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S. Alfonso Maria de Liguori
Istruzione e pratica pei confessori

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Capo X - Avvertenze sul settimo precetto.

Punto I. Della giustizia, ius e dominio.

1. Divisione della giustizia, del ius e del dominio.

2. Peculii del figlio di famiglia, del castrense, e quasi-castrense.

3. Del profettizio; e de' beni dati in patrimonio; o pure lucrati dal figlio nel negozio.

4. Dell'avventizio.

5. Beni delle mogli.

6. Beni de' chierici. I. Patrimoniali. II. Industriali. III. Ecclesiastici. IV. Parsimoniali.

7. Se 'l beneficiato abbia il dominio assoluto de' frutti.

8. Chi riceve questi frutti dal beneficiato.

9. In quanti modi si acquisti il dominio ecc.

10. a 13. Della prescrizione.

1. La giustizia si divide in legale, distributiva, e commutativa. La legale riguarda i diritti e le pene secondo le leggi; la distributiva i meriti delle persone circa i premi e gli onori: la commutativa il valore delle robe, acciocché sia renduto a ciascuno quel che gli spetta. Il ius poi si divide in ius in re, e ius ad rem. Il ius ad rem si dice quello che l'azione a pretender qualche cosa non ancora obbligata: il ius poi in re si dice quello che l'azione sopra la roba già obbligata, com'è il ius che acquista il compratore sulla cosa venduta, o il chierico sul beneficio a lui conferito. Indi il ius in re si divide in dominio, ed usufrutto. Il dominio altro è di giurisdizione verso i sudditi, altro di proprietà verso le robe. In oltre altro è il dominio diretto, che ha il principe sul feudo e 'l padrone sul fondo dato ad enfiteusi: altro è l'utile, che ha il feudatario e l'enfiteuta. L'usufrutto poi è il ius di percepire, ed anche di alienare i frutti di alcun fondo a differenza dell'uso, per lo quale, chi l'ha può bensì servirsi de' frutti per quanto bisognano a sé ed alla sua famiglia, ma non può alienarli agli altri1.

2. Vediamo qui, su quali beni hanno dominio i figli di famiglia, le mogli, e i chierici. E per I. circa i figli di famiglia bisogna notare, che di quattro modi può essere il lor peculio: castrense, quasi castrense, profettizio, ed avventizio. E I. Il castrense sono quei beni che il figlio acquista nella milizia, o per cagione della milizia. II. Il quasi castrense sono i beni acquistati negli offici pubblici di giudice, avvocato, lettore, medico, ed anche notaio, come insegnano Navarr., Molina, e Lugo: e Sanchez aggiunge di architetto del principe, o della città. Di questi due peculi il figlio ne ha il pieno dominio nella proprietà e nell'usufrutto. E lo stesso dicesi di ciò che acquista il figlio di famiglia, ch'è chierico, così per l'officio clericale (secondo si ha dall'authent 1. c. De episc. et cleric.), come per ogni altro titolo, secondo la comune sentenza di Lugo, Sanchez, Molina, ecc.2. Eccettuatone il titolo di beneficio, per cui è questione se 'l chierico acquista pieno dominio de' frutti come vedremo al n. 7.

3. III. Il profettizio poi sono i beni che 'l figlio ha lucrati negoziando il danaro del padre, o pure sono stati donati al figlio, ma a solo riguardo del padre. Questo peculio è tutto del padre in quanto alla proprietà ed all'usufrutto. Si noti nonperò per 1., che in


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dubbio se i beni sono stati donati al figlio a riguardo suo o del padre, allora solamente il figlio può ritenerli intieramente, quando avesse cominciato a possederli in buona fede. Si noti per 2. che i beni dati dal padre al figlio in patrimonio per ordinarsi in sacris, non sono già più profettizi: ma questi debbono bensì conferirsi co' fratelli, quando il chierico domandasse la porzione dell'eredità paterna. Si noti per 3. che se il figlio ha negoziati i beni paterni in nome del padre, il lucrato sarà peculio profettizio; ma se in nome proprio, sarà avventizio, come insegnano Lugo e Molina. Ed in dubbio se 'l lucro sia pervenuto da' beni del padre, o d'altri, allora solo si ha per profettizio, quando il figlio ha avuto l'amministrazione de' beni paterni; Lugo con Gomez, Bartolo ecc. Si noti per 4., che se 'l figlio negozia i beni del padre, abitando fuori della casa paterna, e niente ricevendo dal padre per gli alimenti, allora quel che lucra è avventizio; ma se negozia in casa del padre, e riceve da lui gli alimenti, è profettizio. Ma se la servitù fatta dal figlio sia stata eccedente, allora può pretenderne lo stipendio1; su ciò vedasi al capo X. n. 228.

4. IV. Il peculio finalmente avventizio sono i beni che pervengono al figlio di famiglia altronde, che da' beni paterni, o pure son donati al figlio a riguardo suo proprio. Di questi, se sono consuntibili coll'uso, il padre ne può disporre, ma coll'obbligo di renderli al figlio dopo sua morte; se poi sono stabili, il figlio ne ha la proprietà, e 'l padre l'usufrutto, ancorché sieno beni del maiorascato, come dice il cardinal de Lugo. Ma in certi casi spetta al figlio anche l'usufrutto, come sarebbe se l'usufrutto è donato ancora precisamente al figlio, o se la donazione è fatta contraddicente il padre. 2. Se 'l figlio succede insieme col padre all'eredità de' fratelli. 3. Se 'l figlio riceve la dote senza obbligarvisi il padre. Del resto fuori di questi casi il figlio non può disporre de' beni avventizi senza il consenso del padre; ed ancora col consenso non può testarne se non a beneficio di cause pie, come dal cap. Licet 4. de sepult. in 6. L'usufrutto poi è del padre, quantunque il figlio fosse uscito dalla patria potestà; purché non fosse stato eletto al vescovado o ad altra gran dignità; Salmat. ed Holzmann. E se il padre emancipa il figlio volontariamente, dice il cardinal de Lugo, che la metà dell'usufrutto è del padre, e metà del figlio; ma ciò non corre, se l'emancipa per causa di matrimonio. Dice di più, che se 'l padre permette al figlio di partire dalla sua casa, non si giudica perciò che rimetta il detto usufrutto se non quando lo licenzia a procurarsi altronde il vitto, o pure quando il figlio spende quest'usufrutto, vedendolo e tacendo il padre2.

5. Per II. Circa le mogli, altri sono loro beni dotali, altri i parafernali, de' quali elleno hanno il pieno dominio. De' beni poi dotali l'usufrutto e l'amministrazione spetta al marito, la proprietà alla moglie, e perciò morto il marito ella è preferita a tutti i creditori personali del medesimo. Ed anche in vita può ripeter la dote, se il marito stesse per rendersi impotente a restituirla. Ma se la dote consiste in danari, o in altre cose usuconsuntibili, il marito ne acquista il pieno dominio, coll'obbligo poi di restituirne il prezzo alla moglie. E lo stesso corre de' beni stabili dati al marito coll'apprezzo e con animo di vendita; sicché perendo i detti beni a lui periscono3.

6. Per III. Circa i chierici finalmente vi sono quattro sorte di beni. I. Patrimoniali, che sono quelli che pervengono al chierico per ogni causa profana. II. Industriali, ovvero quasi patrimoniali, che son quelli che 'l chierico acquista dalle funzioni ecclesiastiche, come sono gli stipendi delle messe, delle prediche, ecc. III. Ecclesiastici, che sono i frutti de' beneficii. IV. Parsimoniali, che sono quelli che 'l chierico da' frutti del beneficio sottrae al suo sostentamento, vivendo più parcamente di quel


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che decentemente potrebbe. E I. In quanto a' beni patrimoniali non si dubita ch'egli ne abbia il pieno dominio. II. Lo stesso corre de' beni industriali, secondo la comune sentenza di Lessio, Sanchez., Castrop., Lugo, Anacl., Salmat., ecc. E lo stesso dicono probabilmente Silvest., Azor., Ang., Bonacina, Lugo, Salmat., Lessio ecc., delle distribuzioni quotidiane che si danno a' canonici (contro Navarr. e Sanch.); perché queste non si danno immediatamente per lo titolo del beneficio, ma per lo servizio come stipendio della persona1. III. Lo stesso corre de' beni parsimoniali, de' quali può il chierico disporne a suo arbitrio, come dicono anche comunemente Navarr. Cabassuz., Soto, Lett., Anacl., Covarruv., ed altri contro Petrocor, ed altri pochi2. E lo stesso espressamente insegna s. Tommaso3 il quale dice così: De his autem quae sunt specialiter suo usui (cioè del chierico) deputata, videtur esse eadem ratio quam de propriis bonis. La ragione è, perché tai frutti si danno al chierico come stipendio delle fatiche ch'egli fa in servire la chiesa, secondo già dichiarò il concilio agatense nel can 36.4.

7. IV. La maggior difficoltà è circa i beni ecclesiastici, che superano al proprio sostentamento, se 'l chierico, spendendoli malamente, sia tenuto alla restituzione. Non si dubita che 'l beneficiario pecca mortalmente, spendendo malamente i frutti superanti, e non distribuendoli a' poveri o ad altre cause pie, come dicono comunemente i dd.5. Il dubbio si è, se inoltre è obbligato ancora alla restituzione. La prima sentenza l'afferma con Laym., Concina, Habert., Roncaglia, Petrocor. ecc., perché dicono che non si prova per alcuna ragione che 'l beneficiario acquisti il dominio de' frutti del beneficio, e se mai l'acquista, almeno (come dicono Laym., Roncaglia, Bonac. ecc.) acquista un dominio limitato secondo l'intenzione della chiesa, a cui spetta il dominio supremo de beni ecclesiastici, cioè un dominio obbligato a dispensare il superfluo a favore de' poveri. Credono ciò provarlo i contrari per la divisione un tempo fatta da Simplicio papa il quale ordinò, che de' beni ecclesiastici la quarta parte si desse alla chiesa, la quarta al vescovo, la quarta a' poveri, e la quarta a' chierici. Ma risponde Helbert che questa divisione non si sa essersi mai effettuata; onde dice, che sin tanto che non si prova, essersi certamente fatta, ritengono i poveri il loro ius sovra i beni ecclesiastici superanti il sostentamento de' chierici6. Ciò però nonostante non può negarsi che la sentenza contraria di Cabass., Azor., Lessio, Lugo, Salm., Holzm. ecc., è abbastanza probabile, specialmente per l'autorità di s. Tommaso7, il quale espressamente insegna, che de' beni del beneficio si ha la stessa ragione, che de' beni patrimoniali; onde dice in altro luogo8, che se il chierico si abusa de' frutti della prebenda, non tenetur ad restitutionem, sed solum ad poenitentiam peragendam. E nel luogo prima citato suppone ed asserisce il santo per certo che la divisione de' beni ben fu eseguita. Anzi come scrive un dotto moderno scrittore, non già il papa Simplicio introdusse la mentovata divisione, ma la trovò introdotta, ed egli solamente ne ordinò l'esecuzione, come apparisce dalla sua pistola, dove comandò che 'l vescovo Gaudenzio restituisse le tre porzioni delle rendite ecclesiastiche che per tre anni si aveva appropriate, con ritenersi la sola quarta parte che gli spettava: Sed sola ei ex his quarta portio remittatur... tres illas portiones, quas per triennium dicitur sibi tantummodo vindicasse, restituat9. Dal che ne ricavano gli autori della seconda sentenza, che i frutti de' benefici a' chierici deputati passano già in lor dominio. E ciò par che si confermi dal trident.10 con quelle parole, fructuum, quos ratione etiam praebendae, ac residentiae fecit suos. E


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dal concilio lateranense V.1, dove si disse, che 'l beneficiario, se lascia l'officio dopo sei mesi dal giorno del possesso, fructus suos non faciat; dunque se non lo lascia, ben fa suoi i frutti.

8. Quindi si dimanda se colui che indebitamente riceve in dono dal beneficiario questi frutti superflui, sia tenuto a restituirgli a' poveri. Bisogna distinguere: se con tale donazione non si è renduto impotente il beneficiario a soddisfare al suo obbligo, e 'l donatario ha ricevuto i detti frutti in buona fede, egli non è tenuto a niente; poiché gli ha ricevuti dal chierico, che probabilmente (come si è detto di sopra) n'era il padrone, almeno col dominio limitato. Se poi il chierico si rendesse impotente, e 'l donatario ricevesse i suddetti frutti con mala o dubbia fede, diciamo ch'egli dovrebbe almeno per la metà restituirli a' poveri, secondo quel che si dirà in simil caso al num. 126. Dico per la metà, perché essendo già abbastanza probabile con s. Tommaso la prima sentenza, cioè che 'l beneficiario sia padrone assoluto de' frutti, non può esser tenuto a tutto il donatario, ma è tenuto bensì almeno per la metà, perché colla sola opinione probabile non si può cominciare il possesso di alcuna cosa, come si dice in simil caso2. Circa l'amministrazione de' frutti de' beneficii si osservino l'altre cose che si diranno al capo XIII. dal n. 45. parlando degli obblighi de' beneficiati.

9. Vediamo per ultimo in quanti modi s'acquista il dominio. S'acquista in tre modi, cioè per la volontà del padrone, per lo ius naturale delle genti, e per lo ius positivo. E I. S'acquista il dominio per la volontà privata del padrone, e di ciò si parlerà trattando de' contratti. II. Per lo ius naturale delle genti, com'è 1. Per lo ius naturale delle genti, com'è 1. coll'occupazione, poiché le cose che non han padrone s'acquistano dal primo occupante, §. Ferae inst. de rer. div. (De' tesori e delle cose ritrovate a caso se ne parlerà nei num. 69. e 70.). 2. Colla nascita, per ragion della quale i parti degli animali spettano al padrone delle madri. §. Item, eodem tit. 3. Coll'alluvione, per cui se insensibilmente si aggiunge qualche porzione di terra al fondo di alcuno, a lui si acquista; ma non già se patentemente, §. Praeterea eod. tit. 4. Colla specificazione, quando alcuno la forma a qualche materia aliena, per esempio se fa una veste colla lana d'altri; §. Cum ex aliena. 5. Coll'accessione, v. gr. se alla tua veste si unisce un ornamento (che non facilmente può disunirsi, come un ricamo ec.), quello si fa tuo. §. Sic tamen3. 6. Colla confusione, come di olio con olio; o colla commistione, come di danaro con danaro, frumento con frumento, allora la roba si fa di chi la possiede (purché sia stata sua la maggior parte di quella, coll'obbligo non però di restituire il valore al padrone della minor parte; così si ha dalla l. Alieni nummi, ff. de solut. E ciò che corre per la pecunia, corre anche per le altre cose simili, come dice Lessio, Lugo, Vasq., Silv. ec. Del resto il padrone della minor parte sempre può prendersi ciò ch'è suo dal cumulo, secondo dicono probabilmente Lessio, Castrop., i Salmat., e Trullen.4. 7. Coll'edificazione, se alcuno edifica nel suo suolo con materia aliena, acquista il dominio della materia, ma è tenuto a restituire il doppio di quella. Se poi un altro con materia propria edifica scientemente in suolo alieno, perde tutto. §. Cum in suo, inst. de rer. div., perché si presume che voglia donarla; ma ciò non corre, se costa che colui non ha voluto donare; l. 1. c. De rei vindic. 8. Colla piantazione, come quando alcuno pianta l'albero alieno nel suo territorio. La pianta non però posta accanto a' confini del fondo alieno, che abbia gittate le radici in quello, si fa comune. §. 31. Inst. eod. Se poi l'albero posto nel fondo alieno sporgesse i rami nel proprio territorio, non è lecito tagliar detti rami se non quando il prossimo ammonito, ricusa di tagliarli5. 9. Colla perfezione.


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de' frutti fatta in buona fede. §. Si quis, eod. 10. Colla tradizione della roba, colla quale voglia il padrone trasferirne ad altri il dominio, §. Per traditionem.

10. III. Si acquista finalmente il dominio per lo ius positivo per mezzo della prescrizione. Ma per la prescrizione si richiedono quattro condizioni, cioè per 1. la buona fede, per cui creda il possessore, che la roba sia certamente sua. Per 2. il titolo giusto, di compra, di donazione, ec., almeno probabilmente presunto, o colorato, come dice La-Croix colla comune1. Per 3. il possesso continuato per tre anni nelle cose mobili, come si ha dal §. 1. Instit. de usucap., o sia tra' presenti, o tra gli assenti, come dicono Lessio, Anacleto, e Verde colla comune, contro Bonac., che vuole quattro anni tra gli assenti. Non però Busemb. con Trullench., ec., per li frutti raccolti vuole due anni tra' presenti, e quattro tra gli assenti. I beni poi immobili si prescrivono per lo spazio di dieci anni tra' presenti, e venti tra gli assenti, cioè abitanti in diverse provincie, come vuole Anacleto, o pure in diversi paesi come vuole de Lugo. Ma se taluno in parte è presente ed in parte assente, debbono moltiplicarsi gli anni dell'assenza. Se poi mancasse il titolo, così per li beni stabiliti, come mobili vi vogliono 30 anni. E lo stesso spazio richiedono i dd. per la prescrizione delle azioni. Per li beni immobili di chiesa vi vogliono 40 anni, c. 1. De int. restit. e della chiesa romana 100. Se poi per li mobili di chiesa vi bisogni lo stesso tempo di 40 anni, l'affermano Anacleto, Ostiense, Panormit., ec., dicendo che nel citato testo non si fa distinzione. Ma Bonac., Less., Laym., Molina, Castrop., e Lugo vogliono, che basti il triennio. L'una e l'altra sentenza son probabili2. Si noti qui che chi possiede il beneficio per tre anni, o i frutti di quello, già prescrive secondo la regola della cancelleria riferita in isteso da Lacroix3, ancorché il titolo fosse stato nullo; purché non vi sia stata intrusione, o ingresso simoniaco4.

11. Si è detto possesso continuato, poiché il possesso può interrompersi o naturalmente per la cessazione del medesimo, o civilmente, come quando vien mossa una giusta lite sulla roba, o pure se si prosiegue il possesso con ignoranza d'una legge manifesta, come abbiam tenuto colla sentenza più probabile di Molina, Dicast., Croix, ec. (contro Lugo, Lessio, Castrop.), perché allora mancando la fede civilmente buona, le leggi (in vigor di cui s'acquista il dominio) negano la prescrizione. Se poi, essendosi già cominciato il possesso colla buona fede sopravviene il dubbio, e fatta la diligenza non si trova la verità, dicono Anacl., La-Croix, e Lugo con Molina, Lessio, e la comune asserisce, che la prescrizione non s'interrompe5.

12. Si noti qui per 1. che 'l successore particolare (come compratore, legatario ec.) del possessore di mala fede ben può prescrivere, ma non mai l'erede, come dicono Molina, La-Croix, ed altri comunemente, ed in Napoli sta ciò determinato colla decisione delle quattro ruote del s. c. del 1738. E ciò corre ancorché fosse erede dell'erede, come più probabilmente tengono Lugo, La-Croix ec., contra Lessio. Si noti per 2. che colla buona fede si può prescrivere anche la libertà dal pagamento di qualche debito, se il debitore invincibilmente l'ignora, come dicono Lugo e La-Croix. Di più qui s'avverta, che nella mentovata decisione fu ancora ammessa la prescrizione di 30 anni a beneficio del terzo possessore: presumendosi la buona fede, sempre che non si provi chiaramente il contrario dall'attore. Di più fu stabilito, che gli avvocati e procuratori non possano pretendere le loro fatiche dopo due anni. Lo stesso fu stabilito per li notai in quanto alle scritture fatte se non han data la copia, perché, data la copia, non posson più agire. Lo stesso per gli speziali di medicina


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a rispetto de' principali debitori, perché a rispetto de' loro eredi non possono agire dopo due mesi; gli artigiani, dopo un anno: i servi e garzoni, parimente dopo due mesi. Ma si avverta che tali prescrizioni (come ivi si disse) non han luogo, se l'attore produce per sé scrittura pubblica o privata. Di più si disse ch'elle han luogo, non ope praescriptionis, sed praesumtae solutionis; di modo che in coscienza resta tenuto il debitore, che in verità sapesse, non essersi pagato il debito1. Si noti per 3. che a certe persone privilegiate come a' minori, luoghi pii, e mogli per le doti si concede la restituzione in integrum per quattro anni dopo compita la prescrizione a ricuperar la roba prescritta2. Si noti per 4. che per la prescrizione si richiede che la roba sia atta a prescriversi; ond'è che le robe furtive o possedute per violenza, non si prescrivono mai. Quelle cose non però che il terzo possessore ha ricevute in buona fede dal ladro può prescriverle, ma vi è necessario lo spazio di 30. anni tra' presenti, e 40. tra gli assenti; e purché vi sia titolo, altrimenti non si posson prescrivere. Per prescrivere poi i beni del fisco, vi bisognano 40. anni3.

13. Per ultimo bisogna notare, esser comune sentenza appresso i teologi e giuristi, che anche nel foro della coscienza s'acquista il dominio delle robe per mezzo della prescrizione; così Gaetano, Soto, Molina, Lessio, Lugo, Silvestro, Covarruv., La-Croix ed altri. E si prova dal cap. fin. de rescript., dove la sola prescrizione di mala fede si riprova, mentre ben può la legge umana trasferire il dominio delle robe da uno in un altro per lo bene comune, affine di evitare tante liti. Ed avvertasi, che la legge comune della prescrizione nel nostro regno di Napoli, benché nel foro esterno non si ammetta per ragion della difficoltà di provar la buona fede, nondimeno non si trova ella già per altra legge abrogata, come dicono Staibano, Galluppo, Prato, ed Amato; ond'è, che lecitamente anche in regno (come dicono i suddetti aa. contro Ursillo e Rovito, e come anche 'm insegnò il dottissimo vescovo d. Giulio Torni) possiamo in coscienza avvalerci della prescrizione legittimamente fatta4.




1 Lib. 3. n; 486. et 487.



2 N. 488.



1 Cit. n. 488. v. III. Peculium.



2 Lib. 3. n. 488. v. IV.



3 N. 489.



1 Lib. 3. n. 490. et 491.



2 Cit. n. 491. v. III. Idem.



3 2. 2. q. 185. a. 7.



4 Lib. 3. n. 491.



5 Ibid. ad IV.



6 N. 492.



7 2. 2. q. 185.. a. 7.



8 Quodl. 6. a. 12. ad 3.



9 Epist. Simplic. ad Florent. ap. Harduin. in collect. concil. t. 2. p. 380.



10 Sess. 24. c. 12. de reform.



1 Sess. 9. §. Statuimus.



2 Lib. 3. n. 692. v. Quaer. 8.



3 N. 493. ad 497.



4 N. 498. et 499.



5 N. 500. ad 503.



1 Lib. 3. n. 504. et 505.



2 N. 506. ad 511.



3 Lib. 4. n. 689.



4 Lib. 3. n. 507. v. Si quis.



5 N. 511.



1 Lib. 3. n. 516.



2 N. 514.



3 N. 515. et 516.



4 N. 517.






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