Giorno di
solidarietà
69.
La domenica deve anche dare ai fedeli l'occasione di dedicarsi alle attività di
misericordia, di carità e di apostolato. La partecipazione interiore alla gioia
di Cristo risorto implica la condivisione piena dell'amore che pulsa nel suo
cuore: non c'è gioia senza amore! Gesù stesso lo spiega, ponendo in rapporto il
«comandamento nuovo» con il dono della gioia: «Se osserverete i miei
comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del
Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia
con voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi
amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15, 10-12).
L'Eucaristia
domenicale, dunque, non solo non distoglie dai doveri di carità, ma al
contrario impegna maggiormente i fedeli «a tutte le opere di carità, di pietà,
di apostolato, attraverso le quali divenga manifesto che i fedeli di Cristo non
sono di questo mondo e tuttavia sono luce del mondo e rendono gloria al Padre
dinanzi agli uomini». 113
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Di fatto, fin dai tempi apostolici, la riunione domenicale è stata per i
cristiani un momento di condivisione fraterna nei confronti dei più poveri.
«Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è
riuscito di risparmiare» (1 Cor 16, 2). Qui si tratta della colletta
organizzata da Paolo per le Chiese povere della Giudea: nell'Eucaristia
domenicale il cuore credente si allarga alle dimensioni della Chiesa. Ma
occorre cogliere in profondità l'invito dell'Apostolo, che lungi dal promuovere
un'angusta mentalità dell'«obolo», fa piuttosto appello a una esigente cultura
della condivisione, attuata sia tra i membri stessi della comunità che in
rapporto all'intera società. 114 Sono più che mai da riascoltare i severi
moniti che egli rivolge alla comunità di Corinto, colpevole di aver umiliato i
poveri nell'agape fraterna che accompagnava la «cena del Signore»: «Quando
dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del
Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio
pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per
mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e far
vergognare chi non ha niente?» (1 Cor 11, 20-22). Altrettanto vigorosa è
la parola di Giacomo: «Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con
un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, e entri anche un povero con un
vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli
dite: "Tu siediti qui comodamente" e al povero dite: "Tu mettiti
in piedi lì", oppure "Siediti qui ai piedi del mio sgabello",
non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?»
(2, 2-4).
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Le indicazioni degli Apostoli trovarono pronta eco fin dai primi secoli e
suscitarono vibrati accenti nella predicazione dei Padri della Chiesa. Parole
di fuoco rivolgeva sant'Ambrogio ai ricchi che presumevano di assolvere ai loro
obblighi religiosi frequentando la chiesa senza condividere i loro beni con i
poveri e magari opprimendoli: «Ascolti, o ricco, cosa dice il Signore? E tu
vieni in chiesa non per dare qualcosa a chi è povero ma per prendere».
115 Non meno esigente san Giovanni Crisostomo: «Vuoi onorare il corpo
di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel
tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e
nudità. Colui che ha detto: "Questo è il mio corpo", è il medesimo
che ha detto: "Voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito", e
"Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l'avete fatto a
me" [...]. A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di
calici d'oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare lui affamato, poi
con quello che resterà potrai ornare anche l'altare». 116
Sono parole che
ricordano efficacemente alla comunità cristiana il dovere di fare
dell'Eucaristia il luogo dove la fraternità diventi concreta solidarietà, dove
gli ultimi siano i primi nella considerazione e nell'affetto dei fratelli, dove
Cristo stesso, attraverso il dono generoso fatto dai ricchi ai più poveri,
possa in qualche modo continuare nel tempo il miracolo della moltiplicazione
dei pani. 117
72.
L'Eucaristia è evento e progetto di fraternità. Dalla Messa domenicale parte
un'onda di carità, destinata ad espandersi in tutta la vita dei fedeli,
iniziando ad animare il modo stesso di vivere il resto della domenica. Se essa
è giorno di gioia, occorre che il cristiano dica con i suoi concreti
atteggiamenti che non si può essere felici «da soli». Egli si guarda attorno,
per individuare le persone che possono aver bisogno della sua solidarietà. Può
accadere che nel suo vicinato o nel suo raggio di conoscenze vi siano ammalati,
anziani, bambini, immigrati che proprio di domenica avvertono in modo ancora
più cocente la loro solitudine, le loro necessità, la loro condizione di
sofferenza. Certamente l'impegno per loro non può limitarsi ad una sporadica
iniziativa domenicale. Ma posto un atteggiamento di impegno più globale, perché
non dare al giorno del Signore un maggior tono di condivisione, attivando tutta
l'inventiva di cui è capace la carità cristiana? Invitare a tavola con sé
qualche persona sola, fare visita a degli ammalati, procurare da mangiare a
qualche famiglia bisognosa, dedicare qualche ora a specifiche iniziative di
volontariato e di solidarietà, sarebbe certamente un modo per portare nella
vita la carità di Cristo attinta alla Mensa eucaristica.
73.
Vissuta così, non solo l'Eucaristia domenicale, ma l'intera domenica diventa
una grande scuola di carità, di giustizia e di pace. La presenza del Risorto in
mezzo ai suoi si fa progetto di solidarietà, urgenza di rinnovamento interiore,
spinta a cambiare le strutture di peccato in cui i singoli, le comunità,
talvolta i popoli interi sono irretiti. Lungi dall'essere evasione, la domenica
cristiana è piuttosto «profezia» inscritta nel tempo, profezia che obbliga i
credenti a seguire le orme di Colui che è venuto «per annunciare ai poveri un
lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la
vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del
Signore» (Lc 4, 18-19). Mettendosi alla sua scuola, nella memoria
domenicale della Pasqua, e ricordando la sua promessa: «Vi lascio la pace, vi
dò la mia pace» (Gv 14, 27), il credente diventa a sua volta operatore
di pace.
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