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Ioannes Paulus PP. II
Dies Domini

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  • IV – Dies Hominis - La domenica giorno di gioia, riposo e solidarietà
    • Giorno di solidarietà
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Giorno di solidarietà

 

69. La domenica deve anche dare ai fedeli l'occasione di dedicarsi alle attività di misericordia, di carità e di apostolato. La partecipazione interiore alla gioia di Cristo risorto implica la condivisione piena dell'amore che pulsa nel suo cuore: non c'è gioia senza amore! Gesù stesso lo spiega, ponendo in rapporto il «comandamento nuovo» con il dono della gioia: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15, 10-12).

L'Eucaristia domenicale, dunque, non solo non distoglie dai doveri di carità, ma al contrario impegna maggiormente i fedeli «a tutte le opere di carità, di pietà, di apostolato, attraverso le quali divenga manifesto che i fedeli di Cristo non sono di questo mondo e tuttavia sono luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini». 113

 

70. Di fatto, fin dai tempi apostolici, la riunione domenicale è stata per i cristiani un momento di condivisione fraterna nei confronti dei più poveri. «Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare» (1 Cor 16, 2). Qui si tratta della colletta organizzata da Paolo per le Chiese povere della Giudea: nell'Eucaristia domenicale il cuore credente si allarga alle dimensioni della Chiesa. Ma occorre cogliere in profondità l'invito dell'Apostolo, che lungi dal promuovere un'angusta mentalità dell'«obolo», fa piuttosto appello a una esigente cultura della condivisione, attuata sia tra i membri stessi della comunità che in rapporto all'intera società. 114 Sono più che mai da riascoltare i severi moniti che egli rivolge alla comunità di Corinto, colpevole di aver umiliato i poveri nell'agape fraterna che accompagnava la «cena del Signore»: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente?» (1 Cor 11, 20-22). Altrettanto vigorosa è la parola di Giacomo: «Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, e entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: "Tu siediti qui comodamente" e al povero dite: "Tu mettiti in piedi ", oppure "Siediti qui ai piedi del mio sgabello", non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?» (2, 2-4).

 

71. Le indicazioni degli Apostoli trovarono pronta eco fin dai primi secoli e suscitarono vibrati accenti nella predicazione dei Padri della Chiesa. Parole di fuoco rivolgeva sant'Ambrogio ai ricchi che presumevano di assolvere ai loro obblighi religiosi frequentando la chiesa senza condividere i loro beni con i poveri e magari opprimendoli: «Ascolti, o ricco, cosa dice il Signore? E tu vieni in chiesa non per dare qualcosa a chi è povero ma per prendere». 115 Non meno esigente san Giovanni Crisostomo: «Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Colui che ha detto: "Questo è il mio corpo", è il medesimo che ha detto: "Voi mi avete visto affamato e non mi avete nutrito", e "Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l'avete fatto a me" [...]. A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d'oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare lui affamato, poi con quello che resterà potrai ornare anche l'altare». 116

Sono parole che ricordano efficacemente alla comunità cristiana il dovere di fare dell'Eucaristia il luogo dove la fraternità diventi concreta solidarietà, dove gli ultimi siano i primi nella considerazione e nell'affetto dei fratelli, dove Cristo stesso, attraverso il dono generoso fatto dai ricchi ai più poveri, possa in qualche modo continuare nel tempo il miracolo della moltiplicazione dei pani. 117

 

72. L'Eucaristia è evento e progetto di fraternità. Dalla Messa domenicale parte un'onda di carità, destinata ad espandersi in tutta la vita dei fedeli, iniziando ad animare il modo stesso di vivere il resto della domenica. Se essa è giorno di gioia, occorre che il cristiano dica con i suoi concreti atteggiamenti che non si può essere felici «da soli». Egli si guarda attorno, per individuare le persone che possono aver bisogno della sua solidarietà. Può accadere che nel suo vicinato o nel suo raggio di conoscenze vi siano ammalati, anziani, bambini, immigrati che proprio di domenica avvertono in modo ancora più cocente la loro solitudine, le loro necessità, la loro condizione di sofferenza. Certamente l'impegno per loro non può limitarsi ad una sporadica iniziativa domenicale. Ma posto un atteggiamento di impegno più globale, perché non dare al giorno del Signore un maggior tono di condivisione, attivando tutta l'inventiva di cui è capace la carità cristiana? Invitare a tavola con sé qualche persona sola, fare visita a degli ammalati, procurare da mangiare a qualche famiglia bisognosa, dedicare qualche ora a specifiche iniziative di volontariato e di solidarietà, sarebbe certamente un modo per portare nella vita la carità di Cristo attinta alla Mensa eucaristica.

 

73. Vissuta così, non solo l'Eucaristia domenicale, ma l'intera domenica diventa una grande scuola di carità, di giustizia e di pace. La presenza del Risorto in mezzo ai suoi si fa progetto di solidarietà, urgenza di rinnovamento interiore, spinta a cambiare le strutture di peccato in cui i singoli, le comunità, talvolta i popoli interi sono irretiti. Lungi dall'essere evasione, la domenica cristiana è piuttosto «profezia» inscritta nel tempo, profezia che obbliga i credenti a seguire le orme di Colui che è venuto «per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19). Mettendosi alla sua scuola, nella memoria domenicale della Pasqua, e ricordando la sua promessa: «Vi lascio la pace, vi la mia pace» (Gv 14, 27), il credente diventa a sua volta operatore di pace.

 




113 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 9.



114 Cfr anche s. Giustino, Apologia I, 67, 6: «Quelli che sono nell'abbondanza e che vogliono dare, danno liberamente ciascuno ciò che vuole, e ciò che è raccolto è consegnato a colui che presiede e egli assiste gli orfani, le vedove, i malati, gli indigenti, i prigionieri, gli ospiti stranieri, in una parola, soccorre tutti quelli che sono nel bisogno»: PG 6, 430.



115 De Nabuthae 10, 45: «Audis, dives, quid Dominus Deus dicat? Et tu ad ecclesiam venis, non ut aliquid largiaris pauperi, sed ut auferas»: CSEL 322, 492.



116 Omelie sul Vangelo di Matteo 50, 3-4: PG 58, 508-509.



117 Cfr s. Paolino di Nola, Epist. 13, 11-12 a Pammachio: CSEL 29, 92-93. Il senatore romano è lodato appunto per aver quasi riprodotto il miracolo evangelico, unendo alla partecipazione eucaristica la distribuzione di cibo ai poveri.






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