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Ioannes Paulus PP. II
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  • La giovinezza è una ricchezza singolare
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La giovinezza è una ricchezza singolare

 

3. Inizieremo da ciò che si trova alla fine del testo evangelico. Il giovane se ne va rattristato, «perché aveva molti beni».

Senza dubbio questa frase si riferisce ai beni materiali, dei quali quel giovane era proprietario o erede. Forse è questa una situazione propria solo di alcuni, ma non è tipica. E perciò le parole dell'evangelista suggeriscono un'altra impostazione del problema: si tratta del fatto che la giovinezza di per se stessa (indipendentemente da qualsiasi bene materiale) è una singolare ricchezza dell'uomo, di una ragazza o di un ragazzo, e il più delle volte viene vissuta dai giovani come una specifica ricchezza. Il più delle volte, ma non sempre, non di regola, perché non mancano al mondo uomini che per diversi motivi non sperimentano la giovinezza come ricchezza. Occorrerà parlarne separatamente.

Ci sono tuttavia ragioni - e anche di natura oggettiva - per pensare alla giovinezza come ad una singolare ricchezza, che l'uomo sperimenta proprio in tale periodo della sua vita. Questo si distingue certamente dal periodo dell'infanziaappunto l'uscita dagli anni dell'infanzia), come si distingue anche dal periodo della piena maturità. Il periodo della giovinezza, infatti, è il tempo di una scoperta particolarmente intensa dell'«io» umano e delle proprietà e capacità ad esso unite. Davanti alla vista interiore della personalità in sviluppo di un giovane o di una giovane, gradualmente e successivamente si scopre quella specifica e, in un certo senso, unica e irripetibile potenzialità di una concreta umanità, nella quale è come inscritto l'intero progetto della vita futura. La vita si delinea come la realizzazione di quel progetto: come «auto-realizzazione».

La questione merita naturalmente una spiegazione da molti punti di vista; a volerla tuttavia esprimere in breve, si rivela proprio un tale profilo e forma di quella ricchezza che è la giovinezza. È questa la ricchezza di scoprire ed insieme di programmare, di scegliere, di prevedere e di assumere le prime decisioni in proprio, che avranno importanza per il futuro nella dimensione strettamente personale dell'esistenza umana. Nello stesso tempo, tali decisioni hanno non poca importanza sociale. Il giovane del Vangelo si trovava proprio in questa fase esistenziale, come desumiamo dalle domande stesse che egli fa nel colloquio con Gesù. Perciò, anche quelle parole conclusive sui «molti beni», cioè sulla ricchezza, possono essere intese proprio in tale senso: ricchezza che è la giovinezza stessa.

Dobbiamo però chiedere: questa ricchezza, che è la giovinezza, deve forse allontanare l'uomo da Cristo? L'evangelista certamente non dice questo; l'esame del testo permette, piuttosto, di concludere diversamente. Sulla decisione di allontanarsi da Cristo hanno pesato in definitiva solo le ricchezze esteriori, ciò che quel giovane possedeva («i beni»). Non ciò che egli era! Ciò che egli era, proprio in quanto giovane uomo - cioè la ricchezza interiore che si nasconde nella giovinezza umana - l'aveva condotto a Gesù. E gli aveva anche imposto di fare quelle domande, in cui si tratta nella maniera più chiara del progetto di tutta la vita. Che cosa devo fare? «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Che cosa devo fare, affinché la mia vita abbia pieno valore e pieno senso?

La giovinezza di ciascuno di voi, cari amici, è una ricchezza che si manifesta proprio in questi interrogativi. L'uomo se li pone nell'arco di tutta la vita; tuttavia, nella giovinezza essi si impongono in modo particolarmente intenso, addirittura insistente.. Ed è bene che sia così. Questi interrogativi provano appunto la dinamica dello sviluppo della personalità umana, che è propria della vostra età. Queste domande ve le ponete a volte in modo impaziente, e contemporaneamente voi stessi capite che la risposta ad esse non può essere frettolosasuperficiale. Essa deve avere un peso specifico e definitivo. Si tratta qui di una risposta che riguarda tutta la vita, che racchiude in sé l'insieme dell'esistenza umana.

In modo particolare queste domande essenziali se le pongono quei vostri coetanei, la cui vita sin dalla giovinezza è gravata dalla sofferenza: da qualche carenza fisica, da qualche deficienza, da qualche handicap o limitazione, dalla difficile situazione familiare o sociale. Se con tutto ciò la loro coscienza si sviluppa normalmente, l'interrogativo sul senso e sul valore della vita diventa per loro tanto più essenziale ed insieme particolarmente drammatico, perché sin dall'inizio è contrassegnato dal dolore dell'esistenza. E quanti di questi giovani si trovano in mezzo alla grande moltitudine dei giovani nel mondo intero! Nelle diverse nazioni e società; nelle singole famiglie! Quanti sin dalla giovinezza sono costretti a vivere in un istituto o in un ospedale, condannati ad una certa passività, che può far nascere in loro ii sentimento di essere inutili all'umanità!

Si può dire allora che anche tale loro giovinezza sia una ricchezza interiore? A chi dobbiamo chiedere questo? A chi essi devono porre questo interrogativo essenziale? Sembra che qui sia Cristo l'unico interlocutore competente, quello che nessuno può sostituire pienamente.

 




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