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S. Alfonso Maria de Liguori
Dissertazioni teologiche-morali

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§. 3. Della pena del danno.

 

14. Un certo autore scrive, ma con poco fondamento, che la pena del danno è uguale a tutti i reprobi; questa proposizione non mi pare probabile, ma molto più probabile, anzi più vera sembra la sentenza di Scoto, di Domenico Soto, di Giovan Maggiore, di Silvio e di B. Medina con Corrado e l'Abulense; poiché, sebbene egualmente tutti i dannati son privi di Dio, nondimeno questa pena affliggerà ciascun dannato secondo la misura delle sue colpe, e secondo la cognizione che avrà nell'inferno di Dio perduto. Come mai può credersi che tanto sarà afflitto uno che ha perduto Dio per un sol peccato mortale, quanto chi l'ha perduto per cento? come tanto proverà questa pena chi è stato per un giorno in peccato, quanto chi vi è stato per un anno? Siccome in cielo più goderà Dio chi più l'ha amato in questa vita, conoscendo l'immenso bene che allora possiede; così maggiormente si attristerà quel dannato che più ha disprezzato Dio, conoscendo maggiormente il gran bene che ha perduto. Né osta quel che dice s. Tommaso11, che la privazione della vista di Dio è uguale in tutti i dannati, perché la pena del danno non solo sta nel privarlo di vedere Dio, ma principalmente consiste nel separarlo


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dall'amore verso Dio; e questa separazione è quella, in cui consiste la pena essenziale dell'inferno, come scrive s. Tomaso chiaramente in altro luogo: Poena essentialis consistit in separatione a Deo, et dolore exinde proveniente1.

 

15. Ecco come s. Tommaso descrive appieno la felicità del beato e l'infelicità del dannato: l'uomo (dice) in quanto all'intelletto trova il pieno suo gaudio nella vista di Dio, ed in quanto all'amore trova il suo pieno contento nell'avere per sempre unita la sua volontà all'infinita bontà di Dio. E così all'incontro l'infelicità del dannato sta nell'esser privato d'ogni lume divino, e nel tenere il suo affetto ostinatamente contrario alla divina bontà: ecco le parole del maestro angelico: Ultima autem hominis felicitas quantum ad intellectum consistit in plena Dei visione; quantum ad affectum vero in hoc, quod voluntas hominis in prima bonitate sit immobiliter firmata. Erit igitur extrema miseria hominis in hoc, quod intellectus totaliter divino lumine privetur, et affectus a Dei bonitate obstinate avertatur2. Ed altrove3 scrive che quantunque la pena del fuoco è la più terribile, nulladimeno Separatio a Deo est poena maior, quam ignis supplicium.

 

16. In somma Dio è quello che fa il paradiso, mentr'esso è ogni bene, come disse a Mosè, parlando appunto di se stesso: Ostendam tibi omne bonum4. Questa fu tutta la promessa che fece ad Abramo per ricompensa de' suoi meriti: Ego ero merces tua, magna nimis5. E qual maggior mercede potea promettergli che se stesso, il quale è quel bene in quo sunt omnia bona?

 

17. E Dio è quello che fa l'inferno, dice s. Bernardo: Est et turpium poena Deus6. Siccome il beato è felice perché Dio è suo, ed egli è di Dio; così il reprobo è infelice perché egli non è più di Dio, e Dio non è più suo. Questa è la minaccia fatta dal Signore a coloro che ricusano in questa vita di esser suoi: Voca nomen eius: Non populus meus; quia vos non populus meus, et ego non ero vester7. Ecco dunque dove consiste in quella prima parola, che Gesù C. proferirà contro i suoi nemici, Discedite a me in aeternum: questa eterna separazione da Dio formerà l'inferno del dannato. Al presente i peccatori accecati dai beni apparenti di questa terra, eleggono di viver lontani da Dio, gli voltano le spalle, e se Dio vuol entrar nel loro cuore con distaccarne il peccato, perché Dio non può stare col peccato, non si arrossiscono di ributtarlo con dirgli: Recede a nobis, et scientiam viarum tuarum nolumus8. Non vogliamo seguir le tue vie, ma le nostre, le nostre passioni, i nostri piaceri. Et multi de his qui dormiunt in terrae pulvere, evigilabunt, alii in vitam aeternam, alii in opprobrium, ut videant semper9. Dormono ora gli infelici nella polvere che gli accieca, ma allora contro loro voglia si sveglieranno, e conosceranno il gran bene che han voluto perdere perdendo Dio; e questa sarà la spada che maggiormente li trafiggerà; l'aver perduto Dio, ed averlo volontariamente perduto. Miseri! ora cercano di scordarsi di Dio, ma giunti all'inferno non potranno far di mano di non sempre pensare a Dio per loro pena!

 

18. Scrive s. Agostino che i dannati nell'inferno con immenso dolore saran forzati a non pensare ad altro che a Dio: Nimio dolore premuntur; ut interim mentem in aliam cogitationem non ferant. E s. Bonaventura10, seguendo questo sentimento di s. Agostino, dice che i dannati da niun pensiero saran così tormentati, quanto dal pensiero di Dio. Il Signore darà loro una cognizioneviva della maestà di Dio offeso, e della sua bontà disprezzata, ed in conseguenza della gran pena meritata per tale delitto, che questa cognizione loro apporterà maggior pena che tutte le altre pene dell'inferno. Sta scritto in Ezechiele: Quasi aspectus crystalli horribilis, et extenti super capita eorum desuper11. Spiega un autore12, e dice che al dannato starà di continuo presente un cristallo, o sia specchio orribile, in cui per mezzo di un lume funesto vedrà da una parte il gran bene che ha perduto, perdendo volontariamente la divina grazia; e dall'altra parte vedrà la faccia di Dio giustamente adirata; e questo tormento sopravanzerà a mille doppj tutte le altre pene dell'inferno.

 

19. Su questo medesimo punto il Gaetano su quelle parole di Davide: Convertantur peccatores in infernum omnes gentes, quae obliviscuntur Deum13; scrisse che ivi il profeta non parlò della conversione del cuore, ma della mente de' peccatori, spiegando, che siccome i


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peccatori in questa vita non voglion pensare a Dio, per non ritirarsi dalle loro passioni in questa vita, così nell'inferno saran costretti a loro dispetto, e per loro giusta pena, a pensare continuamente a Dio. Vorrebbero essi dimenticarsi affatto di Dio, ma dice il Gaetano: Retinebitur intellectus eorum ad cogitandum1. Dice che saranno costretti a pensare sempre a Dio, e con ciò a ricordarsi di tutti i beneficj da lui ricevuti e delle offese fattegli, per le quali sono stati in eterno separati da Dio.

 




11 P. 3. q. 71. a. 3. ad 1.

1 De malo a. 2. ad 8.



2 Opusc. 2. c. 174.



3 Ibid. c. 3.



4 Exod. 33. 19.



5 Gen. 15. 1.



6 L. 5. de consid. c. 32.



7 Oseae 1. 9.



8 Iob. 21. 14.



9 Dan. 12. 2.



10 In 3. dist. 1.



11 Ezech. 1. 22.



12 F. Zach. Laselv. ann. apost. fer. 6. post. dom. 2. quadr. p. 1.



13 Ps. 9. 18.

1 Caietan. in c. 25. Matth.






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