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S. Alfonso Maria de Liguori
Del gran mezzo della preghiera

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CAPO I - DELLA NECESSITÀ DELLA PREGHIERA

Fu già errore de' Pelagiani il dire, che l'Orazione non è necessaria a conseguir la salute. Dicea l'empio lor Maestro Pelagio1, che l'Uomo in tanto solamente si perde, in quanto trascura di conoscere le verità necessarie a sapersi. Ma gran cosa dicea S. Agostino2: Omnia (Pelagius) disputat, quam ut oreta. Pelagio d'ogni altra cosa volea trattare fuorché dell'Orazione, ch'è l'unico mezzo (come teneva ed insegnava il Santo) per acquistare la Scienza de' Santi, secondo quel che scrisse già S. Giacomo: Si quis indiget sapientia, postulet a Deo, qui dat omnibus affluenter, nec3 improperat. Jac. 1. 6.

Son troppo chiare le Scritture, che ci fan vedere la necessità che abbiamo di pregare, se vogliamo salvarci. Oportet semper orare, et non deficere. Luc. 18. 1. Vigilate, et orate, ut non intretis in tentationem. Matth. 26. 41. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7.

Le suddette parole Oportet, Orate, Petite, come vogliono comunemente i Teologi4, significano ed importano precetto e necessità. Vicleffo5 dicea, che questi testi s'intendeano, non già dell'Orazione, ma


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solamente della necessità delle buone opere, sicché il pregare in suo senso non era altro che il bene operare; ma questo fu suo errore, e fu condannato espressamente dalla Chiesa. Onde scrisse il dotto Leonardo Lessiob non potersi negare senza errar nella Fede, che la Preghiera agli Adulti è necessaria per salvarsi; costando evidentemente dalle Scritture, esser l'Orazione l'unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salute: Fide tenendum est Orationem Adultis ad salutem necessariam, ut colligitur ex Scripturis; quia Oratio est medium, sine quo auxilium ad salutem necessarium obtineri nequit6.

La ragione è chiara. Senza il soccorso della Grazia noi non possiamo fare alcun bene. Sine me nihil potestis facere. Jo. 15. 5. Nota S. Agostino su queste parole, che Gesù Cristo non disse, niente potere compire, ma niente fare: Non ait perficere, sed facere7. Per darci con ciò ad intendere il nostro Salvatore, che noi, senza la Grazia neppure possiamo cominciare a far il bene. Anzi scrisse l'Apostolo, che da per noi neppure possiamo aver desiderio di farlo: Non quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis, sed sufficientia nostra ex Deo est. 2. Cor. 3. 58. Se dunque non possiamo neanche pensare al bene tanto meno possiamo desiderarlo. Lo stesso ci significano tante altre Scritture: Deus operatur omnia in omnibus 1. Cor. 12. 79. Faciam ut in praeceptis meis ambuletis, et judicia mea custodiatis, et operemini. Ezech. 36. 27. In modo, che, siccome scrisse S. Leone Ic Nulla facit homo bona, quae non Deus praestet, ut faciat homo10. Noi non facciamo alcun bene, fuori


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di quello che Dio con la sua grazia ci fa operare. Onde il Concilio di Trento nella Sess. 6. Can. 3. disse: Si quis dixerit, sine praeveniente Spiritus Sancti inspiratione, atque ejus adjutorio, hominem credere, sperare, diligite, aut poenitere posse, sicut oportet, ut ei justificationis gratia conferatur, anathema sit.

L'Autore dell'Opera imperfetta, parlando de' bruti, dice che 'l Signore altri ha provveduti di corso, altri di unghie, altri di penne, acciocché così possano conservare il loro essere; ma l'Uomo poi l'ha formato in tale stato, ch'esso solo Dio fosse tutta la di lui virtù: Alios munivit cursu, alios unguibus, alios pennis. Hominem autem sic disposuit, ut virtus illius Ipse sitd 11. Sicché l'Uomo è affatto impotente a procurare la sua salute, poiché ha voluto Iddio, che quanto ha, e può avere tutto lo riceva dal solo aiuto della sua Grazia.

Ma questo aiuto della Grazia il Signore di providenza ordinaria non lo concede, se non a chi prega, secondo la celebre sentenza di Gennadioe: Nullum credimus ad salutem, nisi Deo invitante, venire; nullum invitatum salute suam, nisi Deo auxiliante, operari; nullum, nisi orantem, auxilium promereri12. Posto dunque da una parte, che senza il soccorso della Grazia niente noi possiamo; e posto dall'altra, che tal soccorso ordinariamente non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per conseguenza, che la Preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? È vero che le prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra cooperazione, come sono la vocazione alla Fede, o alla penitenza, dice S. Agostino che Dio le concede anche a coloro che non pregano; nulladimeno tien per certo poi il Santo, che l'altre grazie


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(e specialmente il dono della Perseveranza) non si concedono, se non a chi prega: Deum nobis dare aliqua etiam non orantibus, ut initium Fidei; alia non nisi orantibus praeparasse, sicut Perseverantiamf 13. Ond'è che i Teologi comunemente con S. Basilio14, S. Gio. Grisostomo, Clemente Alessandrino, ed altri col medesimo S. Agostino, insegnano che la Preghiera agli Adulti è necessaria non solo di necessità di precetto, come abbiam veduto, ma anche di mezzo, viene a dire, che di provvidenza ordinaria un Fedele senza raccomandarsi a Dio, con cercargli le grazie necessarie alla salute, è impossibile che si salvi. Lo stesso insegna S. Tommasog dicendo: Post Baptismum autem necessaria est homini jugis oratio, ad hoc quod Caelum introeat; licet enim per Baptismum remittantur peccata, remanet tamen fomes peccati nos impugnans interius, et Mundus, et Daemones qui impugnant exterius. La ragione dunque, che ci fa certi secondo l'Angelico della necessità che abbiamo della Preghiera, eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere, e vincere: Qui certat in agone non coronatur nisi legitime certaverit. 2. Tim. 2. 5. All'incontro senza l'aiuto Divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo aiuto Divino solo per l'Orazione si concede: dunque senza Orazione non v'è salute.

Che poi l'Orazione sia l'unico ordinario mezzo per ricevere i Divini doni, lo conferma più distintamente il medesimo S. Dottore in altro luogoh, dicendo che 'l Signore tutte le grazie che ab eterno ha determinate di donare a noi, vuol donarcele non per altro mezzo che dell'Orazione. E lo stesso scrisse S. Gregorioi: Homines postulando merentur accipere, quod eis Deus ante saecula disposuit donare15. Non già, dice S. Tommasol, è necessario il pregare, affinché Iddio intenda


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i nostri bisogni, ma affinché noi intendiamo la necessità, che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i soccorsi opportuni a salvarci, e con ciò riconoscerlo per unico Autore di tutti i nostri beni: Sed ut nos (son le parole del Santo) consideremus in his ad Divinum auxilium esse recurrendum; et recognoscamus Eum esse bonorum nostrorum Auctorem.16 Siccome dunque ha stabilito il Signore, che noi fossimo provveduti del pane con seminare il grano, e del vino con piantar le viti; così ha voluto che riceviamo le grazie necessarie alla salute per mezzo della Preghiera, dicendo: Petite, et dabitur vobis; quaerite et invenietis. Matth. 7. 7.

Noi in somma altri non siamo che poveri mendici, i quali tanto abbiamo quanto ci dona Dio per limosina. Ego autem mendicus sum et pauper. Psalm. 39. 18. Il Signore, dice S. Agostino, ben desidera e vuole dispensarci le sue grazie, ma non vuol dispensarle, se non a chi le domanda: Deus dare vult, sed non dat nisi petentim 17. Egli si protesta con dire: Petite, et dabitur vobis. Cercate, e vi sarà dato; dunque dice S. Teresa18, chi non cerca, non riceve. Siccome l'umore è necessario alle piante per vivere, e non seccare, così dice il Grisostomonè necessaria a noi l'Orazione per salvarci19. In altro luogo dice il medesimo Santo, che come l'Anima dà vita al Corpo, così l'Orazione mantiene in vita l'Anima: Sicut corpus sine Anima non potest vivere, sic Anima sine Oratione mortua est, et graviter olens20. Dice graviter olens, perché


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chi lascia di raccomandarsi a Dio, subito comincia a puzzar di peccati. Si chiama anche l'Orazione cibo dell'Anima, perché senza cibo non può sostentarsi il Corpo, e senza Orazione (dice S. Agostino) non può conservarsi in vita l'Anima: Sicut escis alitur caro, ita orationibus homo nutritur21. Tutte queste similitudini, che adducono questi Ss. Padri, dinotano l'assoluta necessità ch'essi insegnano d'esservi in tutti di pregare per conseguir la salute.

L'Orazione inoltre è l'arme più necessaria per difenderci da Nemici; chi di questa non s'avvale, dice S. Tommaso, è perduto22. Non dubita il Santo, che Adamo perciò cadde, perché non si raccomandò a Dio, allora che fu tentato: Peccavit, quia ad Divinum auxilium recursum non habuit23. E lo stesso scrisse S. Gelasio parlando degli Angeli ribelli: Dei gratiam in vacuum recipientes, non orando constare nequierunto 24. S. Carlo Borromeo in una Lettera Pastoralep 25 avverte, che tra tutti i mezzi, che Gesù Cristo ci ha raccomandati nel Vangelo, ha dato il primo luogo alla Preghiera; ed in ciò ha voluto che si distinguesse la Sua Chiesa e Religione dalle altre Sette, volendo ch'ella si chiamasse specialmente Casa d'Orazione: Domus mea domus orationis vocabitur. Matth. 21. 13. Conclude S. Carlo nella suddetta Lettera, che la Preghiera Est omnium virtutum principium, progressus, et complementum. Sicché nelle tenebre, nelle miserie, e ne' pericoli, in cui noi ci troviamo non abbiamo in che altro fondare le nostre speranze, che in sollevare gli occhi a Dio, e dalla sua Misericordia impetrare colle Preghiere la nostra salvezza: Sed cum ignoramus (dicea il Re Giosafatte) quid agere debeamus, hoc solum habemus residui, ut oculos dirigamus ad te. 2. Par. 20. 12.


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E così anche praticava Davide, altro mezzo non trovando per non esser preda de' Nemici che pregare continuamente il Signore a liberarlo dalle loro insidie: Oculi mei semper ad Dominum, quoniam ipse evellet de laqueo pedes meos. Psalm. 24. 15. Sicché altro Egli non facea, che pregare dicendo: Respice in me et miserere mei, quia unicus et pauper sum ego, ibid. v. 16. Clamavi ad te, Domine, salvum me fac, ut custodiam mandata tua. Psalm. 118. 146. Signore, volgete a me gli occhi, abbiate pietà di me, e salvatemi: mentr'io non posso niente, e fuori di Voi non ho chi possa aiutarmi.

Ed in fatti come noi potressimo26 mai resistere alle forze de' molti Nemici, ed osservare i Divini Precetti, specialmente dopo il peccato del nostro primo Padre Adamo, che ci ha renduti così deboli ed infermi, se non avessimo il mezzo dell'Orazione, per cui possiamo già dal Signore impetrare la luce, e la forza bastante per osservarli? Fu già bestemmia quel che disse Lutero, cioè che dopo il peccato di Adamo siasi fatta assolutamente impossibile agli Uomini l'osservanza della Divina Legge27. Giansenio ancora disse, che alcuni Precetti anche a' Giusti erano impossibili, secondo le presenti forze che hanno; e fin qui la sua proposizione avrebbe potuto spiegarsi in buon senso; ma ella fu giustamente condannata dalla Chiesa per quello che poi vi aggiunse, dicendo che mancava ancora la Grazia Divina a renderli possibili: Deest quoque Gratia qua possibilia fiant. È vero, dice S. Agostino, che l'uomo per la sua debolezza non può già adempire alcuni precetti colle presenti forze, e colla Grazia ordinaria, o sia comune a tutti, ma ben può colla Preghiera ottener l'aiuto maggiore, che vi bisogna per osservarli: Deus impossibilia non jubet, sed jubendo monet et facere quod possis, et petere quod non possis, et adjuvat ut possisq. Eccellere questo testo del Santo, che poi fu adottato, e fatto Dogma di Fede dal Concilio di Trento. Sess. 6. cap. 11. Ed ivi immediatamente soggiunse il S. Dottore: Videamus unde (cioè, come l'Uomo può fare quel che non può?) medicina poterit, quod vitio non potest28. E vuol dire, che colla Preghiera


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otteniamo il rimedio della nostra debolezza, poiché, pregando noi, Iddio ci dona la forza a fare quel che noi non possiamo29. Non possiamo già credere, siegue a parlare S. Agostino, che 'l Signore abbia voluto imporci l'osservanza della legge, e che poi ci abbia imposta una legge impossibile; e perciò dice il Santo, che allorché Dio ci fa conoscere impotenti ad osservare tutt'i suoi Precetti, Egli ci ammonisce a far le cose facili colla grazia ordinaria, che ci dona, ed a far poi le cose difficili coll'aiuto maggiore, che possiamo impetrare per mezzo della Preghiera: Eo ipso quo firmissime creditur Deus impossibilia non potuisse praecipere, admonemur et in facilibus quid agamus, et in difficilibus quid petamusr 30. Ma perché (dirà taluno) ci ha comandato Dio cose impossibili alle nostre forze? Appunto per questo, dice il Santo, acciocché noi attendiamo ad ottener coll'Orazione l'aiuto per fare ciò che non possiamo: Jubet aliqua, quae non possumus, ut noverimus quid ab illo petere debeamuss 31. Ed in altro luogo: Lex data est, ut gratia quaereretur, gratia data est, ut lex implereturt 32. La legge33 non può osservarsi senza la grazia, e Dio a questo fine ha data la legge, acciocché noi sempre lo supplichiamo a donarci la grazia per osservarla. In altro luogo dice: Bona est lex, si quis ea legitime utatur. Quid est ergo legitime uti lege? E risponde: Per legem agnoscere morbum suum, et quaerere ad sanitatem Divinum adjutoriumu 34. Dice dunque S. Agostino, che noi dobbiamo servirci della legge, ma a che cosa? a conoscere per mezzo della legge (a noi impossibile) la nostra impotenza ad osservarla, acciocché poi impetriamo col pregare l'aiuto Divino, che sana la nostra debolezza.

Lo stesso scrisse S. Bernardo dicendo35: Qui sumus nos, aut quae fortitudo nostra, ut tam multis tentationibus resistere valeamus? Hoc erat certe, quod quaerebat Deus, ut videntes defectum nostrum, et quod non est


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nobis auxilium aliud, ad ejus Misericordiam tota humilitate curramusv. Conosce il Signore, quanto utile sia a noi la necessità di pregare, per conservarci umili, e per esercitare la confidenza; e perciò permette che ci assaltino nemici insuperabili dalle nostre forze, affinché noi colla Preghiera otteniamo dalla sua Misericordia l'aiuto a resistere. Specialmente avvertasi, che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si raccomanda a Dio, quando è tentato. Questa nemica è sì terribile, che quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce; ci fa scordare di tutte le meditazioni, e buoni propositi fatti, e ci fa vilipendere ancora le verità della Fede, quasi perdere anche il timore de' castighi Divini: poiché ella si congiura coll'inclinazion naturale, che con somma violenza ne spinge a' piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L'unica difesa contro quella tentazione è la Preghiera, dice S. Gregorio Nisseno36: Oratio pudicitiae praesidium est.

E lo disse prima Salomone: Et ut scivi, quoniam aliter non possem esse continens, nisi Deus det... adii Dominum, et deprecatus sum illum. Sap. 8. 21. La castità è una virtù, che noi non abbiamo forza di osservarla se Dio non ce la concede, e Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma chi la domanda, certamente l'otterrà.

Pertanto dice S. Tommasoz, contro Giansenio, che non dobbiamo dire essere a noi impossibile il precetto della castità37, o altro Precetto, poiché quantunque non possiamo noi osservarlo colle nostre forze, lo possiamo nondimeno coll'aiuto Divino: Dicendum, quod illud quod possumus cum auxilio Divino, non est nobis omnino impossibile38. Né dicasi, che sembra un'ingiustizia il comandar ad un zoppo, che cammini diritto; no, dice S. Agostino, non è ingiustizia, sempre che gli è dato il modo di trovar il rimedio che sani il suo difetto, onde s'egli poi siegue ad andar tortamente, colpa è la sua: Consultissime homini praecipi, ut rectis passibus ambulet, ut, cum se non posse perspexerit, medicinam requirat ad sanandam peccati claudicationemx 39.


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In somma dice lo stesso S. Dottore, che non saprà mai vivere bene, chi non saprà ben pregare: Recte novit vivere, qui recte novit orareaa 40. Ed all'incontro dicea S. Francesco d'Assisi, che senza Orazione non può sperarsi mai alcuno buon frutto in un'Anima41. A torto dunque si scusano que' peccatori, che dicono di non aver forza di resistere alle tentazioni. Ma se voi (gli rimprovera S. Giacomo) non avete questa forza, perché non la domandate? Voi non l'avete, perché non la cercate: Non habetis, propter quod non postulatis. Jac. 4. 2. Non ha dubbio, che noi siam troppo deboli, per resistere agli assalti de' nostri Nemici; ma è certo ancora, che Dio è fedele, come dice l'Apostolo, e non permette che noi siam tentati oltre le nostre forze: Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet cum tentatione proventum, ut possitis sustinere. 1. Cor. 10. 13. Commenta Primasio42: Illud faciet provenire gratiae praesidio, quod possitis tentationem sustinere. Noi siamo deboli, ma Iddio è forte; quando noi gli domandiamo l'aiuto, allora Egli ci comunica la sua fortezza, e potremo tutto, come giustamente si promettea lo stesso Apostolo dicendo: Omnia possum in eo, qui me confortat. Philip. 4. 13. Non ha scusa dunque (dice S. Gio. Grisostomo) chi cade, perché trascura di pregare, giacché se pregava, non sarebbe restato vinto da' Nemici: Nec quisquam poterit excusari, qui hostem vincere noluit, dum ab orando cessavitab 43.

Qui cade poi il dubbio, se sia necessario il ricorrere ancora all'intercessione de' Santi, per ottenere le Divine grazie. In quanto al


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dire, che sia cosa lecita ed utile l'invocare i Santi, come intercessori ad impetrarci per li meriti di Gesù Cristo quel che noi per li nostri demeriti non siam degni di ottenere; questa è dottrina già della Chiesa, come ha dichiarato il Concilio di Trento (Sess. 25. in Decr. de Invoc. Ss.): Bonum atque utile est suppliciter eos invocare, et ob beneficia impetranda a Deo per Filium ejus Christum ad eorum opem auxiliumque confugere.44 Tale invocazione era condannata dall'empio Calvino, ma troppo ingiustamente; s'è lecito e profittevole l'invocare in nostro soccorso i Santi viventi, e pregarli che ci assistano colle loro orazioni, come facea il Profeta Baruch che diceva: Et pro nobis ipsis orate ad Dominum Deum nostrum. Bar. 1. 13. E S. Paolo: Fratres orate pro nobis. 1. Thess. 5. 25. E Dio medesimo volle, che gli Amici di Giobbe si raccomandassero alle di lui orazioni, acciocché per li meriti di Giobbe Egli poi li favorisse: Ite ad servum meum Job... Job autem servus meus orabit pro vobis; faciem ejus suspiciam. Job. 42. 8. Se è lecito dunque raccomandarsi ai vivi, perché non ha da esser lecito l'invocare i Santi, che in Cielo più da vicino godono Dio? Ciò non è derogare all'onore, che a Dio si dee, ma duplicarlo, com'è l'onorare il Re non solo nella sua persona, ma ancora ne' suoi Servi. Che perciò dice S. Tommasoac esser bene, che si ricorra a' molti Santi, quia plurium orationibus quandoque impetratur, quod unius oratione non impetratur. Che se poi dicesse taluno: Ma a che serve il ricorrere a' Santi, acciocché preghino per noi, quando Essi già pregano per tutti coloro che ne son degni? Risponde lo stesso S. Dottoread, che alcuno non sarebbe già degno, che i Santi preghino per lui,

ma ex hoc fit dignus, quod ad ipsum (Sanctum) cum devotione recurrit.

Si controverte poi, se giovi il raccomandarsi all'Anime del Purgatorio. Alcuni dicono, che l'Anime Purganti non possono pregare per noi, indotti dall'autorità di S. Tommasoae, il quale dice, che quell'Anime, stando a purgarsi tra le pene, sono a noi inferiori, e perciò non sunt in statu orandi, sed magis ut oretur pro eis. Ma molti altri Dottori, come il Bellarmino45, Silvio, Cardinal Gotti ecc.af molto


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probabilmente l'affermano, dovendosi piamente credere, che Dio manifesti loro le nostre Orazioni, affinché quelle sante Anime preghino per noi, e così tra noi e loro si conservi questo bel commercio di carità, cioè che noi preghiamo per esse, ed esse per noi. Né osta (come dicono Silvio e Gotti) quel che ha detto l'Angelico, di non esser l'Anime Purganti in istato di pregare, perché altro è il non essere in istato di pregare, altro il non poter pregare. È vero, che quell'Anime sante non sono in istato di pregare, perché (come dice S. Tommaso) stando a patire sono inferiori a noi, e più presto bisognose delle nostre Orazioni, nulladimeno in tale stato ben possono pregare, perché sono Anime amiche di Dio. Se mai un Padre ama teneramente un Figlio, ma lo tiene carcerato, affin di punirlo per qualche difetto commesso, il Figlio allora non è già in istato di pregare, ma perché non può egli pregare per gli altri? e non isperare di ottenere ciò che chiede, sapendo l'affetto che gli porta il Padre? Così essendo l'Anime del Purgatorio molto amate da Dio, e confermate in Grazia, non v'è impedimento che possa loro vietare di pregarlo per noi. La Chiesa per altro46 non suole invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché ordinariamente elle non conoscono le nostre Orazioni. Ma piamente credesi (come si è detto) che il Signore faccia loro note le nostre preghiere, ed allora esse, che sono piene di carità, non lasciano certamente di pregare per noi. S. Caterina da Bologna, allorché desiderava qualche grazia, ricorreva all'Anime del Purgatorio, e presto si vedeva esaudita anzi attestava, che molte grazie che non avea ottenute per intercessione de' Santi, l'avea poi conseguite per mezzo dell'Anime del Purgatorio47.

Ma qui mi si permetta di fare una digressione a beneficio di quelle sante Anime. Se vogliamo noi il soccorso delle loro Orazioni, è bene che ancora noi attendiamo a soccorrerle colle nostre Orazioni, ed opere. Dissi è bene48, ma anche dee dirsi esser questo uno de doveri Cristiani, poiché richiede la Carità, che noi sovveniamo il Prossimo


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quando il Prossimo sta in necessità del nostro aiuto, e noi possiamo aiutarlo senza grave incomodo. Or'è certo, che tra i nostri Prossimi sono ancora l'Anime del Purgatorio, le quali benché non sieno più in questa vita, nulladimanco49, non lasciano d'essere nella Comunione de Santi. Piorum Animae mortuorum, dice S. Agostino, non separantur ab Ecclesiaag 50.

E più distintamente lo dichiara S. Tommaso a nostro proposito, dicendo che la carità, che deesi verso i Defunti51, i quali son passati all'altra vita in Grazia, è un'estensione di quella stessa Carità, che dobbiamo verso i nostri Prossimi viventi: Caritas quae est vinculum Ecclesiae membra uniens non solum ad vivos se exstendit sed etiam ad Mortuos qui in Caritate decedunt52. Ond'è che noi dobbiamo soccorrere secondo possiamo quelle sante Anime, come nostri Prossimi; ed essendo le loro necessità maggiori di quelle degli altri Prossimi, maggiore ancora per questo riguardo par che sia il nostro dovere di sovvenirle.

Ora in quali necessità si ritrovano quelle sante Prigioniere? È

certo che le loro pene sono immense. Il fuoco che le brucia, dice S. Agostino, è più tormentoso di qualunque pena, che possa affligger l'Uomo in questa vita53: Gravior erit ille ignis quam quodquod potest homo pati in hac vitaah 54. E lo stesso stima S. Tommaso, aggiungendo esser quello il medesimo fuoco dell'inferno: Eodem igne torquetur Damnatus et purgatur Electusai 55. E ciò è in quanto alla pena del senso, ma assai più grande è poi la pena del danno, cioè la privazione della vista di Dio che affligge quelle sue sante Spose; mentre quell'Anime, non solo dal naturale, ma anche dal soprannaturale Amore, di cui ardono verso Dio, son tirate con tal impeto ad unirsi col loro sommo Bene, che vedendosi poi impedite dalle loro colpe, provano una pena sì acerba, che se elleno fossero capaci di morte, morirebbero in ogni momento.


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Sicché, secondo dice il Grisostomo, questa pena della privazione di Dio le tormenta immensamente più, che la pena del senso: Mille Inferni ignes simul uniti non darent tantam poenam, quanta est sola poena damni56. Ond'è che quelle sante Spose vorrebbero patire tutte l'altre pene, che esser private d'un sol momento di quella sospirata unione con Dio. Dice pertanto il Maestro Angelico, che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore, che può patirsi in questa vita: Oportet, quod poena Purgatorii excedat omnem poenam istius vitaeal 57. E riferisce58 Dionisio Cartusiano, che un certo defunto, e poi risorto per intercessione di S. Girolamo, disse a S. Cirillo Gerosolimitano, che tutti i tormenti di questa Terra sono sollievi e delizie, a rispetto della minor pena che v'è nel Purgatorio: Si omnia tormenta mundi minori, quae in Purgatorio habentur, poenae comparentur, solatia eruntam 59. E soggiunse, che se un Uomo avesse provate quelle pene, vorrebbe più presto soffrire tutt'i dolori di questa vita, che han patiti gli Uomini sino al giorno del Giudizio, che patire per un giorno solo la minor pena del Purgatorio. Onde scrisse il nominato S. Cirilloan 60, che quelle pene in quanto all'asprezza sono le stesse, che quelle dell'inferno; in questo solo differiscono, che non sono eterne. Le pene dunque di quelle Anime son troppo grandi; dall'altra parte non possono aiutarsi da se; elle, secondo quel che dice Giobbe, sono in catenis, et vinciuntur funibus paupertatis. Job. 36. 8. Son già destinate al Regno quelle sante Regine, ma son trattenute


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a prenderne il possesso, sin tanto che non giunge il termine della loro purga; sicché non possono aiutarsi (almeno a sufficienza, se vogliam credere a quei Dottori, che vogliono che quell'Anime ben possono anche colle loro Orazioni impetrare qualche sollievo) per isciogliersi da quelle catene, finché non soddisfano61 intieramente la Divina Giustizia; come appunto disse dal Purgatorio un Monaco Cirsterciense al Sacristano del suo Monastero62: Aiutatemi (pregò) colle vostre orazioni, perché io da me niente posso ottenereao. E ciò è secondo quel che dice S. Bonaventura: Mendicitas impedit solutionemap 63. Cioè che quell'Anime sono sì povere, che non han come soddisfare.

All'incontro essendo certo, anzi di Fede, che noi ben possiamo co' nostri suffragi, e principalmente colle Orazioni, lodate con modo particolare, ed anche praticate dalla Chiesa, sollevare quelle sante Anime lo non so come possa essere scusato da colpa, chi trascura di porger loro qualche aiuto, almeno colle sue Orazioni. Ci muova almeno a soccorrere, se non ci muove il dovere, il gusto che si dà a Gesù Cristo in vedere che noi ci applichiamo a sprigionare quelle sue dilette Spose acciocché le abbia seco in Paradiso. Ci muova almeno finalmente l'acquisto de' gran meriti, che possiamo fare, con usare questo grande atto di carità, verso di quelle sante Anime; le quali all'incontro sono gratissime, e ben conoscono il gran beneficio, che noi loro facciamo sollevandole da quelle pene, ed ottenendo colle nostre Orazioni l'anticipamento della loro entrata alla Gloria; onde non lasceranno, allorché elle saranno ivi giunte, di pregare per noi. E se il Signore promette la sua misericordia a chi usa misericordia al suo prossimo: Beati misericordes, quoniam ipsi misericordiam consequentur. Matth. 5. 7. con molta ragione può sperare la sua salute, chi attende a sovvenire quelle sante Anime così afflitte, e così care a Dio. Gionata dopo aver procurata la salute degli Ebrei colla vittoria, che ottenne de' Nemici fu egli

condannato a morte da Saulle suo Padre, per essersi cibato del mele contro l'ordine da lui fatto; ma il Popolo si presentò al Re, e disse:


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Ergo ne Jonathas morietur, qui fecit salutem hanc magnam in Israel? I Reg. 14. 45. Or così appunto dobbiamo sperare, che se mai alcuno di noi ottiene colle sue orazioni che un'Anima esca dal Purgatorio, e vada al Paradiso, quell'Anima dirà a Dio: Signore non permettete, che si perda colui, che mi ha liberato dalle pene. E se Saulle concesse la vita a Gionata, per le suppliche del Popolo, non negherà Iddio la salute eterna a quel Fedele per le preghiere di un'Anima, che gli è Sposa. In oltre dice S. Agostino64, che coloro che, in questa vita avranno più soccorso quelle sante Anime, nell'altra, stando nel Purgatorio, farà Dio che sieno più soccorsi dagli altri. Si avverta qui in quanto alla pratica, essere un gran suffragio per le Anime Purganti il sentir la Messa per esse, ed in quella raccomandarle a Dio per li meriti della Passione di Gesù Cristo, dicendo così: Eterno Padre, io v'offerisco questo Sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, con tutti i dolori ch'Egli patì nella sua vita e morte; e per li meriti della sua Passione vi raccomando l'Anime del Purgatorio, e specialmente ecc. Ed è atto di molta carità raccomandare nello stesso tempo anche l'Anime di tutti gli Agonizzanti.

Questo che poi si è detto in quanto all'Anime Purganti, circa il punto se elle possano o no pregare per noi, e se pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni, non corre certamente a rispetto de' Santi; poiché in quanto a' Santi non può dubitarsi esser utilissimo il ricorrere alla loro intercessione, parlando de' Santi già canonizzati dalla Chiesa, che già godono la vista di Dio. Nel che il credere fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o d'eresia, come vogliono S. Bonaventura, il Bellarmino65, ed altri, o almeno prossima all'eresia, come tengono il Suarez, l'Azorio, il Gotti ecc.


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poiché il Sommo Pontefice nel canonizzare i Santi principalmente,

come insegna l'Angelicoaq, è guidato dall'istinto infallibile dello

Spirito Santo.

Ma ritorniamo al dubbio di sovra proposto, se vi sia anche obbligo di ricorrere all'intercessione de' Santi. Io non voglio entrare a questo punto, ma non posso lasciare di esponere una dottrina dell'Angelico. Egli primieramente in più luoghi rapportati di sopra, e specialmente nel libro delle sentenzear, suppone per certo esser tenuto ciascuno a pregare; poiché in altro modo non possono (come asserisce) ottenersi da Dio le grazie necessarie alla salute, se non si domandano: Ad orationem quilibet tenetur, ex hoc ipso quod tenetur ad bona spiritualia sibi procuranda, quae non nisi divinitus dantur; unde alio modo procurari non possunt, nisi ut a Deo petantur. In altro luogo poi dello stesso libroas il Santo propone appunto il dubbio: Utrum debeamus Sanctos orare ad interpellandum pro nobis? E risponde così (per far ben capire il sentimento del Santo, bisogna riferire l'intero suo testo): Ordo est divinitus institutus in rebus secundum Dionysium, ut per media reducantur in Deum. Unde, cum Sancti, qui sunt in Patria, sint Deo propinquissimi, hoc Divinae legis ordo requirit, ut nos qui manentes in corpore peregrinamur a Domino, in Eum per Sanctos medios reducamur; quod contingit, dum per eos Divina Bonitas suum effectum diffundit.

Et quia reditus noster in Deum respondere debet processui bonitatum Ipsius ad nos, sicut mediantibus Sanctorum suffragiis Dei beneficia in nos deveniunt, oportet nos in Deum reduci, ut iterato beneficia Ejus sumamus mediantibus Sanctis. Et inde est, quod eos Intercessores pro nobis ad Deum constituimus, et quasi Mediatores, dum ab eis petimus, quod pro nobis orarent.

Si notino quelle parole, Hoc Divinae Legis ordo requirit; e specialmente poi si notino l'ultime, Sicut mediantibus Sanctorum suffragiis Dei beneficia in nos deveniunt, ita oportet nos in Deum reduci, ut iterato beneficia ejus sumamus mediantibus Sanctis. Sicché secondo S. Tommaso l'ordine della Divina Legge richiede, che noi Mortali per mezzo de' Santi ci salviamo, col ricevere per loro mezzo gli aiuti necessari alla salute.

Ed all'opposizione che si fa l'Angelico (ad primum) cioè che par superfluo ricorrere a' Santi, mentre Iddio è infinitamente più di loro misericordioso e propenso ad esaudirci, risponde, che ciò ha disposto il Signore, non già per difetto della sua clemenza, ma per conservare


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l'ordine retto, ed universalmente stabilito di operare per mezzo delle cause seconde: Non est propter defectum (parole del Santo) misericordiae ipsius, sed ut ordo praedictus conservetur in rebus.

E secondo quell'autorità di S. Tommaso, scrive il Continuatore di Tournely con Silvio, che sebbene solo Dio dee pregarsi come Autor delle grazie, nulladimeno noi siam tenuti di ricorrere anche all'intercessione de' Santi, per osservare l'ordine che circa la nostra salute il Signore ha stabilito, cioè che gl'inferiori si salvino implorando l'aiuto de' Superiori: Quia lege naturali tenemur eum ordinem observare, quem Deus instituit; at constituit Deus, ut ad salutem Inferiores perveniant implorato Superiorum subsidioat 66.

E se ciò corre parlando de' Santi, maggiormente dee correre dell'Intercessione della Divina Madre, le cui Preghiere appresso Dio valgono67 certamente più che quelle di tutto il Paradiso; mentre disse S. Tommasoau che i Santi68 a proporzione del merito con cui s'han guadagnata la Grazia, possono salvare molti altri; ma che Gesù Cristo, e così anche la sua Madre si han meritata tanta Grazia, che possono salvare tutti gli Uomini: Magnum est enim in quolibet Sancto quando habet tantum de Gratia, quod sufficit ad salutem multorum; sed quando haberet tantum quod sufficeret ad salutem omnium, hoc esset maximum; et hoc est in Christo, et in B. Virgine.69 E S. Bernardoav parlando di Maria scrisse: Per Te accessum habemus ad Filium, o Inventrix gratiae, Mater salutis, ut per Te nos suscipiat, qui per Te datus est nobis70. Col che volle dire, che siccome noi non abbiamo l'accesso al Padre se non per mezzo del Figlio, ch'è Mediatore di Giustizia; così non abbiamo l'accesso al Figlio se non per mezzo della Madre, ch'è Mediatrice di


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Grazia, e che ci ottiene colla sua Intercessione i beni, che Gesù Cristo ci ha meritati. Ed in conseguenza di ciò il medesimo S. Bernardo in altro luogoaz dice, che Maria ha ricevuto da Dio due Pienezze di grazia. La prima è stata l'incarnazione del Verbo eterno fatt'Uomo nel suo Utero Sagrosanto. La seconda è stata la Pienezza delle grazie, che per mezzo delle Preghiere d'essa Divina Madre noi riceviamo da Dio. Quindi soggiunge il Santo: Totius boni plenitudinem (Deus) posuit in Maria, ut proinde si quid spei nobis est, si quid gratiae, si quid salutis, ab Ea noverimus redundare, quae ascendit deliciis affluens. Hortus deliciarum, ut undique fluant et effluant aromata Ejus, charismata scilicet gratiarum71. Sicché quanto noi abbiamo di bene dal Signore, tutto lo riceviamo per mezzo dell'Intercessione di Maria. E perché mai ciò? perché (risponde lo stesso S. Bernardo) così vuole Dio: Sic est voluntas Ejus qui totum nos habere voluit per Mariam72.

Ma la ragione più speciale si ricava da ciò che dice S. Agostino, il quale scrisse, che Maria giustamente si dice nostra Madre, perché Ella ha cooperato colla sua carità, acciocché nascessimo alla vita della Grazia noi fedeli, come membri del nostro Capo Gesù Cristo: Sed plane Mater membrorum Ejus (quae nos sumus), quia cooperata est caritate, ut Fideles in Ecclesia nascerentur, qui illius Capitis membra sunt.. Ond'è che siccome Maria ha cooperato colla sua carità alla nascita spirituale de' Fedeli, così anche vuole Dio, ch'ella cooperi colla sua intercessione a far loro conseguire la vita della Grazia noi fedeli, come membri del nostro Capo Gesù Cristo: Sed plane Mater membrorum Ejus (quae nos sumus), quia cooperata est caritate, ut Fideles in Ecclesia nascerentur, qui illius Capitis membra sunt.ax 73. Ond'è che siccome Maria ha cooperato colla sua carità alla nascita spirituale de' Fedeli, così anche vuole Dio, ch'ella cooperi colla sua intercessione a far loro conseguire la vita della Grazia in questo Mondo, e la vita della Gloria nell'altro. E perciò la santa Chiesa ce la fa chiamare e salutare con termini assoluti, la Vita, la Dolcezza, e la Speranza nostra: Vita, Dulcedo, et Spes nostra salve.

Quindi S. Bernardoba ci esorta di ricorrere sempre a questa Divina Madre, perché le sue Preghiere son certamente esaudite dal


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figlio: Ad Mariam recurre, non dubius dixerim, exaudiet utique Matrem Filius. E poi dice: Filioli, haec peccatorum Scala, haec maxima mea Fiducia, haec tota Ratio spei meae74. La chiama Scala il Santo, perché siccome nella scala non si ascende al terzo gradino, se prima non si mette il piede al secondo; e non si giunge al secondo se non si mette piede al primo, così non si giunge a Dio che per mezzo di Gesù Cristo, e non si giunge a Gesù Cristo che per mezzo di Maria. La chiama poi la massima Sua Fiducia, e tutta la Ragione di sua speranza, perché Iddio (come suppone) tutte le grazie che a noi dispensa, vuol che passino per mano di Maria. E conclude finalmente dicendo, che tutte le grazie che desideriamo, dobbiamo domandarle per mezzo di Maria, perché Ella ottiene quanto cerca, e le sue Preghiere non possono aver ripulsa: Quaeramus gratiam, et per Mariam quaeramus, quia quod quaerit invenit, et frustrari non potest75. E con sentimento conforme a S. Bernardo parlano anche S. Efrem: Nobis non est alia quam a Te fiducia, o Virgo sincerissima76. S. Idelfonso: Omnia bona quae illis summa Majestas decrevit facere, tuis manibus decrevit commendare. Commissi quippe sunt Tibi thesauri, et ornamenta gratiarum77. S. Germano78: Si nos deserueris, quid erit de nobis, o Vita Christianorum? S. Pier Damiani79: In manibus tuis sunt omnes thesauri miserationum Dei. S. Antonino80: Qui petit sine Ipsa, sine alis tentat volare. S. Bernardino da Siena in un luogo dice81: Tu dispensatrix omnium


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gratiarum; salus nostra in manu tua est. In altro luogo non solo dice, che per mezzo di Maria si trasmettono a noi tutte le grazie, ma anche asserisce, che la Beata Vergine da che fu fatta Madre di Dio, acquistò una certa giurisdizione sopra tutte le grazie, che a noi si dispensano82: Per Virginem a capite Christi vitales gratiae in ejus Corpus mysticum transfunduntur. A tempore quo Virgo Mater concepit in utero Verbum Dei, quandam (ut sic dicam) jurisdictionem obtinuit in omni Spiritus Sancti processione temporali; ita ut nulla Creatura aliquam a Deo obtinuerit gratiam, nisi secundum Ipsius piae Matris dispensationem. E conclude: Ideo omnia dona, virtutes, et gratiae, quibus vult, quando vult, et quomodo vult, per Ipsius manus dispensantur83. Lo stesso scrisse S. Bonaventura: Cum tota Natura Divina intra Virginis Uterum exstiterit, non timeo dicere, quod in omnes gratiarum effluxus, quandam jurisdictionem habuerit haec Virgo, de cujus Utero quasi de quodam Divinatis Oceano flumina emanant omnium

gratiarum84. Onde poi molti Teologi fondati sulle autorità di questi Santi, piamente e giustamente han difesa la sentenza, che non vi è grazia che a noi si dispensa, se non per mezzo dell'Intercessione di Maria: così il Vega, il Mendozza, il Paciucchelli, il Segneri, il Poirè, il Crasset85, e molti altri Autori, col dotto P. Natale Alessandro, il quale scrisse: Deus vult, ut omnia bona ab Ipso expectemus, potentissima Virginis Matris intercessione impetranda, cum Eam (ut par est) invocamusbb. E ne adduce in conferma il riferito passo di S. Bernardo: Sic est voluntas Ejus, qui totum voluit nos habere per Mariam. E lo stesso dice il P. Contensone, il quale sulle parole di Gesù Cristo in croce dette a S. Giovanni, Ecce Mater tua, così soggiunse Quasi diceret, Nullus Sanguinis mei particeps erit, nisi intercessione Matris meae. Vulnera gratiarum fontes sunt, sed ad


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nullos derivabuntur rivi, nisi per Mariae canalem. Joannes Discipule, tantum a Me amaberis, quantum Eam amaveris.bc. Del resto è certo, che se gradisce Dio, che noi ricorriamo ai Santi, tanto più gli piacerà, che ci avvagliamo dell'Intercessione di Maria, acciocch'Ella supplisca col suo merito la nostra indegnità, secondo parla S. Anselmo: Ut dignitas intercessoris suppleat inopiam nostram. Unde Virginem interpellare, non est de Divina Misericordia diffidere, sed de propria indignitate formidarebd 86. Parlando poi S. Tommaso della Dignità di Maria, la chiama quasi infinita: Ex hoc quod est Mater Dei, habet quandam dignitatem infinitambe 87.

Onde a ragione dicesi, che le Preghiere di Maria son più potenti appresso Dio, che le Preghiere di tutto il Paradiso insieme.

Terminiamo questo primo punto, concludendo in somma da tutto quel che si è detto, che chi prega, certamente si salva; chi non prega, certamente si danna. Tutti i Beati

(eccettuati i Bambini) si son salvati col pregare. Tutt'i Dannati si son perduti per non pregare; se pregavano, non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggior disperazione nell'Inferno, l'aversi potuto salvare con tanta facilità, quant'era il domandare a Dio le di Lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle.




1 [fonte:3-6..] DA LESSIO, De justitia et jure, lib. II, c. 27, dub. 3, n. 9 = S. AGOST., De Haeres, c. 88; PL 42, 48.



2 [fonte:6-7.] COLLET, II, De act. hum., c. II, 519.

                   [6-7] S. AGOST., De natura et gratia, c. 17, n. 19; PL 44, 225. Cfr. S. A., Theol. mor., lib. I, c. IV, du. I, n. 174, ed. Gaudé, I, 519.



a S. Aug. De Natura, et Grat. cap. 17.



3 [11.] nec, corr.: et non.



4 [16-17.] COLLET, op. cit., II, De orat., art. II, 26: «haec verba, orate, oportet orare, praeceptum indicant»; HABERT, op. cit., § VII, 439: «Dicendo, petite, praeceptum imponit.... et addendo, accipietis, medium necessarium ad obtinendum demonstrat»; SCARAMELLI, Dir. asc., Tr. I, art. VI, c. I, n. 220; SEGNERI, Il crist. istr., part. III, Rag. II, n. VIII, 19. Cfr. anche S. A., Theol. mor., lib. III, inizio.



5 [fonte:18/1-2.] DA COLLET, op. cit., II, De orat., art. II, 26; HABERT, Theol. dogm. et mor., IV, De virt. relig., c. IV, De oratione, § VII, 438-439.

              [18/1-2.] Cfr. TH. WALDENSIS, Doctrinale antiquatum fidei catholicae Ecclesiae, I-III, Venetiis 1747, II, Tit. I, De orat in communi, c. III, n. 2, p. 55: «Nec audiatur Wicleffus cum dicit primo capitulo de Oratione: homines debent continue juste vivere, quia intercissa illa juistitia vivunt diabolo; et de hac sola quam dicit orationem vitalem, intelligendum illud Apostoli, Sine intermissione orate».



b Lessius. De Just. lib. 2. c. 37 n. 9.



6 [7-9.] Testo sunteggiato, LESSIO, loc. cit.



7 [fonte:13.] Da GOTTI, Theol. schol. dogm., III in I-II, De gratia, q. II, dub. III, § II, p. 126

[13.] S. AGOST., Contra duas epist. Pelag., lib. II, c. 8, n. 18; PL 44; 584.



8 [16-18], 2 Cor., 3,5: «Non quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis, quasi ex nobis, sed...».



9 [20.] I Cor., 12, 7: «Idem vero Deus, qui operatur omnia in omnibus».



c S. Leo in Conc. Auris. Can. 20.



10 [22-23.] Conc. Arausicanum II (Orange, 529, sotto Bonifacio II), Can. 20; DBU, 193. S. A. deriva da alcuni autori i quali attribuirono i canoni del II Concilio di Orange al Papa S. Leone I (440-461): BELLARMINO, De gratia et lib. arb., lib. II, c. XI, Opera, Veneetis 1721-1728, IV, 248 (E); VASQUEZ, In I S. Th., Disp. 89, c. 4, Opera, Lugduni 1631, I, 385; SUAREZ, De gratia, Proleg. VI, c. I., n. 19 ss., Opera, Parisiis 1856-1866, VII, 279 ss.; principalmente P. QUESNEL, nella sua Diss. III, qua S. Leoni Magno asseruntur Capitula.... de gratia et libero voluntatis arbitrio, quae Coelestino Papae vulgo tribuuntur, in S. Leoni Magni Opera, ed. Ballerini, Venetiis 1753-1757, II, 690 ss. La supposizione si fondava sulla Praefatio che precede gli Atti del Concilio: «Iustum ac rationabile visum, ut pauca capitula ab Apostolica nobis Sede trasmissa, quae ab antiquis patribus de Sanctarum Scripturarum voluminibus in hac praecipue causa collecta sunt.... ad omnibus observanda proferre»; MANSI, Amplissima collectio, VIII, 712. I Padri del Concilio avrebbero soltanto pubblicato alcuni capitula precedentemente conservati dalla Sede Apostolica in scriniis ecclesiasticis. Sulla controversia, non ancora decisa, cfr. HEFELE-LECLERCQ, Histoire des Conciles, II (2), Paris 1908, 1086 ss. Le parole del can. 20, cit. da s. A. sono di S. AGOST., Contra duas epist. Pelag., lib. II, c. 8, n. 21; PL 44, 586.



d Auct. Op. imperf. Hom. 18.



11 [fonte:9-11.] DA HABERT, loc. cit., 445, sunteggiato.

[9-11.] Ps.-s. GIOV. CRISOST., Comm. in Matth., Hom. 18; PG 56, 730. –



e Gem. Lib. de Eccl. Dogm. inter Opera S. August.



12 [fonte:16-18.] Testo comune: SEGNERI, Cristiano istruito, Parte III, Rag. II, 20; HABERT, loc. cit., 443-444; COLLET, II, De orat., 30; SCARAMELLI, op. cit., Tr. I, art. VI, c. I, n. 216; SARNELLI, Mondo santificato, Part. III, 263.

[16-18.] De eccles. dogm., c. 26, opera attribuita a Gennadio di Marsiglia, sec. V; PL 42, 1218; cfr. GLORIEUX, n. 42.



f S. August. Lib. de Persev. cap. 5.



13 [fonte:2-3] Testo comune: HABERT, loc. cit., 443; COLLET, loc. cit., 26; SEGNERI, loc. cit.; SARNELLI, op. cit., 264.

[2-3.] S. AGOST., De dono persev., c. 16: «Constat alia Deum, danda etiam non orantibus»; PL 45, 1017.



14 [fonte:4-5.] SCARAMELLI, loc. cit., n. 214-220; RODRIGUEZ, Esercitio di perfettione, Tr. V, c. II, 277: «E' dottrina de' Santi Damasceno, Agostino, Basilio, Grisostomo e Gregorio»; Habert, Collet, ai luoghi cit.

[4-5.] S. BASILIO, Hom. in Julittam; PG 31, 243; S. GIOV. CRISOST., Hom. III in Gen., n. 5-6; PG 53, 279-282; Id., De precat. Hom. I; PG 50, 777; De precat., Hom. II, ibid., 779; CLEMENTE ALESS., Strom. lib. VII, c. VII; PG 9, 454 ss.; S. AGOST., il testo cit. più sopra, De dono persev.; PL 45, 1017. –



g S. Thom. 3 p. q. 39. art. 5.



h S. Th. 2. 2. q. 83. ar. 2.



i S. Greg. lib. I Dial. cap. 8.



15 [fonte:24-25.] Da s. TOM., 2-2, q. 83, a. 2, c.

[24-25.] S. GREGORIO M., Dial., lib. I, c. 8; PL 77, 188.



l S. Thom. loco cit. ad I.



16 [3-5.] Fusione di due testi diversi: S. TOM., loc. cit. ad I: «sed ut nos.... esse recurrendum»; ad 2: «et ut recognoscamus.... auctorem».



m S. August. in Ps. 100.



17 [fonte:14.] Da DU SAULT, Riflessioni....., I, 281.

[14.] S. AGOST., In Ps. 102, n. 10; PL 37, 1324.



18 [16.] S. TERESA, Lettere, Lett. VIII, Ann. 10, p. 35.



n Io. Chrys. Tom. I Hom. 67.



19 [fonte:17-18.] MANSI, Bibliotheca, Tr. 58, De oratione, Disc. IX, n. 3.

[17-18.] Testo e cit. del Mansi a cui si riferisce s. A.: «Non minus, quam arbores aquis, precibus nos indigemus; nap neque illae possunt esse fructuosae, nisi humorem radicibus ebibant, neque nos pretiosissimas pietatis fruges fundere, nisi precibus irrigemur»; la cit.: Tom. I Hom. 67, risponde all'ed. del Morel, Opera S. Jo. Chrysost., I-VI, Parisiis 1636, I, Hom. 67, De precatione I, 745.



20 [fonte:20-21.] ALVAREZ DE PAZ, Opera, III, lib. I, pars. I, De necessitate orationis, c. IV, 32; BEYERLINCK, Promptuarium, II, 451; G. LOPEZ, Epitome SS. PP., III, lib. XIII, c. III, 12.

[20-21.] Questo testo, come riferito da Alvarez, Beyerlinck, Lopez, proviene dall' ed. di Basilea: Opera D. Johannis Chrysostomi.... quotquot per graecorum exemplarium facultatem in latinam linguam hactemus traduci potuerunt, I-V, apud Frobenium, Basileae 1539, V, De orando Deum Lib. I, interprete Erasmo Roterdamo, p. 435 (B); traduz. alquanto diversa nel Migne, PG 50, 776, 779.



21 [fonte:4-5.] Testo comune: HABERT, op. cit., c. IV, 386; RODRIGUEZ, op. cit., Tr. V, c. II, 278; ALVAREZ DE PAZ, loc. cit., 28.

[4-5.] Ps.-s. AGOST. (ma PAOLINO D' AQUILEIA, + 802 c.; cfr. GLORIEUX, op. cit., n. 40), De salutaribus documentis, c. XXVIII; PL 40, 1057, testo sunteggiato.



22 [fonte:9.] LOHNER, § VIII, n. 38.

[9.] LOHNER cita: I. P. HIST. S. DOM. L. 3, C. 37 = FERDINANDO DEL CASTILLO, Dell' Historia generale di S. Domenico suo de' Predicatori, Palermo 1626, Part. I, lib. 3, c. 37, p. 483: «Desiderava egli (s. Tommaso) grandemente di vedere i Frati bene esercitati ne l' orazione..... e diceva ch' un Frate senza oratione era come un soldato senza spada».



23 [fonte:11-12.] SFONDRATI, Nodus praedestinationis, 183.

[11-12.] S. TOM., I, q. 94, a. 4 ad 5.



o Epist. 5 ad Episc. in Picaeno contra Pelag.



24 [fonte:12-13.] DA SFONDRATI, op. cit. 183. - Amplissima collectio, VIII, 102; PL 59, 117.

[12-13.] GELASII PAPAE I (492-496), adversus pelagianam haeresim; MANSI,



p Act. Eccle. Med. pag. 1005.



25 [fonte:14-20.] MANSI, loc. cit., Sisc. IX, n. 4; LOHNER, loc. cit., § XIII, n. 13.

[14-20.] Acta Ecclesiae Mediolanensis, I-II, Mediolani 1599, II, Lettera pastorale et instituto dell' Oratione comune, 1005.



26 [10.] potressimo) potremmo VR.



27 [16-27.] Cfr. più avanti, P. II, c. III e IV.



q S. Aug. de Nat. et Grat. c. 44. n. 50.



28 [fonte:30-31.] Da GOTTI, op. cit., III in I S. Th., Tr. De voluntate divina, q. II, dub. III, § III, n. 17, p. 190.

[30-31.] S. AGOST., De nat. et Gratia, c. 43, n. 50: «Jam nunc videamus unde possit, unde non possit.... voluntate quidem non est homo justus, si natura potest: sed medicina poterit, quod vitio non potest»; PL 44, 271.



29 [2.] «possiamo. E su questa autorità....») NP agg. testo completo sopra, Introd. XVIII-XIX.



r Idem ibid. cap. 69. N. 83.



30 [9-11.] S. AGOST., ibid., c. 69, n. 83; PL 44, 289-290, per il testo completo cfr. Part. II, c. IV.



s S. Aug. lib. de Nat. et Grat. c. 16. n.3.



31 [fonte:14-15.] Testo comune, GOTTI, TOURNELY, FORTUNATO DA BRESCIA, ecc., cfr. P. II, c. IV, p. 159 (2-5).

[14-15.] S. AGOST., De gratia et lib. arb., c. 16, n. 32; PL 44, 900.



t Idem in Psal. 502. (102).



32 [15-16.] S. AGOST., De spir. et Litera, c. 19, n. 34; PL 44, 221.



33 [fonte:16-21.] DA PETAU, De Theol. dogm. I, lib. X, c. XXV, n. VII, XII.



u Serm. 13 de Verb. Apost. c. 3.



34 [19-21.] S. AGOST., Idem, De spir. et Litera, Serm. 156 (al 13 De Verb. Apost.), c. 3, n. 3; PL 38, 851.



35 [fonte:26-28/1.] MANSI, Disc. XIV, n. 4; LOHNER, § III, n. 40.

[26-28/1.] S. BERN., In quadrag., Serm. 5, n. 4; PL 183, 179.



v S. Bern. Serm. 5 de Quadrag.



36 [fonte:14.] Da MANSI, Disc. X, n. 9. ALVAREZ DE PAZ, loc. cit., 32.

[14.] S. GREG. NISSENO, De oratione dominica, Or. I: «Oratio pudicitiae praesidium et tutamen est»; PG 44, 1125.



z S. Thom. 1-2, q. 109. a. 4. ad 2.



37 [21.] è impossibile il precetto della castità) è impossibile la castità ND VR.



38 [fonte:23-24.] GOTTI, op. cit., III in I-II S. Th., q. I, Dub. VII, § II, n. 28, p. 32.



x S. Aug. de Perfect. just. cap. 3.



39 [fonte:28-30.] DA GOTTI, loc. cit.

[28-30.] S. AGOST., De perfect. Justitiae, c. III, Rat. 6; PL 44, 295.



aa S. Aug. Hom. 43.



40 [fonte:2.] Testo comune: MANSI, Disc. XIV, n. 5; LOHNER, § III, N. 58; HABERT, op. cit., 468; RODRIGUEZ, loc. cit., c. II, 278.

[2.] Ps.-s. AGOST. (ma s. MASSIMO DI TORINO, sec. V; cfr. GLORIEUX, op. cit., n. 39), Serm. 55, n. I: «Vere novit recte vivere,....»; PL 39, 1849.



41 [fonte:3-4.] RODRIGUEZ, loc. cit., 279. -

[3-4.] S. FRANCISCI Assisiatis.... opera omnia, opera et labore R. P. J. De La Haye, (Lugduni 1641), Oracula et sententiae communes B. P. Francisci, Orac. III: «Orationis gratia viro religioso firmiter desideranda, sine qua nihil in Dei servitio prosperabitur, nec aliquid ab ipso consequetur», ed. Pedeponti 1739, p. 88.



42 [fonte:14.] TOURNELY, Prael. theol., III, De gratia, 574.

[14.] S. A. attribuisce a Primasio alcune parole del Tournely, cfr. più avanti, Part. II, c. II, Prelim. II, p. 107, (21).



ab S. Chrysost. Serm. de Moise.



43 [fonte:20-21.] Da Habert, op. cit., § VII, 445-446: «Nec quisquam.... dum orare cessavit»; G. LOPEZ, Epitome SS. PP., III, lib. XIII, c. i, 10: «.... dum orando cessavit».

[20-21.] Da un Sermo de Moise di autore incerto, nell'ed. di Basilea delle Opere di s. Giov. Crisost., I, 374-375, incompleto; testo completo in F. LIVERANI, Spicilegium liberianum, Florentiae 1863, 190-192; l' autore attribuisce l' Omelia a s. Pier Crisologo; DEKKERS, Clavis, nn. 237, 927, ad un ignoto Chrysostomus latinus; manca nella PG.



44 [4-7.] Conc.Trid., Sess. XXV, Decr. de invocatione....Sanctorum, DBU, n. 984.



ac S. Th. in 2 sentent. Dist. 45 q. 3 a. 2. ad 2.



ad Loco cit. ad 5.



ae S. Thom. 2. 2. q. 83. a. 11. ad 3.



45 [31.] BELLARMINO, Opera, II, Controv. III, De Eccles. quae est in Purgat., lib. II, c. XV, 327. SYLVIUS, In Summam S. Th., Venetiis 1726, IV, In suppl., q. 71, a. 6. GOTTI, In suppl. S. Th., q. IV, dub. II, § III, nn. 28-32, p. 71-73. LESSIO, op. cit., Lib. II, c. 37, dub. V, 414-415. G. MEDINA, Opera, Codex de oratione, q. V, 349.



af Bellarm. lib. 2 de Purgat. cap. 15. Sylvius in qu. 71. Suppl. aart. 6. Gotti tom. 3. trat. 14. q. 4. § 3. in fin. Less. de Justitia lib. 2. cap. 37. Dub. 5. cum Sylv. Medina etc.



46 [17-18.] per altro) non però ND VR



47 [fonte:22-26.] Ad litt. da G. SARNELLI, Il mondo riformato, (1739), 540.

[22-26.] G. GRASSETTI, Vita di S. Caterina da Bologna, Roma 1712, lib. III, c. 3, 189: «Tanta confidenza aveva nell'intercessione di quell'anime, che ne' suoi maggiori bisogni di loro particolarmente si soleva servire, raccomandando ad esse negozi importantissimi, e fatta questa divozione, si trovava esaudita».



48 [fonte:30-31/1-6.] A. SOFFIETTI, La misericordia impegnata...., 179.



49 [4.] nulladimanco) nulladimeno ND VR.



ag S. Aug. lib. 20 de Civ. Dei cap. 9.



50 [5-6.] S. AGOST., De civit. Dei, lib. 20, c. IX, n. 2; PL 41, 674.



51 [8.] Defunti) Defonti VR.



52 [10-12.] S. TOM. Suppl., q. 71, a. 2 c.



53 [fonte:19-22.] DA GOTTI, op. cit., q. III, dub. II, § II, n. 7, 48; SEGNERI, Cristiano istruito, Part. II, Rag. XX, 182 ss. SOFFIETTI, op. cit., 63-64.



ah S. Aug. in Psalm. 37.



54 [19-20.] S. AGOST., In Ps. 37: «gravior erit ille ignis, quam quidquid...», PL 36, 397.



ai D. Thom. in 4 Sent. Dist. 21.



55 [21-22.] S. TOM., In IV Sent., Dist. 21, q. I, a. I sed contra: «sub eodem igne peccator crematur, et electus purgatur» = Suppl., q. 100, a. 2.



56 [fonte:2-4.] SOFFIETTI, op. cit., 84.

[2-4.] Sentenza oratoria riassunta, da s. GIOV. CRISOST., Hom., XXIII in Matth.: «Licet mille quis gehennas proposuerit, nihil tale dicturus est, quale est ex beata illa excidere gloria»; PG 57, 317.



al S. Thom. in 4 Sent. Dist. 21. q. I, a. I. q. 3.



57 [7-8.] S. TOM., In IV Sent., Dist. 21, q. I, a. I, q. I: «Oportet quod poena purgatorii, quantum ad poenam damni et sensus....»



58 [fonte:9-19.] MANSI, Tr. 86, De Purgat., Disc. III, n. 2; LOHNER, v. Purgat., § III, nn. 6-9; § V n. 15.



am Dionys. Chart. Noviss. l. 4 p. 3 a. 19.



59 [12-13.] DIONISIO CARTUS, Opera omnia, Montrolii-Tornaci 1896-1912, vol. XLI (Op. min.), De quatuor hominis novissimis, Art. 53, p. 567. La pseudo lettera di s. Cirillo a s. Agostino risale probabilmente al sec. XII (DEKKERS, Clavis, n. 367). L' autore, impostor et indoctus, ignorò che s. Cirillo (+ 386) non poteva riferire sui miracoli operati da s. Girolamo (+ 420) dopo la morte. Testo della Lettera in PL 22, 282 ss; PL 33, 1126 ss. I passi cit. da Dion. Cart., rispettivamente col. 293, 1129.



an S. Cyr. Jeros. in Ep. ad. S. Aug.



60 [17-19.] Ps. - s. CIRILLO, Epist. cit. «Nihil inter se differunt, quia eaedem sun imagnitudine poenae purgatorii et inferni»; PL 22, 294; 33, 1130; cfr. Dion. Cartus., loc. cit.



61 [5.] soddisfano) soddisfanno VR.



62 [fonte:6-8.] SOFFIETTI, op. cit., 140, 142-144.

[6-8.] Exodium magnum cisterciense, Dist. V, c. V; PL 185? 1133 ss.



ao Istor. dell' Ordine Cisterc.



ap S. Bonave. Serm. de Mort.



63 [fonte:9.] LOHNER, loc. cit., § III, n. 11.

[9.] Ps.-s. BONAVENTURA, Opera, Lugduni 1608, VI, Sermo de animabus, 295: «Tenebrae impediunt operationem, vincula evasionem, mendicitas solutionem»; manca nell' Ed di Quaracchi, cfr. vol. IX, 605 ss.



64 [fonte:7-9.] DA LOHNER (?), v. Misericordia erga defunctos, § III, nn. 22-23.

[7-9.] Ps.-s. Agost., Sermo 44, ad Fratres in eremo: «Ora ergo pro defunctis, ut dum fuerint in aeterna vita, pro te orare non negligant»; PL 40, 1320; «Festinemus ergo, fratres, pro defunctis exorare, ut et ipsi festinent nos ad se vocare»; ibid., 1321. Sull' autore dei Sermones ad fratres in eremo, cfr. J. P. BONNES, Un des plus grands prédicateurs du XII siècle, Geoffroy du Loroux dit Geoffroy Babion, in «Revue Bénédictine», 56 (1945-1946), 175-179; DEKKERS, Clavis, n. 377.



65 [26-27.] S. BONAVENTURA (?); BELLARMINO, Opera, ed. cit., II, Controv. IV, De Ecclesia triumphante, lib. I, c. IX, 356-357, con gli autori ivi cit., s. Tommaso, Driedo, s. Antonino, Gaetano, M. Cano ecc. SUAREZ, Opera, ed. cit., XII, De fide, Disp. V, Sect. VIII, n. 8, 163 ss. Azor, Instit. mor., Lugduni 1616, II, Lib. V, c. VI, q. V, 522 ss. GOTTI, op. cit., q. VI, dub. III, 116 ss.



aq S. Thom. in 4. Sent. Dist. 15. q. 4. a. I. Solut. ad q. 3.



ar S. Thom. In 4. Sent. Dist. 45. q. 3. a. 2.



as S. Thom. Quodlib. 9. art. 16. ad. I.



at Continuat. Tournely tom. I. de Relig. cap. 2 de Orat. art. 4. q. I cum Sylvio.



66 [5-11.] COLLET, op. cit., ed. Venetiis 1736, I, De orat., c. II, Art. IV, 598; ed Parisiis 1747, c. II, Art. V, 48; SYLVIUS, In II-II S. Th., q. 83, a. 4.



67 [13-14.] valgono) vagliono ND VR.



au S. Th. Epist. 8.



68 [fonte:18-21.] Testo comune, cfr. F. PEPE, Delle grandezze di G. C. e della gran Madre di Dio Maria SS., V, Napoli 1748, 457-458; P. SPINELLI, Maria Thronus Dei, Venetiis 1611, 423.



69 [15-21.] E nota (au), errore tipograf.: corr. Opusc. 8 = S. Th., Devotissima expositio super salutatione angelica, Opera, Romae 1570, XVIII, f. 75v; cfr. S. TH. AQUIN. Opuscula Theologica, Romae-Taurini 1954, II, n. 1118, p. 240.



av S. Bern. Serm. in Dom. infr. oct. Assumpt.



70 [22-23.] S. BERNARD. Serm. II, De adv. Domini, n. 5; PL 183, 43.



az S. Bernard. Serm. de Aquaeduct.



71 [7-10.] Id., Serm. de aquaeductu, nn. 4, 5, 6: «... Hortus plane deliciarum, quem non modo afflaverit veniens, sed et perflaverit superveniens auster ille divinus, ut undique...»; PL 183, 440-441.



72 [13-14.] ID., ibid., n. 7, 441.



ax S. Aug. lib. 3 de Symb. ad cat. cap. 4.



73 [fonte:18-20.] Testo comune: PEPE, op. cit., V, 364; SPINELLI, op. cit., 363; NATALIS ALEXANDER, Theol. dogm. et moralis, Parisiis 1703, II, App. I, Ep. 50, p. 3; G. CRASSET, La vera divozione verso Maria V., Venezia 1722, II, Tr. V, c. V, sec. IV, 389.

[18-20.] S. AGOST., Lib. de sancta virginitate, n. 6; PL 40, 399.



ba S. Bern. cit. Serm. de Aquaed.



74 [1-3.] S. BERNARDO, Serm. de aquaeductu, n. 7: «Ad Mariam recurre.... Non dubius dixerim, exaudietur et ipsa pro reverentia sua.... Exaudiet utique Matrem Filius, et exaudiet Filium Pater. Filioli....»; PL 183, 441.



75 [13-14.] S. BERNARDO, Serm. de aquaeductu, n. 8; PL 183, 441-442.



76 [fonte:15-16.] Testo di s. Efrem, PEPE, op. cit., V, 288; A. PACIUCCHELLI, Excitationes dormitantis animae. In ant. Salve Regina, Exc. VII, n. 3, p. 616; Exc. VIII, n. 5, p. 636.

[15-16.] S. EFREM, Opera, Romae, 1746, III, Sermo de SS. Dei Genitricis laudibus, 576.



77 [fonte:16-18.] S. Idelfonso, PEPE, op. cit., VII, 73.

[16-18.] Ps.-s. IDELFONSO (ma anonimo del sec. XII; GLORIEUX, n. 96), Libellus de corona Virginis, c. 15: «.... commissi quippe sunt tibi thesauri sapientiae et scientiae, iocalia gratiarum, decoramenta virtutum, ornamenta gratiarum»; PL 96, 304.



78 [fonte:18.] S. Germano, PEPE, op. cit., V, 232; SPINELLI, op. cit., 200.

[18.] S. GERMANO, Encomium in adorationem venerandae zonae SS. Deiparae, ed. e trad. di L. Lippomano, Historiae de vitis SS., Lovanii 1565, p. 283; trad. diversa in PG 98, 378.



79 [fonte:19.] S. Pier Damiani, PEPE, op. cit., V, 215, 243.

[19.] Ps. -s. PIER DAMIANI (ma Nicola di Clairvaux), Serm. 44 (I), In nativitate B. M. V.; PL 144, 740.



80 [fonte:20.] S. Antonino, PEPE, ibid., 189; SPINELLI, op. cit., 205.

[20.] S. ANTONINO, Summa theol., Veronae 1740, Pars IV, Tit. 15, c. 22: «Hanc (misericordiam) qui petit sine ipsa duce, sine pennis seu alis tentat volare», p. 1086.



81 [21/1.] Fusione di due testi diversi: I, «Tu dispensatrix omnium....» di s. BERNARDINO DA SIENA, Opera, Quaracchi 1950, II, Serm. 61, Art. III, c. III, 397; II, «Salus nostra in manu tua est», di RICCARDO DI S. LORENZO, De laudibus B. M. V., lib. II, c. 15, n. 31, tra le opere di S. ALBERTO MAGNO, Lugduni 1651, XX, 43 (B).



82 [fonte:5-15.] Da CRASSET, op. cit., Tr. I, q. V, § II, p. 73-75.



83 [5-11.] S. BERN. DA SIENA, Serm. 61 cit., art. I, c. VIII: «A tempore quo.... piae Matris dispensationem.... Nam sicut per collum vitales spiritus a capite descendunt in corpus, ita per Virginem, a capite Christo.... transfunduntur», p. 385, le ultime parole sono di Jacopo da Varazze, ibid., Nota 3.



84 [11-15] «Lo stesso scrisse S. Bonaventura», per errore di lettura dal CRASSET, loc. cit., p. 74-75, ma lo stesso Disc. di s. BERN. DA SIENA: «Cum enim tota divina natura, totum esse, posse, scire et velle divinum intra Virginis uterum extiterit classum, non timeo dicere....», ibid., 379.



85 [18 ss.] Per i testi e gli autori cfr. Le glorie di Maria, ed. crit., I, 159-169.



bb Nat. Alex. Epist. 76. in calce To. 4. Moral.



bc Contens. Theol. mentis. et cord. c. 2. 1. 10. D. 4. cap. I.



bd S. Ans. de Excell. Virg. cap. 6.



86 [fonte:5-7.] DA PEPE, op. cit., V, 201-202.

[5-7.] «Secondo parla S. Anselmo», per errore dal PEPE, loc. cit., ma Suarez, Opera, ed. cit., XIX, In III P. S. Th., q. 38, a. 4, Disp. XXIII, Sect. III, n. 4. p. 336; cfr. la nostra Introduzione generale, 138.



be S. Th. I. par. q. 25. a. 6. ad 4.



87 [fonte:9.] Testo comune: PEPE, op. cit., VI, 437; VII, 338; SPINELLI, op. cit., 32.






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