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S. Alfonso Maria de Liguori
Verità della Fede

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§. 1. Si risponde alle opposizioni de' contrarj.

 

25. Osserviamo ora le obbiezioni che si fanno alla superiorità del papa, dalla debolezza ed insussistenza delle quali maggiormente apparirà la certezza della nostra sentenza. Oppongono per 1. quel che si disse dagli apostoli nel primo concilio che si fece da essi in Gerusalemme: Visum est enim Spiritui sancto et nobis nihil ultra imponere vobis etc.1. Ecco, dicono gli avversarj, che in questo concilio non si dice che lo Spirito santo assisteva solo a Pietro, ma a tutti gli apostoli congregati insieme. Si risponde primieramente che questo concilio non può dirsi universale, mentre non v'intervennero degli apostoli già costituiti vescovi, che solamente s. Pietro, s. Giacomo e san Giovanni con s. Paolo e s. Barnaba. Inoltre diciamo non mettersi in dubbio che quando i vescovi nel concilio unitamente col papa definiscono qualche punto di fede, allora certamente assiste a tutti lo Spirito santo; ma ciò non toglie che in un tal concilio il papa sia il capo, il quale definisce il dogma che dee tenersi, poiché tutta l'autorità del concilio sta già nel papa. E ciò apparisce dallo stesso capo 15. degli Atti citato di sopra. Poiché in quel primo concilio s. Pietro fu il principal definitore della questione, mentr'egli fu che impose a tutti silenzio, e, ributtando ogni dubbio in contrario, disse: Viri fratres, vos scitis quoniam ab antiquis diebus Deus in nobis elegit, per os meum audire gentes verbum evangelii, et credere2. Colle quali parole ben dimostrò che Iddio solamente a lui (ed a' suoi successori) avea data la facoltà d'istruire le genti in quel che doveano credere. E poi soggiunse: Nunc ergo quid tentatis Deum, imponere iugum super cervices discipulorum etc.? Propriamente parole d'un dottore maestro che insegna. Non si nega dunque che i padri del concilio generale son diretti infallibilmente dallo Spirito santo, com'è diretto il papa; ma quando? Quando essi son uniti col papa di sentenza, siccome nel concilio gerosolimitano gli apostoli erano uniti con s. Pietro. Ma quando son discordi e divisi, allora quel concilio non è più legittimo, né può dirsi ecumenico; è un corpo monco; sono membra senza capo, né più rappresentano la chiesa; poiché la chiesa dee avere il suo capo. Ma diranno: se nel concilio lo Spirito santo assiste a tutti, così al papa, come ai vescovi, perché si ha da dire che nel solo papa sia l'autorità suprema e l'infallibilità? Si risponde che essendo la podestà suprema nella chiesa una sola e non due, se non vogliamo dare alla chiesa due capi supremi, quando i vescovi nel concilio concorrono col papa, non è che il loro maggior numero divenga superiore nell'autorità al papa, e neppur avviene che allora sieno due podestà distinte; ma è che allora la stessa podestà suprema, che già prima tutta risiedea nel papa, si estende ad essi, e si fa comune; ed allora ben possono dire nelle definizioni fatte col consenso comune del papa e del concilio, Visum est Spiritui sancto et nobis; ma non quando i padri son discordi dal papa, e formano un mostro, cioè un corpo diviso dal capo, a cui sta data la podestà sopra di tutto il corpo.

 

26. Oppongono per 2. quell'altro testo degli Atti: Attendite vobis et universo gregi, in quo vos Spiritus sanctus posuit episcopos regere ecclesiam Dei3. Dunque, dicono, il governo della chiesa


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non solo è commesso al papa, ma anche al collegio de' vescovi. Si risponde che ciò fu detto da s. Paolo, non già ai vescovi congregati in concilio, ma ai suoi discepoli (non sappiamo se vescovi, o pure semplici sacerdoti chiamati col nome di vescovi) che dalla provincia di Efeso erano stati dagli apostoli convocati in Mileto per licenziarsi da esso. Ma ancorché fossero stati vescovi, egli non disse ch'era lor commessa la cura di tutta la chiesa, ma solo del gregge loro dato a reggere. Del resto poi ciascun vescovo, governando bene il suo gregge, ben concorre al reggimento della chiesa universale, siccome il bene d'ogni membro è bene di tutto il corpo: ma i vescovi reggono la chiesa come membri, il papa come capo, a cui sta propriamente commesso il governo di tutta la chiesa.

 

27. Per 3. L'autore del libro Ecclesiae gallic. immun. cap. 13. oppone molte appellazioni fatte dal papa al concilio futuro, come dal re Filippo il Bello contro Bonifacio VIII., da Lodovico imperatore contro Giovanni XII. ed altre. Ma rispondiamo: dopo queste appellazioni dove mai si legge che alcuna di esse abbia ottenuto che qualche concilio avesse rivocata o moderata alcuna definizione fatta dal papa? Quantunque siansi fatte queste appellazioni a' concilj, nondimeno si son fatte a' concilj uniti al papa, e dalla sua autorità avvalorati; sicché si sono le appellazioni interposte a fine di meglio esaminar le questioni, e render il papa meglio informato, specialmente in materia di fatti, come apparisce dalla stessa forma di appellazione fatta dal re Filippo: A ss. dom. nostro papa Innocentio ad s. sedem apostolicam etiam melius consulendam, necnon ad synodum celebrandam etc. In modo che si vede non mai essersi appellato a qualche concilio, come opposto al papa e della di lui autorità destituto. Ma nel capo seguente meglio si parlerà di questo punto.

 

28. Si oppone per 4. dal p. Natale Alessandro il testo di s. Matteo1: Si peccaverit in te frater tuus, vade, et corripe eum; quod si te non audierit, dic ecclesiae. Onde dicono: se la correzione dee deferirsi da Pietro alla chiesa, dunque la podestà suprema non è in Pietro, ma nella chiesa e per lei nel concilio che rappresenta la chiesa. E lo confermano con quel che scrisse Innocenzo IV. a Federico II. (come si ha nel cap. Ad apostolicae, de sent. et re iud. in 6. ) ch'egli era pronto col consiglio del concilio a rivocar la sua sentenza. Ma si risponde in quanto al testo di s. Matteo che Cristo non diresse quelle parole a Pietro come suo vicario, ma a ciascuno de' suoi discepoli e de' fedeli, imponendo loro il precetto della correzione. Di più per quelle parole: dic ecclesiae, non fu dinotato il concilio, che di rado si ha, ma per nome di chiesa s'intesero i prelati che debbono correggere gli ostinati; così appunto spiega il Grisostomo: Dic ecclesiae, praesulibus scilicet ac praesidentibus2. A quello poi d'Innocenzo risponde il Bellarmino3 che per 1. s'intende del consiglio discretivo, non già decisivo; per 2. ch'ivi non si trattava di alcuna questione di fede, ma solo di moderare una pena, se ciò fosse paruto conveniente per conciliar la pace coll'imperatore dal papa scomunicato. Dicono che il papa anche è figlio della chiesa, e perciò anche egli dee alla chiesa ubbidire. Ma si dimanda: che cosa è chiesa? La chiesa è un corpo mistico composto di tutti i fedeli uniti sotto il lor capo, il pontefice romano; così s. Cipriano: Ecclesia est plebs sacerdoti adunata, et grex pastori suo adhaerens4. Ma quando i fedeli son separati dal capo essi non possono chiamarsi né chiesa, né corpo. Come possono chiamarsi corpo le membra divise dal capo? E come può dirsi casa la casa divisa dal fondamento? Il papa poi come uomo privato è bensì figlio della chiesa, ma come pontefice è capo di quella; onde in tutto quel che fa come capo per la podestà datagli da Dio, non è egli sottoposto


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alla chiesa, ma la chiesa è sottoposta a lui.

 

29. Oppongono per quinto e dicono: il concilio elegge il papa, dunque il concilio ha la podestà papale. Dunque, rispondiamo, perché il capitolo ha la facoltà di eleggere il vescovo, perciò ha la podestà episcopale? Iddio ha data la podestà di eleggere il papa alla chiesa, cioè al collegio dei cardinali, o al concilio nel caso di papa dubbio o eretico, ma non già la podestà papale. Oppongono per 6. ; ma se il concilio può deporre il papa eretico, può anche deporlo negli altri delitti egualmente perniciosi alla chiesa; e da ciò deducono essere il concilio sopra del papa. Ma si risponde che la sola eresia, non già gli altri delitti rendono il papa inabile al suo officio; onde in caso che il papa sia eretico, non è che il concilio sia superiore al papa (come allora può esser sopra del papa, se non vi è papa?): allora il concilio dichiara il papa decaduto dal pontificato, come colui che non può esser più dottore della chiesa, tenendo una falsa dottrina. Se poi il papa commette altri delitti, sempre che non insegni una dottrina corrotta, dobbiamo conservargli l'ubbidienza, secondo quel che c'impose il Signore per s. Matteo1: Omnia ergo quaecunque dixerint vobis servate et facite; secundum opera vero eorum nolite facere. E s. Pietro2 scrisse: Servi, subditi estote in omni timore dominis: non tantum bonis et modestis, sed etiam discolis.

 

30. Oppone per 7. Lodovico Maimburgo che gli stessi papi han confessato più volte esser inferiori a' concilj. E dice per prima che Siricio papa, richiesto da alcuni vescovi sull'errore di Bonosio, cioè che la B. V. Maria avesse avuti altri figli dopo Gesù, rispose non poter giudicare su di ciò, per averne commesso il giudizio al concilio di Capua. Ma a ciò vi sono più risposte: la prima che questo fatto proverebbe troppo, poiché il papa non solo sarebbe inferiore al concilio generale, ma anche al provinciale, qual era quello di Capua. Inoltre si risponde che Siricio non si dichiarò ivi inferiore al concilio, anzi dichiarò il contrario, dicendo non convenire alla sua autorità giudicar la causa della definizione di quel concilio; e ciò l'espresse col dire: Nos quasi ex synodi auctoritate iudicare non convenit. Oppone in secondo luogo Maimburgo il detto di Silvestro II., cioè: Si romanus episcopus ecclesiam non audierit, ut ethnicus habendus sit. Si risponde che tal detto non fu di Silvestro, ma di Gerberto monaco, il quale, come riferisce Baronio, nell'anno 992. essendo stato illegittimamente fatto vescovo di Reims, e contendendo d'esser confermato non ostante il dissenso del papa, scrisse quelle parole a Seguino suo metropolitano. Oppone in terzo luogo Maimburgo che Pio II. confessò in una sua bolla ch'egli prima avea difesa la sentenza antica, cioè che il concilio era superiore al papa; dunque, dice Maimburgo, questa è l'antica sentenza. Ma si risponde che nella stessa bolla apparisce il perché Pio avesse chiamata quella sentenza antica; antica perché quella era stata prima da lui tenuta, ma dopo aver conosciuta la verità, e prima d'esser pontefice si era già ritrattato, come apparisce dalla sua epistola mandata ad Eugenio IV.

 

31. Non voglio qui tralasciare di rispondere all'autore del libro: Table Histor. du F. Jean Baptiste Druillot, il quale scrisse che per testimonianza di Teodoreto il concilio costantinopolitano I. ed ecumenico II. fu convocato senza l'autorità di s. Damaso papa di quel tempo. Ma erra, mentre già prima s. Damaso avea scritte premurose lettere all'imperatore Teodosio, affinché si fosse cooperato a far congregare un concilio in Costantinopoli per la condanna dell'eresia di Macedonio. Ciò si ha dallo stesso Teodoreto3 il quale rapporta la lettera che i padri del concilio scrissero a s. Damaso, ove dissero: Et nos ut propria membra congregasti per litteras Dei amantissimi imperatoris.


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Di più nell'azione 18. del VI. sinodo leggesi: Maximus Theodosius imperator et Damasus fidei adamas obstiterunt Macedonio. Lo stesso provano Binio ed il card. Baronio, il quale nell'anno 381 num. 19. riferisce le seguenti parole di un codice antichissimo della biblioteca di s. Maria Maggiore: Sententiam de damnatione Macedonii et Eunomii Damasus confirmari praecepit etiam in s. secunda synodo, quae praecepto et auctoritate eius apud Costantinopolim celebrata est. Narra di più il Baronio1 che s. Damaso già in Roma col congresso di tutti i vescovi occidentali avea stesa e conclusa la condanna contro Macedonio, e che quella stessa, essendo stata trasmessa al concilio, fu dal medesimo letta ed accettata.

 




1 Act. 15. 28.

2 Act. 15. 7.

3 Act. 26. 28.

1 18. 15.

2 Hom. 61. in Matth.

3 L. 2. de concil. c. 16.

4 Ep. l. 4.

1 23. 3.

2 Ep. 2. 18.

3 L. 5. c. 9.

1 Ibid. n. 26.




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