 3. s. Greg. Niss. Orat. 3. de resur. s. Ansel. in Elucid.



19 Suppl. q. 9. a. 2.



20 In ps. 143.

1 2. Ephes. 6. 12.



2 Dist. ult. §. 6.



3 Iob. 10. 22.



4 De sede inferni l. 2. c. 6. n. 2.



5 Suppl. q. 97. a. 4.



6 Matth. 22. 13.



7 Loc. cit. a. 3.



8 S. Greg. Dial. l. 4. c. 36. 40. et 55. Beda Hist. l. 5.



9 Isa. 34. 3.



10 P. 3. q. 69. a 3.






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