Il precetto
domenicale
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Essendo l'Eucaristia il vero cuore della domenica, si comprende perché, fin dai
primi secoli, i Pastori non abbiano cessato di ricordare ai loro fedeli la
necessità di partecipare all'assemblea liturgica. «Lasciate tutto nel giorno
del Signore — dichiara per esempio il trattato del III° secolo intitolato Didascalia
degli Apostoli — e correte con diligenza alla vostra assemblea, perché è la
vostra lode verso Dio. Altrimenti, quale scusa avranno presso Dio quelli che
non si riuniscono nel giorno del Signore per ascoltare la parola di vita e
nutrirsi dell'alimento divino che rimane eterno?».75 L'appello dei
Pastori ha generalmente incontrato nell'anima dei fedeli un'adesione convinta
e, se non sono mancati tempi e situazioni in cui è calata la tensione ideale
nell'adempimento di questo dovere, non si può però non ricordare l'autentico
eroismo con cui sacerdoti e fedeli hanno ottemperato a quest'obbligo in tante
situazioni di pericolo e di restrizione della libertà religiosa, come è
possibile costatare dai primi secoli della Chiesa fino al nostro tempo.
San Giustino,
nella sua prima Apologia indirizzata all'imperatore Antonino e al Senato,
poteva descrivere con fierezza la prassi cristiana dell'assemblea domenicale,
che riuniva insieme nello stesso luogo i cristiani delle città e quelli delle
campagne.76 Quando, durante la persecuzione di Diocleziano, le loro
assemblee furono interdette con la più grande severità, furono molti i
coraggiosi che sfidarono l'editto imperiale e accettarono la morte pur di non
mancare alla Eucaristia domenicale. E il caso di quei martiri di Abitine, in
Africa proconsolare, che risposero ai loro accusatori: «È senza alcun timore
che abbiamo celebrato la cena del Signore, perché non la si può tralasciare; è
la nostra legge»; «Noi non possiamo stare senza la cena del Signore». E una
delle martiri confessò: «Sì, sono andata all'assemblea e ho celebrato la cena
del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana».77
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Quest'obbligo di coscienza, fondato in una esigenza interiore che i cristiani
dei primi secoli sentivano con tanta forza, la Chiesa non ha cessato di
affermarlo, anche se dapprima non ha ritenuto necessario prescriverlo. Solo più
tardi, davanti alla tiepidezza o alla negligenza di alcuni, ha dovuto
esplicitare il dovere di partecipare alla Messa domenicale: il più delle volte
lo ha fatto sotto forma di esortazioni, ma talvolta ha dovuto ricorrere anche a
precise disposizioni canoniche. È quanto ha fatto in diversi Concili
particolari a partire dal IV secolo (così nel Concilio di Elvira del 300, che
non parla di obbligo ma di conseguenze penali dopo tre assenze) 78 e
soprattutto dal VI secolo in poi (come è avvenuto nel Concilio di Agde del
506).79 Questi decreti di Concili particolari sono sfociati in una
consuetudine universale di carattere obbligante, come cosa del tutto
ovvia.80
Il Codice di
Diritto Canonico del 1917 per la prima volta raccoglieva la tradizione in una
legge universale.81 L'attuale Codice la ribadisce, dicendo che «la
domenica e le altre feste di precetto, i fedeli sono tenuti all'obbligo di
partecipare alla Messa».82 Una tale legge è stata normalmente intesa
come implicante un obbligo grave: è quanto insegna anche il Catechismo della
Chiesa Cattolica,83 e ben se ne comprende il motivo, se si considera la
rilevanza che la domenica ha per la vita cristiana.
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Oggi, come nei tempi eroici degli inizi, in molte regioni del mondo si
ripropongono situazioni difficili per tanti che intendono vivere con coerenza
la propria fede. L'ambiente è a volte dichiaratamente ostile, altre volte — e
più spesso — indifferente e refrattario al messaggio evangelico. Il credente,
se non vuole essere sopraffatto, deve poter contare sul sostegno della comunità
cristiana. È perciò necessario che egli si convinca dell'importanza decisiva
che per la sua vita di fede ha il riunirsi la domenica con gli altri fratelli
per celebrare la Pasqua del Signore nel sacramento della Nuova Alleanza.
Spetta, poi, in modo particolare ai Vescovi di adoperarsi «per far sì che la
domenica venga da tutti i fedeli riconosciuta, santificata e celebrata come
vero "giorno del Signore", nel quale la Chiesa si raduna per
rinnovare la memoria del suo mistero pasquale con l'ascolto della parola di
Dio, con l'offerta del sacrificio del Signore, con la santificazione del giorno
mediante la preghiera, le opere di carità e l'astensione dal lavoro».84
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E dal momento che per i fedeli partecipare alla Messa è un obbligo, a meno che
non abbiano un impedimento grave, ai Pastori s'impone il corrispettivo dovere
di offrire a tutti l'effettiva possibilità di soddisfare al precetto. In questa
linea si muovono le disposizioni del diritto ecclesiastico, quali per esempio
la facoltà per il sacerdote, previa autorizzazione del Vescovo diocesano, di
celebrare più di una Messa di domenica e nei giorni festivi,85
l'istituzione delle Messe vespertine 86 ed infine l'indicazione secondo
cui il tempo utile per l'adempimento dell'obbligo comincia già il sabato sera,
in coincidenza con i primi Vespri della domenica.87 Dal punto di vista
liturgico, infatti, il giorno festivo ha inizio con tali Vespri.88
Conseguentemente la liturgia della Messa detta talvolta «prefestiva», ma che in
realtà è a tutti gli effetti «festiva», è quella della domenica, con l'impegno
per il celebrante di tenere l'omelia e di recitare con i fedeli la preghiera
universale.
I pastori inoltre
ricorderanno ai fedeli che, in caso di assenza dalla loro residenza abituale in
giorno di domenica, essi devono preoccuparsi di partecipare alla Messa là dove
si trovano, arricchendo così la comunità del luogo con la loro testimonianza
personale. Allo stesso tempo, bisognerà che queste comunità esprimano un caldo
senso di accoglienza per i fratelli venuti da fuori, particolarmente nei luoghi
che attirano numerosi turisti e pellegrini, per i quali sarà spesso necessario
prevedere iniziative particolari di assistenza religiosa.89
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