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S. Alfonso Maria de Liguori Lettere IntraText CT - Lettura del testo |
4. AL SUO DIRETTORE SPIRITUALE TOMMASO FALCOIA, VESCOVO DI CASTELLAMMARE.
Lo prega caldamente a permettergli di partirsi di Napoli per dare principio, in Scala, all'Istituto del SSmo Salvatore.
[OTTOBRE 1732 ]
Padre mio, per carità presto, presto, presto, ché io mi moro di desiderio di venire; presto mandatemi a chiamare, e levatemi il mandato che mi avete fatto per Napoli. D. Giovanni Battista [di Donato]1 è lesto ancora ed arde. Vedete all'incontro il demonio quanto fa per impedire che cominciamo presto: ma cominciamo presto, ché non sarà niente, e tutto riuscirà
bene. Sto al penultimo giorno degli esercizî, ed oggi parlo di Mamma mia Maria. Pregate sempre per me, ma sempre, sempre; e presto, presto, presto, a lode di Gesù e di Maria1...
Presso Tannoia, Vita di S. Alfonso, lib. I cap. 20.
Appena fatto sacerdote, fu riputato degno d'essere inviato a Roma col gran servo di Dio Ludovico Sabbatini, a stabilirvi la prima casa dell'Istituto. Vi si trattenne oltre un ventennio, intraprendendo e conducendo a termine le opere più utili alla gloria di Dio e al bene delle anime. Indi tornato in Napoli, gli venner conferite le prime e più difficili cariche della Congregazione, che egli portò con la maggiore esattezza che mai, compiendo ad un tempo le parti di fervente ed instancabile Missionario. E qui, siccome in Roma e dovunque muovesse, si attirava i cuori di tutti col buon odore che tramandava d'ogni virtù. L'amore all'orazione, lo spirito di mortificazione, lo zelo per la salute delle anime, e soprattutto uno studio indefesso di ritrarre in sé possibilmente i divini esempi del celeste Maestro Gesù Cristo, nostro Redentore, lo rendevan caro e venerabile ad ognun che lo conoscesse.
Onde, volendo Dio che questo luminare di santità fosse posto sul candelabro a risplendere nella santa Chiesa, fu promosso all'episcopato e datogli a reggere la diocesi di Castellammare che tenne sino alla morte, sempre intento - all'adempimento di tutti i suoi doveri colla parola e colle opere, giovandolo Dio e confermando le sue cure con segni e prodigi, per quanto straordinari altrettanto frequenti.
Ma la gloria più grande del Falcoia fu l'essere stato prescelto da Dio per formare e guidare l'insigne Apostolo e Dottore degli ultimi tempi,
S. Alfonso. In fatti, questi, dal 24 agosto 1732 fino alla morte di lui, lo ebbe a suo direttore, e di modo si abbandonò nelle sue mani, che gli si obbligò con voto strettissimo d'obbedienza; ricorrendo a lui e da lui dipendendo in ogni cosa, massime nella fondazione dell'Istituto e nelle molteplici contraddizioni a cui fu segno quest'opera di Dio. Ed alla filiale fiducia del santo discepolo rispondeva sempre la paterna sollecitudine del caritativo e prudente direttore. Questi consolava Alfonso in ogni sua tribolazione e gli aggiungeva animo con ripetergli spesso come la Congregazione, ristretta allora e piccola qual granellino di senapa, sarebbesi col tempo allargata per tutto il mondo.
Del che ci piace, fra le molte, presentare alcune bellissime prove. Il giorno 31 luglio 1733 così gli scriveva: " Beati noi, caro mio, che siamo " eletti, perché sopra le nostre umiliazioni, fatighe e sofferenze abbiamo a " portare il carro della gloria divina per tutto il mondo. Animo grande, " caro mio !
Scalpri salubris ictibus
Et tunsione plurima
Fabri polita malleo
Hanc saxa molem construunt. "
Il 28 luglio dell'anno seguente, in un'altra lettera, gli diceva queste parole: " Non badate più ad altro, né per l'opera, né per voi che siete " stato scelto da S. D. Maestà per istrumento principale di questo edifizio, ed avete da portare il suo SS. Nome fra i popoli, genti e regni. "-Ed anche sul letto di morte espresse i medesimi sensi, dicendo con ispirito profetico mentre parlava. della novella Congregazione: " Quest'Opera viene da Dio, ed essa si spanderà come l'erba dei campi. " Poco dopo passava di vita con tutti i segni della predestinazione e d'una vera santità. Era il giorno 20 aprile 1743.
Abbiamo oltre cento lettere del Falcoia a S. Alfonso, e pochissime di questo a lui. Ci è tutta la ragione a credere che S. Alfonso, che rientrò in possesso di quelle dopo la morte del suo direttore, le abbia distrutte per ispirito d'umiltà.