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S. Alfonso Maria de Liguori
Evidenza della Fede

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CAP. IV. Seguita la stessa materia.

Quindi bisogna dire a questi novelli maestri di fede quel che dicea Tertulliano a' novatori de' suoi tempi: Qui estis vos? quando et unde6? Diteci, Lutero Zuinglio, Calvino, Socino, chi siete voi? donde siete venuti? Voi eravate


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già nella chiesa romana: da quella chi v'ha mandati a predicare queste nuove dottrine che avete sparse? Dice l'apostolo che ogni predicazione bisogna che sia approvata dalla legittima missione: Quomodo praedicabunt, nisi mittantur?

È vero che la missione può essere di due sorte, ordinaria e straordinaria. Può darsi la missione straordinaria, come fu quella di s. Paolo, ma una tal missione non sarà mai stimata legittima, se non è comprovata da una rara santità di vita, ed insieme da' miracoli. Tale fu la missione di s. Paolo il quale perciò scrisse: Tametsi nihil sum, signa tamen apostolatus mei facta sunt super vos in omni patientia, in signis et prodigiis et virtutibus1. E tale dovea essere ancora la missione dei capi delle sette contrarie alla chiesa romana, cioè dovea essere accompagnata da una gran santità di vita e da' miracoli. Ma in quanto alla vita santa, noi vediamo che gli eresiarchi, e specialmente questi ultimi del settentrione han fatta una vita indegna non solo di cristiano, ma anche di uomo, e così hanno insegnato a vivere anche agli altri. In quanto poi a' miracoli, dicea di loro Erasmo (nel suo trattato de libero arbitrio): In quibus nec est sanctimonia, nec miracula, ut qui nec caudam quidem equi sanare queant. È celebre il miracolo che fece Lutero in Vittemberga, come narra Federico Stafilo, prima luterano, e poi convertito alla fede cattolica, il quale vi si trovò presente e lo vide co' propri occhi. Egli nel suo scritto intitolato Responsio contra Iac. Smidelin. pag.404 scrive così: «Fu condotta da Misna una figliuola indemoniata a Lutero, acciò fosse da lui liberata. Egli la fece condurre nella sagrestia della chiesa, e cominciò ad esorcizzare il demonio, non come usa la chiesa cattolica, ma a modo suo. Il demonio, non solo non l'ubbidì, ma lo riempì di spavento; onde Lutero cercò di uscire subito da quella stanza, ma lo spirito maligno chiuse le porte. Lutero corse alla finestra, affin di uscire almeno per quella, ma anche la trovò chiusa con ferri. In fine fu somministrata di fuori una scure, ed io, come più giovane e robusto, con quella feci in pezzi la porta, e così scappammo.» Più funesto fu il miracolo che fece Calvino, come scrive Girolamo Bolzech2, che disse così: «Un certo nominato Bruleo, essendo povero, ricorse a Calvino, il quale promise di sovvenirlo, purché avesse egli fatta una cosa che da lui volea. La cosa era ch'egli si fingesse morto, e che alla voce poi d'esso Calvino, avesse dimostrato di risuscitare. Ubbidì il povero Bruleo, ma che avvenne? quando Calvino gridò: Bruleo in nome di Gesù Cristo alzati, quel misero non fece moto; replicò Calvino il comando, e Bruleo non si movea. Finalmente andò la moglie a scuoterlo e lo trovò veramente morto; ond'ella piangendo poi, e gridando ad alta voce, cominciò a raccontare in pubblico il fatto com'era andato

Posto dunque che la missione di cotesti nuovi istitutori di religione non è stata straordinaria, perché destituta della santità della vita e de' miracoli; dovrebbero essi provare che la loro missione è stata almeno ordinaria. La missione ordinaria è quando il sommo pontefice per tutto il mondo, o pure i vescovi per le loro diocesi mandano sacerdoti a propagar la fede ne' popoli. Ma i novatori, come possono appropriarsi questa missione, quando essi, separandosi da' vescovi e dal capo della chiesa romana, qual è il papa, sono usciti a predicare e piantare una religione tutta opposta a quella che la chiesa romana professa? Se dunque (torniamo a replicare il detto di sopra) la chiesa romana è stata la prima fondata da Gesù Cristo e stabilita dagli apostoli, e tutte le altre società separandosi da lei, da lei sono uscite; dunque tutte son false e scismatiche, e la sola romana è la vera chiesa di Gesù Cristo.

Sì (dicono i protestanti) è stata vera un tempo la chiesa romana, ma poi è mancata dopo tre o quattro secoli, o


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(come dicono altri) dopo cinque secoli, cadendo in errori: e così si estinse, e Lutero la ristabilì. Ecco come parla l'eretico Gerardo: Certum quidem est ecclesiam antiquam primis quingentis annis veram fuisse et apostolicam doctrinam tenuisse1. Ma rispondiamo che la vera chiesa non piò mancare, come ci assicurano le scritture in tanti luoghi. Ecco quel che disse il nostro Redentore a s. Pietro: Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam; et portae inferi non praevalebunt adversus eam2. Ed un'altra volta gli disse: Ego autem rogavi pro te, ut non deficiat fides tua3. Un'altra volta disse poi a tutti i suoi discepoli: Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi4. Inoltre l'apostolo scrisse che la chiesa di Dio è la colonna e base della verità; Scias quomodo oporteat te in domo Dei conversari, quae est ecclesiae Dei vivi columna et firmamentum veritatis5. Or, se la chiesa fondata da Gesù Cristo, secondo le sue promesse, non potrà mai essere abbattuta dall'inferno; se il Redentore l'assiste e l'assisterà sino alla fine del mondo; se ella è la colonna e base della verità; se ella in somma non può venir meno: dunque se la chiesa romana senza dubbio è la prima fondata da Gesù Cristo, posto che sia stata vera una volta, dee tenersi che sempre è stata e sempre sarà vera. Con questo argomento s. Agostino6 confutò i donatisti, i quali parimente dicevano essere a' loro tempi mancata la chiesa.

vale opporre che la chiesa mancò a tempo de' concilj di Arimino e di Sirmio, ne' quali così i vescovi, come Liberio papa caddero nell'eresia ariana, sottoscrivendo la formola di fede, che teneano gli ariani; perché non è vero ch'essi fossero caduti nell'eresia, mentre il fatto fu così, come riferiscono s. Atanasio, s. Ilario, s. Girolamo, Severo, Sulpizio e Teodoreto: fu data allora a sottoscrivere ai vescovi cattolici ed a Liberio la formola di fede sirmiense, in cui benché non si contenesse errore alcuno (giacché ivi diceasi che il Figliuolo non era creatura come le altre); nondimeno vi mancava l'espressione del concilio niceno, che fosse consostanziale al Padre, e vero Dio come il Padre. E qui fu l'inganno, con cui Valente capo degli ariani indusse il papa e gli altri vescovi cattolici a sottoscrivere la formola, promettendo fraudolentemente, che poi vi si sarebbero aggiunte tutte le espressioni che avessero giudicate opportune; e con questa promessa Liberio ed i vescovi cattolici, e per liberarsi ancora da' maltrattamenti che soffrivano in Arimino dagli ariani, e specialmente dall'imperator Costanzo, sottoscrissero la formola. È vero che in ciò colparono per negligenza e debolezza, ma non è già che fossero caduti nell'errore di Ario. Tanto è vero che eglino avvedutisi poi della loro mancanza, si protestarono con pubblici manifesti di non aver mai inteso di scostarsi dalla fede nicena; e Liberio espressamente rivocò quanto avea sottoscritto.

Dicansi gli eretici moderni quel che vogliono, non potranno mai negare che se la chiesa cattolica è stata vera una volta, secondo le promesse di Gesù Cristo, non può ella cessare mai di esser vera.

Stretti pertanto da quest'argomento han trovata l'invenzione di dire che sia mancata la chiesa visibile, ma non l'invisibile: asserendo che la chiesa costa de' soli predestinati, come vogliono i calvinisti, o de' soli giusti, come vogliono i confessionisti: cose tutte contrarie agli evangelj, dove abbiamo che la chiesa militante è composta di giusti e peccatori: e perciò ella è figurata ora all'aia dove vi è frumento e paglia, ora alla rete che ritiene pesci d'ogni genere, ora al campo dove vi è grano e zizzania. Dicono i novatori: almeno non è necessario che la chiesa sia sempre visibile. Ma primieramente ciò dovrebbero provarlo, e non lo provano.


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Giovan Batista Croffio (come riferisce il p. Pichler nella sua teologia dogmatica) palesò in una scrittura data fuori nell'anno 1695 aver pregato più volte i predicanti ad additargli qualche testo di scrittura, dove s'indicasse questa chiesa invisibile, e non averlo potuto ottenere. Quandoché all'incontro è chiaro dal vangelo, che la chiesa non può essere invisibile: Non potest abscondi civitas supra montem posita1. Siccome (dice il Signore) una città posta sopra d'un monte non può esser celata agli occhi di chi vi passa, così la chiesa non può esser nascosta agli uomini che vivono in questa terra. Come potea parlar più chiaro Gesù Cristo? Quindi abbiamo, che il medesimo Salvatore disse a s. Pietro: Et tibi dabo claves regni coelorum; et quodcumque ligaveris super terram erit ligatum et in coelis; et quod solveris super terram erit solutum et in coelis2. Per qualunque cosa che qui s'intenda il ligare e lo sciogliere, o per assoluzione sagramentale (come l'intendono i cattolici), o per le censure, o per la predicazione (come l'intendono gli eretici), tutti senza dubbio sono ministerj esterni della chiesa visibili e patenti, sicché, come scrisse monsignor Bossuet nella sua conferenza avuta col signor Claudio, e data poi alle stampe, quella fu dichiarata vera chiesa di Gesù Cristo, che confessa Gesù Cristo esternamente, e che esercita il ministero esterno delle chiavi.

Che poi la chiesa fosse visibile in ogni tempo, è stato e sarà sempre necessario, acciocché ognuno in ogni tempo possa apprendere la vera dottrina da' pastori ecclesiastici, ricevere i sagramenti, ed esser indirizzato per la buona via, se mai ha errato. Altrimenti, se in qualche tempo la chiesa fosse nascosta ed invisibile, a chi allora dovrebbero gli uomini ricorrere per sapere ciò che han da credere ed operare per conseguir l'eterna salute? Quomodo credent ei (dice s. Paolo) quem non audierunt? Quomodo autem audient sine praedicante3? Di più scrisse il medesimo apostolo agli ebrei: Obedite praepositis vestris, et subiacete eis: ipsi enim pervigilant, quasi rationem pro animabus vestris reddituri4. Or come potrebbero i fedeli osservar questa ubbidienza ai loro prelati, se la chiesa fosse nascosta, sicché non potessero conoscere chi fossero i loro prelati? Quindi scrisse lo stesso s. Paolo che il Signore ha posti visibilmente nella sua chiesa i pastori e i dottori, acciocché non restiamo ingannati da' falsi maestri che insegnano errori: Et ipse dedit quosdam apostolos... alios autem pastores et doctores etc. ut iam non simus parvuli fluctuantes, et non circumferamur omni vento doctrinae in nequitia hominum, in astutia ad circumventionem erroris5.

Replicano i protestanti, non esservi bisogno di ricorrere a' ministri della chiesa per intender da essi i veri dogmi della fede, poiché tutte le verità che dobbiam credere, ben si ritrovano nelle divine scritture. Ma primieramente rispondiamo che senza l'autorità della chiesa chi mai ci assicura delle vere scritture? Quante scritture sono state già dichiarate come false ed apocrife, come gli evangelj di s. Paolo, di s. Pietro, di s. Tommaso, di s. Mattia; di più il salmo 151., il terzo e quarto libro de' Maccabei, l'orazione del re Manasse e simili altre scritture! Ed infatti Lutero nega il libro di Giobbe, l'Ecclesiaste, l'epistola di s. Paolo agli ebrei e quella di s. Giacomo; ma all'incontro tutte queste scritture le ammette Calvino per vere e divine. E poi supposto che si parli delle vere scritture, chi può assicurarci del vero lor senso? Le parole del sagramento dell'eucaristia, Hoc est corpus meum, Lutero l'intende realmente del corpo di Gesù Cristo; per contrario Zuinglio e Calvino l'intendono figuratamente: e così discordano essi in molte altre cose, come di sopra abbiam veduto, con tutto che questi maestri di novella fede vantansi


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di fondar tutte le loro dottrine nelle divine scritture. Come dunque possiamo noi sapere tutte le verità della fede, dalle sole scritture, in cui molte cose sono oscure, se la chiesa non ci ammaestra del vero lor senso?

Replicano gli eretici, e dicono che ogni uomo è illuminato dallo Spirito santo ad intendere il vero senso delle scritture. Ma noi di nuovo rispondiamo: se tutta la chiesa primitiva (come essi dicono) ha potuto errare nell'intender malamente le divine scritture, quanto più (diciamo noi) può errare ciascun uomo particolare? E poi, chi mai assicura quest'uomo, che non erri nel senso ch'esso giudica vero delle scritture? Come abbiam notato di sopra, Lutero per le parole Hoc est corpus meum, tenne per fede la realtà del corpo di Gesù Cristo nell'eucaristia; ma Calvino e Zuinglio ciò lo condannarono per idolatria. Si dimanda, chi di costoro fu illuminato dallo Spirito santo, Lutero o Calvino? tenendo l'uno per fede quel che l'altro condanna per idolatria. È certo che tutti gli eretici han fondati i loro errori sopra le divine scritture, applicandole malamente; ma la santa chiesa poi, ch'è la vera maestra della fede, illuminata dallo Spirito santo gli ha condannati per eresie. Quindi dicea s. Agostino: Evangelio non crederem nisi me catholicae ecclesiae commoveret auctoritas1.

I dogmi della fede debbono esser certi; e perché circa di essi doveano insorgere mille dubbj nelle menti dei fedeli, perciò il Signore stabilì nella s. chiesa un giudice infallibile, qual è il suo vicario, il pontefice della chiesa romana, il quale o per sé o per li concilj da lui approvati, con certezza infallibile definisse i veri dogmi da credere e gli errori da riprovare, e così i fedeli avessero una regola certa a cui attenersi. Ma questa regolafacile e sì sicura non l'hanno già gli eretici; poiché essi non hanno giudice infallibile, al quale debbano cattivare i loro particolari giudizj circa il senso della stessa scrittura, che tengono per loro giudice. Dal che poi ne avviene che negli stessi loro sinodi provinciali, o nazionali destinati a decidere i loro dubbj, restano discordi e divisi. Monsig. Bossuet nella sua mentovata conferenza avuta col sig. Claudio, scrive, che nel libro della disciplina della religion pretesa riformata vi sono due atti; nel primo si legge così: Che le quistioni di dottrina sarebbero terminate colla parola di Dio (se si può) nel concistoro; quando no, l'affare sarebbe portato al colloquio, indi al sinodo provinciale, e per ultimo al nazionale, in cui si farebbe la final risoluzione colla parola di Dio; alla quale, se alcuno ricusasse di acchetarsi in tutti i punti, e con espressa abiura de' proprj errori, sarebbe smembrato dalla chiesa. Il secondo atto era la condanna degl'indipendenti, i quali diceano che ciascuna chiesa dovea governarsi da se stessa, senza veruna dipendenza da chi si sia. Questa proposizione fu condannata nel sinodo di Charenton, come pregiudiziale alla vera chiesa, e che dava libertà di formare tante religioni, quante parrocchie. Sicché ancora i protestanti, come ben riflette monsig. Bossuet, riconoscono questa verità, che non basta la sola divina parola ad assicurarli nella credenza, ma ch'è necessario soggettarsi al giudizio della chiesa, che loro spieghi il senso vero delle scritture; altrimenti sempre sarebbe rimasta la porta aperta a stabilire tante religioni, quante sono, non solo le parrocchie, ma anche le teste degli uomini.

Finché dunque gli eretici non trovino una regola stabile che li assicuri con certezza di fede del vero senso delle scritture, essi non possono mai aver certa regola di fede. Ond'è che questi evangelici riformatori stanno sempre in continua discrepanza, non solo colle altre chiese riformate, ma anche tra di loro stessi. Quindi confessò il celebre Puffendorfio protestante: Pontificiorum melior est conditio quam protestantium; illi pontificem ecclesiae ut caput omnes


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agnoscunt; protestantes contra capite destituti fluctuant foede lacerati, et discerpti. Ad suum unaquaeque respublica arbitrium omnia administrat et moderatur1. Per tanto saggiamente dice un dotto autore2 che per convincere gli eretici non v'è strada più breve e più accertata, che il far loro vedere ch'essi stan fuori della chiesa, e che nella lor religione non hanno né possono avere regola di fede: perché provato ciò, vengon già provati per errori tutti i loro dogmi che sono riprovati dalla chiesa cattolica. Per concludere questo punto e stringere l'argomento, diciamo dunque così: o la chiesa cattolica poteva errare, o non poteva errare: se non poteva errare, falsamente dicono che ha errato: se poi poteva errare, è necessario che assegnino un giudice infallibile che ci assicuri delle verità che debbon credersi e degli errori che debbon detestarsi. Questo giudice non può esser la scrittura, perché può ella avere diversi sensi, e non essendovi giudice che ne definisca infallibilmente il senso vero, vi sarebbero tante religioni, quante sono le opinioni degli uomini. Sicché se non vi fosse un giudice infallibile per tutti, quale noi teniamo essere il pontefice romano, non potrebbe mai esservi al mondovera chiesavera fede.

Il calvinista Iurieu convinto appunto da questa verità e vedendo non potersi negare che la vera chiesa di Gesù Cristo non può risedere tra le società separate dalla chiesa romana, che è la più antica di tutte, ha inventato un nuovo sistema, il quale al presente è stato abbracciato specialmente dalle sette calviniste: dicendo che tutte le società che non discordano ne' punti fondamentali, elle non sono già uscite dalla chiesa romana, ma sono la chiesa medesima. Siccome (dice) nella chiesa romana vi son diverse sentenze secondo le diverse scuole de' tomisti, scotisti, agostiniani, e d'altri; e con tutto ciò professano la stessa fede: così tra noi la fede e la chiesa è la stessa, benché diversi siano i canoni e le discipline. Ma noi rispondiamo: È vero che fra' cattolici vi sono diverse scuole e diverse sentenze; non però le loro questioni si aggirano solamente circa alcuni punti non definiti dalla chiesa; ma tutte convengono poi circa i dogmi o siano articoli principali di fede, e dalla chiesa già decisi. Per esempio tutte le scuole confessano la necessità della grazia ad ogni atto buono e la libertà dell'arbitrio nell'uomo; cose che noi teniamo per articoli di fede: come poi sia efficace la grazia, se per la previsione del libero consenso umano o efficace per se stessa: se poi quest'efficacia sia nella predeterminazione fisica, o nella dilettazione vittrice relativa, o vittrice morale; queste son controversie non ancora decise, e che non si oppongono alla fede.

Ma vediamo pure quali sono i punti che il sig. Iurieu tiene per soli fondamentali. Egli non li spiega o li spiega troppo confusamente dicendo: Articolo fondamentale è quello, da cui dipende la rovina della gloria di Dio e 'l distruggimento dell'ultimo fine dell'uomo. Onde per quel che può ricavarsi da' suoi scritti, i punti fondamentali sono quattro, il mistero della Trinità, il mistero dell'incarnazione, il premio eterno de' giusti, e la pena eterna dei peccatori dopo la presente vita. Ma noi diciamo, che oltre a cotesti articoli, tutti gli altri proposti dalla chiesa, come di fede, tutti debbono credersi fermamente da' fedeli con uguale assenso; e perciò le sette discordanti nella credenza di tali articoli sono state sempre giudicate come separate dalla chiesa cattolica, così dai padri, come da' concilj, e specialmente dal niceno I. can. 8., dal costantinopolitano I. can. 6., e costantinopolitano II. act. 3. Quindi s. Vittore papa nel secolo II. separò dalla comunione della chiesa romana gli asiatici, detti quartadecimani, che volevano celebrar la pasqua nel giorno decimoquarto della luna di marzo o nella Domenica seguente. Nel cartaginese II.


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furono condannati i novaziani che negavano la remissione a' caduti nelle persecuzioni. Nel costantinopolitano II. furono separati dalla chiesa quei che dicevano essere state l'anime prodotte prima della formazion de' corpi, can. 1.: e quei che diceano che i cieli e le stelle erano animate, can. 6. In oltre noi leggiamo nel vangelo di s. Matteo1: Si ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus. Basta dunque il non voler sentire le definizioni della chiesa per esser fuori della chiesa, la quale (dice s. Paolo) non essendo che un solo corpo, non può avere che un solo spirito2.

Ma dice Iurieu: Il distinguere i punti fondamentali da' non fondamentali è una questione spinosa e difficile a risolversi. Di più dice: Non appartiene alla chiesa il definire quali siano i punti fondamentali, ma sono eglino tali di lor natura. Ma chi, dimandiamo, definirà quali punti son fondamentali e quali no? il giudizio forse privato di ciascheduno? Ma se dovesse esser così quante definizioni contrarie vi sarebbero? mille. Ed ecco allora tante chiese, quante sono le definizioni diverse de' punti. No (replica il Iurieu) non appartiene ad alcuno il definire quali punti di fede siano fondamentali, poiché questi punti fondamentali son tali di lor natura. Ma se son tali di lor natura, perché egli dice poi che il distinguere i punti fondamentali da' non fondamentali è una questione spinosa e difficile a risolversi? E chi definirà quali sieno questi punti fondamentali di lor natura? Questi punti fondamentali di lor natura o son manifesti da sé, o sono oscuri: se sono manifesti, essi non debbono esser soggetto di quistione spinosa e difficile; o sono oscuri, ed han bisogno di definizione.

Da tutto ciò che si è detto si vede quanto è insufficiente questo nuovo sistema del Iurieu, nuovo a tutti gli stessi protestanti; i quali prima di lui, non già si son chiamati uniti alla chiesa romana, ma più presto si son vantati d'essersi da lei separati, per esser ella dopo il secolo quarto o quinto divenuta chiesa adultera (come diceano), e sede dell'Anticristo, infetta di errori e d'idolatrie. In oltre come il sig. Iurieu può dire che le loro chiese riformate sieno una sola e medesima chiesa, che professa la medesima fede; quando sappiamo che i teologi di Zurigo nella prefazione apologetica diretta alle chiese riformate nel 1578. asseriscono che tra loro vi erano più controversie circa i punti fondamentali, come d'intorno alla persona di Gesù Cristo, circa l'unione e distinzione delle due nature divina ed umana, ed altre simili? Indi soggiungono che le loro discordie erano giunte a segno, che si erano tra essi ripigliate molte eresie che prima erano state già condannate. Ecco le loro parole: Tanto furore contenditur, ut non paucae veterum haereses quae olim damnatae fuerant, quasi ab inferis revocatae caput attollant. Di più Giovanni Sturmio protestante, parlando similmente delle controversie che v'erano tra le loro chiese, dice: Praecipui articuli in dubium vocantur, multae haereses in ecclesiam Christi invehuntur, plana ad atheismum paratur via. E questo autore può dirsi profeta, perché oggidì buona parte de' protestanti sono caduti in ateismo, siccome si scorge da' libri che continuamente caccian fuori; poiché in verità col tempo le cose si sono ben discifrate, sì che i medesimi protestanti han conosciuta l'insussistenza del lor sistema e dottrina; onde han cercato poi di abbandonarsi all'estremo dell'ateismo o sia materialismo, con negare ogni massima di fede e dire che ogni cosa è materia: e perciò si avanzano a dire che non vi è né Dioanima né altra vita per noi, che la presente; e così han cercato di liberarsi da ogni rimorso nella vita brutale che menano. Ma per quanto pensano e faticano, affin di rimuover dalle loro coscienze questo rimorso, sarà sempre impossibile che vi arrivino. Al più che potranno giungere, sarà di mettersi a dubitare se vi è Dio e vita eterna; ma il pienamente


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persuaderselo non e ne sarà mai loro possibile; perché la stessa ragion naturale ci detta che v'è un Dio creatore del tutto e giusto rimuneratore; e che l'anime nostre sono eterne ed immortali. Pretendono gl'infelici di trovar pace col dubitare se v'è Dio, per non avere alcun censore e punitore delle loro iniquità; ma con tutto il lor dubitare non troveranno mai questa pace, perché non mai potranno assicurarsi che Dio non vi sia; e 'l solo dubbio che vi sia seguirà a tormentarli sempre col timore della divina vendetta.

Ma ritorniamo al punto. Al detto dunque di essi medesimi novatori mettonsi in dubbio tra loro anche gli articoli principali della fede. Ed in fatti, come riferisce il cardinal Gotti nella sua dotta opera La vera chiesa1, i luterani riconoscono una persona in Cristo; Calvino e Beza ne mettono due, uniformandosi in ciò a Nestorio. Lutero ed altri discepoli dicono che in Cristo la stessa natura divina patì e morì; ma Beza giustamente riprova questa esecranda bestemmia. Calvino fa Dio autore del peccato, i luterani all'incontro dicono questa esser bestemmia. Lutero dice che Cristo anche secondo l'umanità è in ogni luogo; ma Zuinglio e Calvino ciò lo riprovano. Lutero dice che i bambini, benché muoiano senza battesimo, pure si salvano; ma ciò anche lo nega Calvino. Di più Lutero ammette tre soli sagramenti, battesimo, eucaristia e penitenza; Calvino ammette il battesimo e l'eucaristia, e nega la penitenza; ma poi ammette l'ordine, che nega Lutero: Zuinglio all'incontro nega così la penitenza, come l'ordine, ed ammette solamente il battesimo e la penitenza. Di più Lutero confessa doversi adorare nell'eucaristia la presenza reale di Gesù Cristo, ma Calvino ciò lo chiama un'idolatria. Melantone (a cui si unì poi anche Lutero) dice esser necessarie le opere buone per la salute eterna; ma i calvinisti ciò assolutamente lo negano. Ora dimando, come questi articoli non sono fondamentali, quando dal crederli o negarli, secondo gli stessi riformatori, dipende l'esser noi salvi o dannati? o fedeli o idolatri? Bisogna dunque dire che queste chiese evangeliche nel contraddirsi in tali articoli errano ne' fondamenti, mentre errano circa i mezzi necessarj alla salute, e circa i punti principali della fede. Ed in fatti come abbiam detto di sopra, Calvino chiama i luterani falsarj, empj calunniatori, ed anche idolatri, perché adorano Gesù Cristo nell'eucaristia. E per la stessa ragione Zuinglio (presso il cardinal Gotti nel luogo citato) chiama Lutero seduttore e negatore di Gesù Cristo. All'incontro Lutero chiama gli zuingliani e gli altri sagramentarii sette dannate, bestemmiatori, ed anche eretici, dicendo: Haereticos censemus omnes sacramentarios qui negant corpus Christiore carnali sumi in eucharistia2.




6 De praescript. c. 37.

1 2. Cor. 12.



2 In vita Calvini c. 13.

1 De eccl. c. 11. sect. 6.



2 Matth. 16. 18.



3 Luc. 22. 32.



4 Matth. 28. 19.



5 1. Timoth. 3. 15.



6 Conc. 2. super ps. 101.

1 Matth. c. 5.



2 Matth. 16. 18.



3 Rom. c. 10. 14.



4 Hebr. 13. 17.



5 Ephes. 4. 11.

1 L. contra epist. Manich. c. 5.

1 De Mon. Pont. p. 134.



2 Pich. theol. dogm. contr. 3. de eccl. in Pref.

1 C. 18.



2 Eph. c. 4.

1 C. 8. §. 1. n. 9.



2 Apud Ospin. part. 2. hist. sacr. p. 326.






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