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S. Alfonso Maria de Liguori Sull'utilità degli esercizi spirituali... IntraText CT - Lettura del testo |
Introduzione
Fra i 32 "Dottori della Chiesa" S. Alfonso è il più vicino al nostri tempi, l'ultimo in senso cronologico e il più giovane dei dottori - considerando l'anno della morte 1787 e l'anno della proclamazione 1871 -. Evidentemente non lo possiamo paragonare ad altri suoi "colleghi dottori", a un S. Agostino, a un S. Girolamo, S. Giovanni Crisostomo, S. Tommaso d'Aquino, differenti sono i tempi e i luoghi in cui sono vissuti.
Però una certa classificazione ci sia permesso di farla; possiamo dividere questa "squadra di Cristo" in professori e maestri. S. Alfonso sicuramente fa parte dei maestri e si troverebbe in compagnia di un S. Ambrogio di Milano, S. Basilio, S. Gregorio Magno, S. Francesco di Sales... Maestri della gente povera ed umile, catechisti elementari che sbriciolano il pane della fede e della carità con un fare agile e cordiale.
S. Alfonso ha trovato larghe simpatie nel popolo, quello semplice, quello che non sapeva leggere ma fiutava gli uomini di Dio. Con il suo fare semplice e dimesso diventa "dottore del popolo" quello minuto che non entra nelle cronache, tanto meno fa storia; fu - ha scritto Giovanni Paolo II - molto amico del popolo, del popolo dei quartieri poveri della capitale del regno di Napoli... questo senso del popolo caratterizza tutta la vita del santo, come missionario, come fondatore, come vescovo, come scrittore. Per il popolo egli ripenserà la predicazione, la catechesi, l'insegnamento della morale e della stessa vita spirituale (Giovanni Paolo II, Let. Ap., Spiritus Domini, AAS 79 [1987], 1365 ss.).
La capacità di comunicare in un linguaggio accessibile a tutti le verità più impegnative della fede e della morale fanno di questo molto simpatico santo napoletano, come lo definiva Benedetto Croce, un grande evangelizzatore, un educatore originale dell'anima cattolica dell'Occidente, colui che nel cattolicesimo moderno ha fatto quello che per l'antico fece Agostino (Giovanni Paolo II, Spiritus Domini).
La lettera sugli esercizi spirituali che S. Alfonso indirizza ad un giovane studioso, che sia deliberando sovra l'elezione dello stato, viene pubblicata nel clima dei festeggiamenti per il terzo centenario della nascita del santo (27 settembre 1696-1996), essa testimonia la sollecitudine del pastore verso il suo gregge.
Tematiche come quelle proposte dal vescovo di S. Agata sono valide per tutti, particolarmente per quei giovani che, in cerca di qualcosa di particolare, vogliono iniziare una scuola: quella del silenzio e della meditazione.
Difficoltà bibliografiche hanno fatto di questo testo, semplice e schietto, un pezzo da museo facendolo restare quasi sepolto tra le oltre 100 opere attribuite a S. Alfonso; ma la lieve fatica incontrata non è pari alla soddisfazione di riconsegnare alle giovani promesse uno scritto di poco più di 20 pagine, che comunica la gioia, la festa di pensare nella solitudine a Dio datore di ogni bene.
La lettera, datata 1771, è indirizzata ad un immaginario giovane che sta decidendo sulla propria vita; ivi si parla della grande utilità degli esercizi spirituali. Fu scritta quando S. Alfonso era vescovo ed aveva 75 anni di età. Lo scritto vide la luce nella diocesi di S. Agata, ad Arienzo, secondo le informazioni epistolari di quell'anno. Di questo epistolario, fecondissimo, si aspetta con impazienza una critica pubblicazione.
Nella lettera, il dottore napoletano insiste molto sull'utilità degli esercizi spirituali. Lui stesso ne indica l'efficacia per la propria vita: "riconosco di dovere a questa santa pratica la mia conversione e la decisione che ho preso di lasciare i1 mondo".
Da giovane studente era solito fare gli esercizi spirituali; questi gli lasciarono il sapore e il profumo della vita santa.
Erano così importanti gli esercizi spirituali, per il fondatore dei Redentoristi, che nella regola della congregazione fondata a Scala nel novembre del 1732 e approvata da papa Benedetto XIV il 25 febbraio 1749 ricordava: In ogni anno ciascun soggetto farà dieci giorni di esercizi spirituali con totale ritiro e rigoroso silenzio; ed ogni mese farà un giorno di ritiro (Costituzioni e Regole, II, 3, Torino 1847). Dai suoi padri e dai suoi fratelli esigeva con maniera perentoria che praticassero gli esercizi spirituali (cfr. Lettere, 1, 66, 68, 115).
Sulla scia della tradizione ignaziana, Alfonso de Liguori indica l'efficacia e l'utilità degli esercizi spirituali ove non si tratta con altri se non con Dio. Per il vescovo di S. Agata questo è il luogo dove riscoprire se stessi, dove parlare nel silenzio con Dio e domandargli: Signore, insegnami dove e come io possa trovarti, affinché ti parli da solo a solo, ed insieme ascolti le tue parole.
Fuggi, taci, riposa! Un invito, quello alfonsiano, a fuggire dal mondo, parlare con Dio e riposare nella pace della solitudine, solo così si scopriranno i tesori degli esercizi spirituali, perché la voce di Dio è come un soffio di aria leggera, che appena si sente, e non già dall'orecchio del corpo, ma dall'orecchio del cuore, senza strepito, ed in dolce quiete.
Nel silenzio Dio parla all'uomo come un amico ad un altro amico e lo conduce sulle vette della felicità e della gioia. S. Girolamo esclama: Oh, beata solitudine, in cui Dio parla e conversa familiarmente con i suoi... Per me è un paradiso! Fa eco la parola del santo abate Bernardo di Chiaravalle, il quale meglio aveva conosciuto Dio tra i faggi e i cerri, che in tutti i libri di scienze che aveva studiati.
Nella lunga vita S. Alfonso più volte fece l'esperienza della solitudine. Il segreto dell'attività pastorale, dell'attività letteraria, della vicinanza ai poveri è racchiuso nei momenti di intima solitudine con Dio. A me par bello dirlo santo. amico del popolo, e amico vero del popolo perché amico vero di Dio, così scriveva il Cardinal Capecelatro nella biografia dedicata al santo. È così importante la solitudine per l'autore del Tu scendi dalle stelle, che non vede altra strada per arrivare alla perfezione cristiana: le riflessioni sono quelle che generano poi le sante risoluzioni; ma queste riflessioni non si faranno mai come debbono essere fatte se non si fanno nella solitudine.
Per il nostro dottore napoletano la solitudine è un giardino di delizie; a questo giardino possiamo sostare anche noi cristiani dell'anno santo del 2000 a pensare e riflettere sulle verità eterne: ivi con chiaro lume si conoscono le massime eterne: il valore della grazia, l'amore che Dio ci Porta... È così importante questa conoscenza per Alfonso che, raccomandandosi ai nipoti in una lettera datata 1780, scrive: L'ignoranza e l'ozio sono le feconde sorgenti del peccato e dei vizi.
Dalla riflessione, immersa nella solitudine, nasce e si sviluppa per il credente il proposito di vivere in modo diverso, alieno dalle varie pesantezze della vita; nasce nell'intimo del cuore la perla dell'amore di Dio: la conchiglia, quando ha ricevuta la rugiada dal cielo, subito si chiude e scende nel fondo del mare e così forma la perla.
Con alcuni esempi pratici di personaggi santi e non, il principe dei moralisti e dei confessori dimostra l'importanza degli esercizi i quali giovano ad ogni stato di persone, sono di speciale giovamento a chi vuole eleggere lo stato di vita che ha da intraprendere.
L'opera missionaria e teologica di Alfonso può essere racchiusa nel binomio: grazia e preghiera. Questa intuizione dottrinale restituirà alle anime il respiro della fiducia e l'ottimismo della salvezza. I santi - come si sa - sono veri maestri di preghiera - quella vera - semplice, che sgorga dal cuore riempito di Dio; nelle missioni popolari era solito spiegare con parole facili e comprensibili, l'importanza della preghiera da cui dipende la salvezza. Per questo pubblicò un libro: Del gran mezzo della preghiera (1759) in cui tra l'altro scrisse: Dio non nega ad alcuno la grazia della preghiera, con la quale si ottiene l'aiuto a vincere ogni . concupiscenza e ogni tentazione. E dico, e replico e replicherò sempre sino a che avrò vita che tutta la nostra salute sta nel pregare... Da qui il famoso assioma: Chi prega si salva, chi non prega si danna!
Nella lettera in questione il nostro "dottore zelantissimo" fa un invito alla preghiera, una preghiera particolare fatta con indifferenza (disinteresse), perché chi prega Dio ad illuminarlo circa il suo stato, ma prega senza indifferenza, vuole piuttosto che Dio si uniformi alla sua volontà, (costui) è simile ad un pilota che finge di volere, ma non vuole che la nave cammini, mentre getta l'ancora in mare, e poi spande le vele. Dio accetta la preghiera fatta con generosità, bontà, altruismo facendo così conoscere chiaramente lo stato migliore da scegliere. Per il Santo non esistevano, in fatto di devozione, classi colte e incolte, su questo non faceva nessuna distinzione. Tutte hanno bisogno della stessa misericordia, e perciò della stessa preghiera; dello stesso Dio, e perciò dello stesso amore di Dio.
Dopo la morte del santo vescovo napoletano (1 agosto 1787), questa lettera fu più volte ripubblicata in appendice ai Sermoni compendiati. Nel 1826 a Monza, nel 1831, 1847, 1867 a Torino dall'editore cattolico Giacinto Marietti, nel 1907 a Enghien. L'ultima che conosciamo è del 1947 ad opera della società san Paolo, in occasione del 25° di episcopato di Pio XII; poi non fu più ripresa, forse ritenuta, a torto o a ragione, superata, oppure non eccessivamente importante tra le diverse opere alfonsiane; in totale si contano 51 edizioni.
Le massime eterne (1728); Le glorie di Maria (1750); La Theologia moralis (1748); L'Apparecchio alla morte (1758); Del gran mezzo della preghiera (1759); La pratica di amare Gesù Cristo (1768): tutte queste opere superano di molto, in importanza, la lettera indirizzata ad un giovane sull'utilità degli esercizi; di questo scritto resta la sua attualità e validità nell'indicare le vie dello spirito cristiano, le vie che fanno grandi i piccoli, le vie che ci danno coraggio Per raggiungere la maturità della fede e l'operosità nella carità.
Chi si imbatte nella lettura di queste pagine non può che rimanere colpito dalla profondità di esse.
L'importanza degli esercizi spirituali è più volte sottolineata da S. Alfonso avendoli come benefica medicina contro le lusinghe del mondo. Altro non importano gli esercizi spirituali che il distaccarsi, per quel tempo, dal commercio del mondo e ritirarci a conversare da solo a solo con Dio.
Gli esercizi spirituali, scuola di celeste dottrina e palestra di arte divina (S. Basilio), hanno un mirabile potere nel formare l'uomo soprannaturale, cioè il cristiano.
L'esperienza dei santi ha luminosamente dimostrato, e lo fa oggi più che mai, la forza pacificatrice e santificatrice che gli esercizi spirituali comunicano, da cui le anime escono "radicate nella fede" in Cristo (cfr. Col 2, 7), piene di luce, di vigore, di felicità che "supera ogni senso" (Fil 4, 7). Giustamente S. Pietro Crisologo (406-45 1), vescovo di Ravenna, ricordava: Abbiamo dato al corpo un anno, diamo all'anima alcuni giorni... Viviamo un po' dì tempo per Dio, noi che siamo vissuti interamente per i1 mondo... Risuoni la divina voce ai nostri orecchi: lo strepito domestico non disturbi il nostro udito... Così agguerriti, o fratelli, così ammaestrati, dichiareremo guerra al peccato... sicuri della vittoria (S. Pietro Crisologo, Serm. 12).
Questa salutare pratica cristiana di raccoglimento e riflessioni è stata più volte richiamata alla attenzione del mondo cattolico. Il papa Pio XI in occasione del suo 50° di sacerdozio scrisse un'enciclica sugli esercizi spirituali: "Mens nostra". In essa si sottolinea l'importanza di questa pratica definita come una scuola di educazione in cui la mente impara a riflettere, la volontà si rafforza, le passioni si dominano; lo stesso pontefice non indugia a definire la lettera alfonsiana sugli esercizi spirituali come "pulcherrima quadam epistola" (bellissima lettera).
Semplice e fresco l'insegnamento di S. Alfonso, un napoletano di buon senso, così lo definiva Benedetto Croce, è valido per tutti coloro che sentono di incamminarsi verso una strada diversa, particolare: la strada dell'incontro con Dio.
Generazioni intere si son formate a questa scuola di semplicità e di quotidianità. S. Alfonso è stato padrone per due secoli dei cuori cristiani più umili e candidi, le sue 111 opere scritte sono state tradotte in più di 70 lingue e hanno avuto 21.000 edizioni, raggiungendo una diffusione paragonabile soltanto agli scritti di Shakespeare, Marx e Lenin.
S. Alfonso - scrive G. De Luca - ha suggerito al popolo i termini più alti nelle formule più umili, gli affetti più estatici nei vocaboli più quotidiani. Ha creato nei semplici un cuore di santi e grandi santi. Ha detto parole, le quali come lui - e lui come Gesù - restavano tra la gente più povera e sprovveduta: il popolo cristiano non ne ha conosciute molte di eguali, nessuna maggiore. I fedeli le hanno ascoltate dalle loro mamme, se ne sono nutriti come d'un latte, le han fatte proprie e trasmesse ai sopravviventi.
Mario Colavita
in S. ALFONSO M. DE LIGUORI
Lettera sugli esercizi spirituali
Edizioni Vivere IN, Roma 1997, pp. 5-12