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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione e pratica pei confessori

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Punto II. Dell'obbligo che induce la legge.

18. 19. e 20. Obbligo delle leggi precettive.

21. Se la legge può obbligare agli atti interni.

22. Se con grave incomodo.

23. Se la legge può toglier l'obbligo naturale.

24. e 25. Se dobbiamo rimuovere gl'impedimenti.

26. e 27. Dubbi circa la legge.

28. e 29. Delle leggi penali, spirituali, privative, ed inabilitanti.

30. Delle fondate in falsa presunzione.

31. Delle convenzionali.

32. Se sia necessaria la carità.

33. Se l'intenzione.

34. e 35. Se possa soddisfarsi a più precetti con più atti, o con un solo.

36. Se vi sono diversi precetti sulla stessa materia.

18. Bisogna distinguere le leggi precettive dalle penali. Le penali son quelle che non obbligano a colpa, ma alla sola pena ingiunta. Le precettive poi obbligano a colpa, ed in coscienza; o ch'elle siano ecclesiastiche, o sieno civili, purché queste non sieno state corrette dalla legge canonica; come si è provato nella nostra morale1. Le leggi miste poi son quelle che obbligano così alla colpa come alla pena; ma queste si annoverano anche tra le precettive. Onde qui parleremo per I. delle leggi precettive, per II. delle penali, per III. del modo come debbonsi osservare le leggi. E per I. parlando della legge precettiva, ella obbliga secondo è la materia, grave, o leggiera. Può non però il legislatore, secondo la sentenza più probabile, anche in materia grave obbligare solamente sotto colpa leggiera2. Ma non può in materia leggiera obbligare sotto colpa grave, se non fosse grave il fine intento, o che la trasgressione si rendesse grave per ragion di scandalo, o di danno comune, o del disprezzo della legge: il quale disprezzo è sempre colpa grave, quando egli è formale, cioè quando alcuno in tanto trasgredisce la legge in quanto non vuol sottoporsi a quella; ma non quando la violasse per negligenza, o per ira, o per altra sua passione, etiamsi frequenter peccatum iteret, come insegna s. Tommaso 2. 2. q. 186. a. 9. ad 3.3.

19. I segni per giudicare quando la legge obblighi sotto colpa grave, sono 1. Se la materia è grave in sé. 2. Se così l'ha interpretata la consuetudine. 3. Se così significano le parole, v. gr. comandiamo gravemente, o pure in virtù di santa obbedienza, e simili. Del resto le semplici parole ordiniamo, vogliamo, o pure fate, astenetevi e simili, queste sono ambigue, onde dalle circostanze dee argomentarsi se sieno precettive, o esortative. 4. Se al peccato vi s'aggiunge pena grave, come d'esilio perpetuo, o di scomunica, d'irregolarità, d'interdetto ad ogni uso, di sospensione totale o dell'officio, o del beneficio; ma per tempo notabile. Ciò nondimeno s'intende quando le dette censure sono di lata sentenza, non già quando sono di ferenda, secondo l'opinione più probabile4.

20. Si dubita per 1. se in caso che la legge assegna la pena, ed insieme precetta, obblighi allora a colpa. Alcuni lo negano, sempre che non si esprime: ma altri più probabilmente l'affermano, perché questa è la differenza (come già si è detto) tra la legge pura penale, e la legge mista, che quella obbliga alla sola pena, ma questa alla pena, ed alla colpa; altrimenti il legislatore in vano dopo la pena avrebbe ingiunto anche il precetto5.

21. Si dubita per 2. se la legge umana possa comandare gli atti interni. Direttamente non può, perché solo Dio può giudicare dell'interno. Ma ben può indirettamente, quando 'l atto interno dee necessariamente congiungersi coll'esterno, v. gr. ordinando la chiesa la confessione annuale, ordina ancora il pentimento, e proposito, senza cui quella non è confessione: ordinando il matrimonio, ordina ancora il consenso: conferendo al chierico la parrocchia, l'obbliga anche ad aver l'animo di prender il sacerdozio tra l'anno. In quanto poi agli atti esterni, benché occulti, non v'è dubbio che la legge può universalmente comandarli o vietarli benché occulti,


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come l'eresia occultamente esternata, a cui è imposta la scomunica papale; e l'omicidio occulto, a cui è ingiunta l'irregolarità1.

22. Si dubita per 3. Se vi sia obbligo di osservar la legge umana con grave danno, o incomodo. Comunemente insegnano i dd. che no; eccetto che in due casi. 1. Se l'osservanza della legge è moralmente necessaria al ben pubblico, il quale dee preferirsi al bene temporale privato. 2. Se la trasgressione della legge ridondasse in disprezzo della fede, o della chiesa: così comunemente i dd.2.

23. Si dubita per 4. Se la legge umana possa togliere l'obbligo naturale, com'è la legge che irrita i testamenti, o contratti fatti senza le solennità, o pure la legge che disobbliga il figlio di famiglia a pagare il mutuo di pecunia. E diciamo, che sì colla sentenza più probabile di Sanch., Castrop., Salmat. ecc., perché la legge umana per ragion del ben comune ha la podestà da Dio medesimo di trasferire il dominio delle cose, benché la contraria anche è probabile3.

24. Si dimanda per 5. Se siamo obbligati a togliere gl'impedimenti prossimi che ostano all'adempimento della legge. Qui si parla della legge umana (perché altrimenti corre della naturale), e bisogna distinguere: l'apporre qualche causa con cui la persona si sottrae dall'obbligo della legge, questo è lecito; onde se oggi in questo luogo è festa, ben puoi andare altrove dove non è festa, ed esimerti dal sentir la messa. L'apporre poi qualche causa che non sottrae la persona, ma solamente la disobbliga dalla legge, ciò non è lecito; onde chi senza giusta causa imprende qualche fatica che poi l'esime dal digiuno, questi pecca, e pecca non solo se fatica a posta per esimersi, ma anche se fatica prevedendo l'esenzione; perché ogni legge esige, che non si metta impedimento alla sua osservanza senza giusta causa. Quest'è la sentenza di s. Tommaso4, e questa seguiamo noi con Laymann, Sanchez, Mazzotta, e Castropal. che la chiama comune, contro i Salmaticesi, ed altri5.

25. Se poi gli scomunicati e carcerati sieno obbligati a procurar l'assoluzione o la libertà, affin di sentir la messa; comunemente dicon di no, perché tali impedimenti son remoti. Ma anche questi peccano, se a questo fine non cercano la liberazione, per non essere tenuti alla messa. Anzi probabilmente dicono Bonacina e Trulenchio, che se facilmente essi potessero esser liberati, neppure sarebbero scusati, perché siamo obbligati con leggiero incomodo a toglier l'impedimento, affin di adempire un precetto grave, ancorché umano6. Senza dubbio poi i sopradetti sono obbligati a procurar la loro liberazione per adempire il precetto pasquale ch'è divino7.

26. Si dubita per 6. Se vi è obbligo di osservar la legge, quando la legge o l'obbligo della legge è dubbio. Si risponde, non esservi obbligo per 1. Quando si dubita se vi sia o no la legge, e fatta la diligenza il dubbio persevera, come si è detto parlando della coscienza al cap. 1. num. 15. e 32. Per 2. quando si dubita se alcuna cosa si comprenda o no nella legge, o pure s'è cominciata o non ancora la di lei obbligazione, come dicono Suarez, Sanchez, Castropal. ed i Salmaticesi con Tapia, Villal. etc.8. E lo stesso dicono i dd. citati, quando si dubita se la legge sia stata promulgata o no9

27. All'incontro dee osservarsi la legge per 1. Quando si dubita s'ella sia stata o no ricevuta; perché costando già della legge, per lei sta il possesso: stando allora anche per lei la presunzione che sia stata accettata, come si dovea. Questa è la sentenza più probabile con Sanchez, Castrop., e Salmaticesi, contro altri10. Per 2. quando si dubita se il legislatore sia legittimo superiore, ma egli sta in possesso della sua giurisdizione.


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Per 3. quando si dubita se 'l superiore ecceda nel comandare, perché il possesso sta per la sua podestà. N'eccettuano Soto, Sanchez, Tapia, Salas, Lopez ecc., quando fosse nociva o molto molesta al suddito la cosa precettata1. Per 4. quando si dubita se la legge sia ingiusta, perché in dubbio il superiore possiede il diritto di precettare2. Ma parimente ciò limitano i dd. comunemente: se 'l precetto è di danno al suddito, o è molto gravoso3. In dubbio poi se la legge contenga precetto o ammonizione, o pure se obblighi alla pena o anche alla colpa, o se alla colpa grave o leggera; in questi dubbi dee starsi sempre per la parte più mite4. Nel dubbio all'incontro se la cosa precettata sia lecita o no, dee certamente ubbidirsi al superiore, come si è detto nel cap. 1. num. 18.

28. Parliamo per II. delle leggi pure penali, le quali obbligano (come dicemmo) non a colpa, ma alla sola pena, siccome sono le leggi che proibiscono il tagliare gli alberi, l'estrarre i viveri, e simili. In ciò dee notarsi, che le pene spirituali di censure, irregolarità, inabilità, impedimento di matrimonio, ecc., quando sono latae sententiae, e non esigono esterna esecuzione, subito ch'è commesso il delitto, s'incorrono in coscienza, avanti ogni sentenza, di giudice, come costa dal cap. Non dubium, de sent. excom., et cap. Significasti, de homic. Lo stesso corre per le pene inabilitanti; e lo stesso per le pene privative di qualche ius acquirendo, purché il reo non fosse obbligato ad eseguir la pena con sua infamia5.

29. Altrimenti poi se la pena è privativa di qualche ius già acquistato, v. gr. del beneficio, dell'elezione, ec., perché allora sempre vi si richiede la sentenza, almeno declaratoria criminis; benché nella legge si dicesse, che la pena s'incorra ipso facto; come si raccoglie dal cap. Secundum, De haer. in 6. E ciò tanto più vale, se la pena è positiva, in dover positivamente restituire, o rinunziare, o patire qualche cosa secondo le leggi, le quali (per esempio per causa di simonia, o di alienazione de' beni beneficiali), privano la persona anche de' benefici prima ottenuti: essendo cosa troppo dura l'essere alcuno obbligato ad eseguire la pena contro se stesso6. Se n'eccettua solamente, se la pena è inabilitante, o sia condizionale sine qua non, com'è la pena imposta dal Tridentino a' parrochi e canonici di non far loro i frutti del beneficio, se non risiedono; o pure la pena de' beneficiati semplici, di non lucrare le rendite, se non recitano l'officio7; così anch'è la pena d'esser privato del beneficio curato, imposta a chi non prende il sacerdozio tra l'anno, come si ha nel cap. Licet, de elect. in 6.

30. Si dimanda qui per 1. Se obbligano in coscienza le leggi penali che si fondano in falsa presunzione. Bisogna distinguere la presunzione detta praesuppositionis; cioè la presupposizione del fatto, dalla presunzione del ius, il quale giudica secondo il fatto presupposto. Se dunque è falsa la presupposizione del fatto, la legge non obbliga; per esempio, se falsamente sia provato in giudizio che 'l tuo animale abbia causato il danno, allora non sei obbligato in coscienza a pagar la pena, e fatta la sentenza di pagare, sebbene devi esternamente eseguirla per evitar lo scandalo, nondimeno puoi occultamente compensarti. Lo stesso vale per l'erede, che per non aver fatto l'inventario è condannato a soddisfare i creditori del defunto, oltre l'asse ereditario, quando in fatti i crediti eccedono l'eredità. Altrimenti poi dee dirsi, se è falsa solamente la presunzione del ius: per esempio se il tuo animale in verità ha fatto il danno, ma è falsa la presunzione che vi sia stata la tua colpa, perché allora sei obbligato a pagar la pena (s'intende dopo la sentenza), perché il fine della legge non solo è di punir la colpa, ma ancora di rendere gli uomini


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diligenti ad evitare il danno alieno1.

31. Si dimanda per 2. se le pene convenzionali apposte ne' contratti, debbonsi pagare prima della sentenza? Altri dicon di sì; altri di no; come Navarro, Lessio, Sanchez, Castropal., Vasquez, etc.; ed i Salmaticesi la chiamano questa seconda sentenza egualmente probabile, per la ragione che ognuno che si obbliga, intende obbligarsi giusta al disposizione delle leggi che non obbligano alle pene se non dopo la sentenza2.

32. Parliamo per III. del modo come debbono osservarsi le leggi. Nel che si noti per 1., che quantunque è necessario all'uomo l'esser in grazia, acciò l'opera sua sia meritoria, nulladimeno non è necessario, ch'abbia la carità a soddisfare a' precetti, v. gr. del digiuno, della messa, dell'officio, e simili: come anche nell'adempire i voti, e la penitenza sagramentale, poiché come insegna s. Tommaso3 cogli altri dottori comunemente, il fine del precetto non cade sotto il precetto: Non enim (parole del s. dottore) idem est finis praecepti, et id de quo praeceptum datur. Onde ben può alcuno soddisfare al precetto del digiuno, facendolo anche per fine non retto, come di avarizia, o vanagloria4.

33. Si noti per 2., che per adempire i precetti è bensì necessaria l'intenzione di fare ciò ch'è precetto; per lo che non soddisfa chi assiste alla messa senz'animo di sentirla5: ma eseguendosi già l'opera, non è necessaria l'intenzione di voler soddisfare il precetto. Sicché se taluno sente la messa nella festa, ben soddisfa, ancorché non sapesse, ché è festa6; anzi ancorché lo sapesse, e non avesse intenzione di soddisfare; o pure soddisfacesse per solo timore del padre, o del padrone; poiché costui quantunque peccherebbe per lo suo mal'animo, non però già soddisferebbe al precetto, con adempirlo in fatti, mentre una tale soddisfazione non dipende dalla propria, ma dalla volontà del superiore: onde quando soddisfa, non può non voler soddisfare, ed imporsi un obbligo, a cui già ha soddisfatto, come saviamente dicono Suarez, Lessio, Tournely, Ponzio, Sanchez, Castropal., Coninch., Busemb., i Salmat. e La Croix con altri comunissimamente7. All'incontro non sarebbe così, se alcuno avendo qualche voto, o giuramento, o penitenza da adempire, mettendo l'opera non avesse intenzione di soddisfare al suo obbligo. S'intende ciò nondimeno, quando ricordandosi del voto ecc. applicasse l'opera ad altro fine; altrimenti pure soddisfa, perché ciascuno generalmente intende sempre di soddisfare prima alle sue obbligazioni, e poi alle cose di supererogazione: così Suarez, Azorio, Lessio, Laym., Busemb., Ronc., ecc.8.

34. Si noti per 3., che ben può taluno nello stesso tempo soddisfare a più precetti con diversi atti che sieno compossibili; e così nel sentir la messa di precetto può dire le ore, o altre orazioni che dee recitare per voto, o per la penitenza9.

35. Si noti per 4., che con un solo atto ben può soddisfarsi a diversi precetti che cadono sulla stessa materia, ed hanno lo stesso morivo (purché non sia materia di giustizia). Onde nelle feste, che vengono in giorno di domenica, basta sentire una sola messa. Così anche il suddiacono ch'è beneficiato, con un solo officio soddisfa all'obbligo dell'ordine e del beneficio10; e chi viola allora que' due precetti, commette un solo peccato. Altrimenti va poi, se i precetti han diverso motivo; onde chi dee digiunare per voto, o per la penitenza della confessione, non soddisfa col digiuno della vigilia11; se non fosse che la penitenza fosse imposta per un mese, dentro cui cade la vigilia12


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36. Si noti per 5., che chi trasgredisce con un solo atto diversi precetti, fatti da diversi legislatori sulla stessa materia, commette un solo peccato, quando i legislatori hanno avuto lo stesso motivo; che perciò che commettesse l'omicidio proibito anche dal vescovo colla scomunica, commetterebbe un solo peccato, perché così Dio come il vescovo hanno avuto un solo motivo della giustizia; così anche un sacerdote beneficiato che lasciasse l'officio (semprecché volesse restituire i frutti) commetterebbe un solo peccato contro la religione. Altrimenti poi se i motivi sono diversi; onde chi trasgredisce il digiuno della vigilia, promesso anche per voto, fa due peccati; così ancora chi uccidesse un chierico, farebbe due peccati, uno contro la giustizia per lo precetto divino, l'altro contro la religione per lo precetto della chiesa, la quale per motivo già di religione ha vietato l'offendere i suoi ministri per la riverenza loro dovuta1; essendo regola generale, che quando la chiesa ordina alcuna cosa, la pone nella specie di quella virtù, per motivo di cui la comanda2.




1 Lib. 1. n. 106. in fin. v. Quaeritur. 3.



2 N. 143.



3 N. 141. e 142.



4 Lib. 1. n. 144. 145. et 146.



5 N. 147.



1 L. 1. n. 100.



2 Vide Salmant. tr. 11. c. 2. n. 130. et 131. Anacl. tr. 2. dist. 2. q. 3. ex n. 23.



3 Lib. 3. n. 711. 737. et 927.



4 1. 2. q. 71. a. 5.



5 Lib. 3. n. 1045. et 1046.



6 Lib. 3. n. 125. v. Excommunicatus.



7 Lib. 7. n. 161.



8 Salm. de leg. c. 2. n. 110.



9 Lib. 1. n. 97.



10 Lib. 1. n. 97. in fin.



1 N. 98.



2 N. 99.



3 L. 4. n. 47. v. Limitant.



4 Vide Salmant. de leg. c. 1. n. 12.



5 Lib. 1. n. 148. et 149.



6 Ibid.



7 Lib. 3. n. 683., et lib. 4. n. 126.



1 Lib. 1. n. 100. in fin. v. Quaer.



2 N. 150.



3 1. 2. q. 100. a. 9. et 10.



4 Lib. 1. n. 162., et lib. 3. n. 264.



5 Lib. 1. n. 165.



6 Ibid.



7 Lib. 1. n. 164., et fusius lib. 4. n. 176.



8 Lib. 1. n. 163., et l. 3. n. 700. Qu. II. v. Limitant. Adde Salmant. de leg. c. 2. n. 152.



9 Lib. 3. n. 309., et l. 4. n. 176. v. Circa in fin.



10 Lib. 1. n. 156. cum. Salm. c. 2. n. 149.



11 Lib. 3. n. 166. ad 2. cum Salm. de leg. c. 2. n. 151.



12 Vide Salm. loc. cit.



1 Lib. 1. n. 167., et fusius lib. 5. n. 33.



2 Lib. 6. n. 470. v. Tertia.






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