La giovinezza è una ricchezza singolare
3. Inizieremo da ciò che si trova alla
fine del testo evangelico. Il giovane se ne va rattristato, «perché aveva molti
beni».
Senza dubbio questa frase si riferisce ai beni materiali,
dei quali quel giovane era proprietario o erede. Forse è questa una situazione
propria solo di alcuni, ma non è tipica. E perciò le parole dell'evangelista
suggeriscono un'altra impostazione del problema: si tratta del fatto che la
giovinezza di per se stessa (indipendentemente da qualsiasi bene materiale) è
una singolare ricchezza dell'uomo, di una ragazza o di un ragazzo, e il più
delle volte viene vissuta dai giovani come una specifica ricchezza. Il più
delle volte, ma non sempre, non di regola, perché non mancano al mondo uomini
che per diversi motivi non sperimentano la giovinezza come ricchezza. Occorrerà
parlarne separatamente.
Ci sono tuttavia ragioni - e anche di natura oggettiva - per
pensare alla giovinezza come ad una singolare ricchezza, che l'uomo sperimenta
proprio in tale periodo della sua vita. Questo si distingue certamente dal
periodo dell'infanzia (è appunto l'uscita dagli anni dell'infanzia), come si
distingue anche dal periodo della piena maturità. Il periodo della giovinezza,
infatti, è il tempo di una scoperta particolarmente intensa dell'«io» umano e
delle proprietà e capacità ad esso unite. Davanti alla vista interiore della
personalità in sviluppo di un giovane o di una giovane, gradualmente e
successivamente si scopre quella specifica e, in un certo senso, unica e
irripetibile potenzialità di una concreta umanità, nella quale è come inscritto
l'intero progetto della vita futura. La vita si delinea come la realizzazione
di quel progetto: come «auto-realizzazione».
La questione merita naturalmente una spiegazione da molti
punti di vista; a volerla tuttavia esprimere in breve, si rivela proprio un
tale profilo e forma di quella ricchezza che è la giovinezza. È questa la
ricchezza di scoprire ed insieme di programmare, di scegliere, di prevedere e
di assumere le prime decisioni in proprio, che avranno importanza per il futuro
nella dimensione strettamente personale dell'esistenza umana. Nello stesso
tempo, tali decisioni hanno non poca importanza sociale. Il giovane del Vangelo
si trovava proprio in questa fase esistenziale, come desumiamo dalle domande
stesse che egli fa nel colloquio con Gesù. Perciò, anche quelle parole
conclusive sui «molti beni», cioè sulla ricchezza, possono essere intese
proprio in tale senso: ricchezza che è la giovinezza stessa.
Dobbiamo però chiedere: questa ricchezza, che è la giovinezza,
deve forse allontanare l'uomo da Cristo? L'evangelista certamente non dice
questo; l'esame del testo permette, piuttosto, di concludere diversamente.
Sulla decisione di allontanarsi da Cristo hanno pesato in definitiva solo le
ricchezze esteriori, ciò che quel giovane possedeva («i beni»). Non ciò che
egli era! Ciò che egli era, proprio in quanto giovane uomo - cioè la ricchezza
interiore che si nasconde nella giovinezza umana - l'aveva condotto a Gesù. E
gli aveva anche imposto di fare quelle domande, in cui si tratta nella maniera
più chiara del progetto di tutta la vita. Che cosa devo fare? «Che cosa devo
fare per avere la vita eterna?». Che cosa devo fare, affinché la mia vita abbia
pieno valore e pieno senso?
La giovinezza di ciascuno di voi, cari amici, è una
ricchezza che si manifesta proprio in questi interrogativi. L'uomo se li pone
nell'arco di tutta la vita; tuttavia, nella giovinezza essi si impongono in
modo particolarmente intenso, addirittura insistente.. Ed è bene che sia così.
Questi interrogativi provano appunto la dinamica dello sviluppo della
personalità umana, che è propria della vostra età. Queste domande ve le ponete
a volte in modo impaziente, e contemporaneamente voi stessi capite che la
risposta ad esse non può essere frettolosa né superficiale. Essa deve avere un
peso specifico e definitivo. Si tratta qui di una risposta che riguarda tutta
la vita, che racchiude in sé l'insieme dell'esistenza umana.
In modo particolare queste domande essenziali se le pongono
quei vostri coetanei, la cui vita sin dalla giovinezza è gravata dalla
sofferenza: da qualche carenza fisica, da qualche deficienza, da qualche
handicap o limitazione, dalla difficile situazione familiare o sociale. Se con
tutto ciò la loro coscienza si sviluppa normalmente, l'interrogativo sul senso
e sul valore della vita diventa per loro tanto più essenziale ed insieme
particolarmente drammatico, perché sin dall'inizio è contrassegnato dal dolore
dell'esistenza. E quanti di questi giovani si trovano in mezzo alla grande moltitudine
dei giovani nel mondo intero! Nelle diverse nazioni e società; nelle singole
famiglie! Quanti sin dalla giovinezza sono costretti a vivere in un istituto o
in un ospedale, condannati ad una certa passività, che può far nascere in loro
ii sentimento di essere inutili all'umanità!
Si può dire allora che anche tale loro giovinezza sia una
ricchezza interiore? A chi dobbiamo chiedere questo? A chi essi devono porre
questo interrogativo essenziale? Sembra che qui sia Cristo l'unico
interlocutore competente, quello che nessuno può sostituire pienamente.
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