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S. Alfonso Maria de Liguori Nove discorsi...flagelli IntraText CT - Lettura del testo |
DISCORSO VI.
Dio manda i flagelli in questa vita, non per nostra ruina, ma per nostro bene.
Non enim delectaris in perditionibus nostris. (Tob. 3. 22.)
Persuadiamoci, cristiani miei, che noi abbiamo chi ci ami più di Dio. Dicea s. Teresa, che più Dio ama noi, che noi non amiamo non amiamo noi stessi. Egli ci ha amato fin dall'eternità: In caritate perpetua dilexit te5. E per l'amore che ci ha portato ci ha estratti dal niente e ci ha l'essere: Ideo attraxi te miserant tui6. Onde allorché Dio ci castiga su questa terra, non lo fa perché ci vuol male, ma perché ci vuol bene e ci ama: Hoc autem pro certo habet omnis qui te colit, quod vita eius, si in probatione fuerit, coronabitur, si in tribulatione, liberabitur7. Così diceva il s. Tobia: Signore, chi ti serve sta sicuro che dopo la prova sarà coronato, e dopo la tribolazione sarà liberato dalla pena che meritava. Non enim delectaris in perditionibus nostris; poiché voi non avete piacere della nostra ruina: quia post tempestatem tranquillum facis, et post fletum exultationem in fundis8: dopo la tempesta de' flagelli ci donate la tranquillità, e dopo il pianto l'allegrezza e la pace. Dunque, fratelli miei, intendiamo, e questo è quel che oggi voglio dimostrarvi, che Dio non manda i flagelli in questa vita per nostra ruina, ma per nostro bene, acciocché lasciamo i peccati e ritorniamo nella sua grazia, e così evitiamo i castighi eterni.
Dabo timorem meum in corde eorum, ut non recedant a me9. Dice il Signore che egli infonde il suo timore ne' nostri cuori acciocché non ci facciamo dominare dagli affetti alle delizie della terra, sicché per quelle ingrati avessimo a lasciarlo. E i peccatori poi che hanno lasciato Dio, come egli li conduce a ravvedersi e a ritornare nella sua grazia? Con farsi vedere sdegnato e castigargli in questa
vita: In ira populos confringes1. Un'altra versione, secondo s. Agostino, dice: In ira populos deduces. Dimanda il santo: Quid enim est, in ira populos deduces? Che viene a dire che Iddio conduce i popoli nel suo sdegno? Risponde: Imples tribulationibus omnes, ut in tribulationibus positi recurrant ad te: voi, Signore, li colmate di tribolazioni, acciocché vedendosi così afflitti, lascino i peccati e ricorrano a voi. La madre, quando vuole slattare il bambino, che fa? Mette fiele alle poppe. Così fa il Signore per tirare a sé le anime e staccarle da' piaceri della terra che le fanno vivere scordate della salute eterna; mette fiele alle poppe, cioè riempie di amarezza tutti i loro spassi, pompe e possessioni, acciocché non trovando pace in tali beni, ricorrano a Dio che solamente può contentarli: In tribulatione sua mane consurgent ad me2. Dice Dio, se io lascio questi peccatori a godersi i loro divertimenti, essi seguiranno a dormire ne' peccati; è necessario che io flagelli affinché si sveglino dal loro letargo, e ricorrano a me. Quando si vedranno tribolati, allora diranno: Venite et revertamur ad Dominum, così seguita a parlare Osea, quia coepit, et sanabit nos, percutiet, et curabit nos. Che facciamo, dicono i peccatori ravveduti, se non lasciamo la mala vita? Dio non si placherà con noi, e giustamente seguirà a punirci: via su ritorniamo a' piedi suoi, perché egli ci guarirà dalle nostre infermità; e se egli ci ha afflitti coi flagelli egli stesso penserà a consolarci colla sua misericordia.
In die tribulationis meae Deum exquisivi, et non sum deceptus3. Nel tempo de' miei patimenti, diceva il profeta, ho cercato Dio e non sono restato ingannato; mentre egli mi ha sollevato; onde poi esso stesso ne ringraziava il Signore che lo avesse umiliato dopo i suoi peccati, perché così aveva imparato ad osservare la divina legge: Bonum mihi quia humiliasti me, ut discam iustificationes tuas4. L'esser tribolato un peccatore, ella è pena ed è grazia, poena est, et gratia est, dice s. Agostino: è pena a riguardo de' suoi peccati, ma è grazia ancora, e grazia grande, perché lo libera dalla pena eterna e l'assicura che Dio vuole usargli misericordia, sempre che egli si ravveda ed accetti con ringraziamento quella tribolazione che gli ricupera la vista del suo miserabile stato e l'induce a tornare a Dio. Emendiamoci dunque, fratelli miei, e saremo liberati dal presente flagello. Quid servat post poenam, siegue a dire s. Agostino, qui per gratiam exhibet poenam? Chi si emenda e torna a Dio spinto dal flagello, non ha più che temere; poiché Dio a questo fine flagella, acciocché torniamo a lui: ottenuto dunque che avrà il Signore l'intento, cesserà dal più flagellarci.
Dice s. Bernardo che è impossibile passare dai piaceri della terra ai piaceri del paradiso: Difficile est, imo impossibile, ut praesentibus quis fruatur bonis et futuris: ut de deliciis transeat ad delicias5. E perciò dice il Signore: Noli aemulari in eo qui prosperatur in via sua, in homine faciente iniustitias6. Non invidiare, figlio mio, il peccatore che va prospero della sua mala vita: Prosperatur? commenta s. Agostino7, sed in
via sua: laboras? Sed in via Dei. Quegli nella sua mala vita è prosperato? Tu all'incontro che cammini la via di Dio sei tribolato: attendi, dice il santo, la fine: Illi prosperitas in via est, in perventione infelicitas; tibi labor in via, in perventione felicitas. Quegli in questa vita sarà felice, ma nell'eternità infelice; tu sarai afflitto in questa vita, ma nell'eternità felice. E così rallegrati, peccatore, e ringrazia Dio quando vedi ch'egli in questa vita ti castiga e si vendica de' tuoi peccati, perché è segno che vuole usarti misericordia nell'altra: Deus, tu propitius fuisti eis, ulciscens in omnes adinventiones eorum1. Il Signore quando castiga in questa terra co' flagelli temporali, non castiga tanto per castigare, ma per vederci emendati. Disse Dio a Nabucco: Foenum ut bos comedes; septem quoque tempora mutabuntur super te, donec scias quod dominetur Excelsus super regnum hominum2. Or su voglio che per sette anni, Nabucco, tu per vivere sii costretto a cibarti di fieno come bestia, acciocché così intendi che io sono il sovrano, che dono e tolgo i regni agli uomini, e così ti emendi della tua superbia. Ed in fatti così quel re superbo si ravvide e si emendò; onde poi ravveduto, dicea: Nunc laudo et glorifico Regem coeli3. E Iddio gli restituì ancora il regno: Libenter commutavit sententiam, dice s. Girolamo, quia vidit opera commutata.
Miseri noi, dice lo stesso santo, quando Dio dopo i peccati non ci punisce in questa terra! È segno che ci riserba al castigo eterno: Magna est ira Dei, quando non nobis irascitur; reservat nos sicut vitulum in occisione4. Che segno è, soggiunge, quando il medico vede l'infermo colle carni putrefatte e non le recide? È segno che l'abbandona alla morte. Dio perdona al peccatore nel tempo, dice s. Gregorio, per castigarlo in eterno: Parcit, ut in perpetuum feriat5. Guai a quei peccatori, ai quali Dio non parla, e loro si fa vedere come non fosse sdegnato: Et quiescam, nec irascar amplius6! Ma siegue a parlare il Signore: Et provocasti me in omnibus his: et scies quia ego Dominus, ut recorderis et confundaris7. Verrà, dice, un giorno, o ingrato, nel quale intenderai chi son io, ed allora ti ricorderai delle grazie che ti ho fatte, e vedrai con tua confusione la tua grande ingratitudine. Guai dunque a quel peccatore che tira avanti la sua mala vita, e Iddio permette il suo castigo, che egli conseguisca i suoi perversi desiderj, secondo quel che dice per Davide: Israel non intendit mihi, et dimisi eos secundum desideria cordis eorum8. È segno che il Signore vuol pagargli in questa terra qualche piccolo bene che mai ha fatto; e per i suoi peccati gli riserba poi il castigo nell'eternità. E parlando di lui per questa vita, dice: Misereamur impio, et non discet iustitiam... non videbit gloriam Domini9. Ed ecco allora la ruina di quel povero peccatore, perché vedendosi egli prosperato, si va lusingando che siccome Dio gli usa misericordia in quel tempo che l'offende, così gliela userà anche appresso, e con questo inganno seguirà a vivere nel suo peccato. Ma questa misericordia gliela userà sempre il
Signore? No, verrà finalmente il giorno del castigo, ed allora sarà discacciato dal paradiso, e mandato alla carcere de' ribelli: Et non videbit gloriam Domini. Sulle dette parole, Misereamur impio, dicea s. Girolamo: Longe a me misericordia tam rigorosa. Signore, dicea, allontanate da me questa pietà così terribile; se io vi ho offeso, voglio esser castigato in questa vita, perché se non mi castigate qua nel tempo, avrò da esser castigato nell'altro mondo in eterno. E perciò diceva ancor s. Agostino: Domine, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas: castigatemi qua, Dio mio, e non mi perdonate, affinché possiate perdonarmi il castigo eterno. Quando il medico attende a tagliar la postema dell'infermo è segno che lo vuol guarito. E così dice s. Agostino: Magnae misericordiae est nequitiam impunitam non relinquere1, il Signore usa gran misericordia al peccatore, quando per farlo ravvedere lo castiga in questa vita. E perciò Giobbe tanto pregava il Signore che qui l'affliggesse: Haec mihi sit consolatio, ut affligens me dolore, non parcas2.
Dormiva Giona nella nave allorché fuggiva da Dio; ma vedendo il Signore che il misero stava prossimo alla morte temporale ed all'eterna, fece avvisargli dal nocchiero: Quid tu sopore deprimeris? Surge et invoca Deum tuum3. Lo stesso, fratello mio, ora sta facendo Dio con te; tu stavi in peccato, privo della divina grazia e condannato all'inferno; è venuto il flagello, questo flagello è una voce di Dio che ti dice: Quid tu sopore deprimeris? Surge et invoca Deum tuum. Svegliati, peccatore, non volere seguire a vivere scordato dell'anima tua e di Dio. Apri gli occhi e vedi che già ti sta vicino l'inferno, dove stanno già a piangere tanti miserabili per meno peccati de' tuoi; e tu dormi? E non pensi a confessarti? Non pensi a liberarti dalla morte eterna? Surge, invoca Deum tuum. Presto alzati da questa fossa d'inferno, dove stai caduto: prega Dio che ti perdoni: pregalo almeno, se non istai risoluto di mutar vita, che ti dia luce, e ti faccia conoscere lo stato infelice in cui ti trovi. Sappi servirti dell'avviso che il Signore ti manda. Geremia prima vide una verga: Virgam vigilantem ego video. E poi disse di vedere una pignatta ardente: Ollam succensam ego video4. Dice s. Ambrogio su questo passo: Qui virga non corrigitur, in olla mittitur ut ardeat5. Chi non resta emendato col flagello temporale, sarà mandato ad ardere nel fuoco dell'inferno eternamente. Peccatore mio, vedi che Dio con questo flagello ti sta parlando al cuore, e ti sta chiamando a penitenza? Dimmi, che gli rispondi? Il figlio prodigo, essendosi partito dal padre, al padre più non pensava, allorché se ne vivea nelle delizie; ma quando poi si vide ridotto a quello stato così miserabile, povero, abbandonato da tutti, ridotto a servire a' porci, e che non potea saziarsi neppure di quei cibi de' quali i porci si saziavano, allora si ravvide, e ritornato in sé disse: Quanti mercenarii in domo patris mei abundant panibus, ego autem hic fame pereo6. Quanti servi di mio padre son bene alimentati in sua casa, ed io sto qui a morirmi di fame? Surgam et
ibo ad patrem meum. E così fece, e con amore fu ricevuto dal padre. Fratello mio, questo hai da fare ancora tu. Vedi la vita infelice che fai ed hai fatto sinora vivendo lontano da Dio; vita piena di fiele, di spine e di amarezze; e non potea essere altrimenti, perché stavi senza Dio, che è quello il quale solamente può farci contenti. Vedi quanti servi di Dio che l'amano fanno una vita beata e godono una continua pace, cioè la pace di Dio che supera, come dice l'apostolo, tutti i piaceri di senso: Pax Dei quae exsuperat omnem sensum1. E tu che fai? Non ti avvedi che patisci e patirai due inferni, uno in questa vita e uno nell'altra? Via su di' tu ancora: Surgam et ibo ad Patrem meum. Voglio alzarmi da questo sonno di morte in cui vivo dannato, e voglio tornare a Dio. È vero che io l'ho offeso assai, partendomi da lui con tanto suo disgusto, ma egli ancora mi è Padre: Surgam et ibo ad Patrem meum. E quando, peccatore mio, andrai a questo Padre, che gli dirai? Digli quel che disse al padre suo il figlio prodigo: Pater, peccavi in coelum et coram te, non sum dignus vocari filius tuus. Padre mio, confesso il mio errore, ho fatto male a lasciare voi che mi avete tanto amato; vedo già che non sono più degno d'esser chiamato vostro figlio; perdonatemi ed accettatemi almeno per vostro servo; ricevetemi almeno nella vostra grazia e poi castigatemi come volete.
O beato te se dirai e farai così! A te similmente avverrà ciò che avvenne al figlio prodigo. Il padre quando lo vide tornato ai piedi suoi ed intese che si umiliava del suo errore, non solamente non lo discacciò, non solamente l'accettò in casa sua, ma lo abbracciò e lo baciò come figlio: Accurrens cecidit super collum eius et osculatus est eum. Ed indi lo fece ricoprire di una veste preziosa, che è la veste della grazia: Proferte stolam primam ed induite illum. E di più ordinò che in casa si facesse una gran festa, tutto consolandosi il padre d'aver ricuperato quel figlio, ch'egli tenea per morto e perduto: Epulemur, quia hic filius meus mortuus erat, et revixit, perierat, et inventus est. Allegramente, uditori miei, è vero che Dio si fa vedere sdegnato, ma ancora ci è padre. Ritorniamo ai piedi suoi pentiti, e subito si placherà e ci libererà dal castigo. Ecco là, vedete la madre nostra Maria, che lo sta pregando per noi. Ed all'incontro a noi rivolta ci sta dicendo: In me omnis spes vitae et virtutis... transite ad me omnes2. Figli miei, ci dice questa madre di misericordia, poveri figli tribolati, ricorrete a me, ed in me ritroverete tutta la speranza. Il mio Figlio non mi nega niente. Qui invenerit me inveniet vitam. Voi eravate morti per il peccato, venite a me, trovate me, e ritroverete la vita, cioè la vita della divina grazia, che io vi farò ricuperare colla mia intercessione. (Atto di dolore).