Talenti e compiti
12.
Ecco, in questo contesto della famiglia e della società, che è la vostra
patria, si inserisce gradualmente un tema connesso molto da vicino con la parabola
dei talenti. Gradualmente, infatti, voi riconoscete quel «talento» o quei
«talenti», che sono propri di ciascuno e di ciascuna di voi, e cominciate a
servirvene in modo creativo, cominciate a moltiplicarli. E ciò avviene per
mezzo del lavoro.
Quale scala enorme di possibili direzioni, capacità,
interessi esiste in questo campo! lo non mi impegno ad enumerarli qui neanche a
titolo di esempio, perché c'è pericolo di ometterne più di quanti possa
prenderne in considerazione. Presuppongo, dunque, tutta quella varietà e
molteplicità di direzioni. Essa dimostra anche la molteplice ricchezza delle
scoperte che la giovinezza porta con sé. Facendo riferimento al Vangelo, si può
dire che la giovinezza sia il tempo del discernimento dei talenti. Ed insieme essa
è il tempo in cui si entra nei molteplici itinerari, lungo i quali si sono
sviluppate e ancora continuano a svilupparsi tutta l'attività umana, il lavoro
e la creatività.
Auguro a ciascuna e a ciascuno di scoprire se stesso lungo
questi itinerari. Auguro di entrarvi con interesse, con diligenza, con
entusiasmo. Il lavoro - ogni lavoro - è unito alla fatica: «Col sudore del tuo
volto mangerai il pane» (Gen 3,19) e questa esperienza di fatica viene
partecipata da ciascuno e da ciascuna di voi sin dai primissimi anni. Al tempo
stesso, tuttavia, il lavoro in modo specifico forma l'uomo e, in un certo
senso, lo crea. Dunque, si tratta sempre di una fatica creativa.
Ciò si riferisce non solo al lavoro di ricerca o, in genere,
al lavoro intellettuale conoscitivo, ma anche agli ordinari lavori fisici, i
quali apparentemente non hanno in sé niente di «creativo».
Il lavoro, che è caratteristico del periodo della
giovinezza, costituisce, prima di tutto, una preparazione al lavoro dell'età
matura, ed è perciò legato alla scuola. Penso, dunque, mentre scrivo queste
parole a voi, giovani, a tutte le scuole esistenti in tutto quanto il mondo,
alle quali la vostra giovane esistenza è collegata per vari anni, successivamente
a diversi livelli, a seconda del grado dello sviluppo mentale e l'indirizzo
delle inclinazioni: dalle scuole elementari fino alle università. Penso anche a
tutte le persone adulte, miei fratelli e sorelle, che sono i vostri insegnanti,
educatori, guide delle giovani menti e dei giovani caratteri. Quanto è grande
il loro compito! Quale particolare responsabilità è la loro! Ma quanto grande è
anche il loro merito!
Penso, infine, a quei settori della gioventù, dei vostri
coetanei e coetanee, i quali - specialmente in alcune società e in alcuni
ambienti - sono privi della possibilità dell'istruzione, spesso perfino
dell'istruzione elementare. Questo fatto costituisce una sfida permanente per
tutte le istituzioni responsabili su scala nazionale ed internazionale,
affinché un tale stato di cose venga sottoposto ai necessari miglioramenti.
L'istruzione, infatti, è uno dei beni fondamentali della civiltà umana. Essa ha
un'importanza particolare per i giovani. Da essa dipende anche in larga misura
il futuro dell'intera società.
Quando però poniamo il problema dell'istruzione, dello
studio, della scienza e delle scuole, emerge un problema di importanza
fondamentale per l'uomo e, in modo speciale, per il giovane. Questo è il
problema della verità. La verità è la luce dell'intelletto umano. Se, fin dalla
giovinezza, esso cerca di conoscere la realtà nelle sue diverse dimensioni, ciò
fa allo scopo di possedere la verità: per vivere di verità. Tale è la struttura
dello spirito umano. La fame di verità costituisce la sua fondamentale
aspirazione ed espressione.
Ora Cristo dice: «Conoscerete la verità, e la verità vi farà
liberi» (Gv 8,32). Delle parole contenute nel Vangelo queste certamente sono
tra le più importanti. Esse, infatti, si riferiscono all'uomo nella sua
totalità. Esse spiegano su che cosa si edificano dal di dentro, nelle
dimensioni dello spirito umano, la dignità e la grandezza proprie dell'uomo. La
conoscenza che libera l'uomo non dipende solamente dall'istruzione, anche se
universitaria: può appartenere anche ad un analfabeta; pur tuttavia
l'istruzione, quale conoscenza sistematica della realtà, dovrebbe servire tale
dignità e grandezza. Essa dovrebbe, dunque, servire la verità.
Il servizio alla verità si compie anche nel lavoro, che
sarete chiamati a svolgere dopo aver completato il programma della vostra
istruzione. A scuola dovete acquistare le capacità intellettuali, tecniche e
pratiche, che vi permetteranno di prendere utilmente il vostro posto presso il
grande banco del lavoro umano. Ma se è vero che la scuola deve preparare al
lavoro, anche a quello manuale, è pure vero che il lavoro in se stesso è una
scuola di grandi ed importanti valori: esso possiede una sua eloquenza, che
apporta un valido contributo alla cultura dell'uomo.
Nel rapporto, però, tra istruzione e lavoro, che
caratterizza l'odierna società, emergono gravissimi problemi di ordine pratico.
Mi riferisco, in particolare, al problema della disoccupazione e, più in
generale, della mancanza di posti di lavoro, che travaglia in forme diverse le
giovani generazioni di tutto il mondo. Esso - voi lo sapete bene - porta con sé
altri interrogativi, che fin dagli anni della scuola proiettano un'ombra di
insicurezza circa il vostro futuro. Voi vi domandate: «Ha bisogno di me la
società? Potrò anch'io trovare un lavoro adeguato, che mi consenta di rendermi
indipendente? Di formare una mia famiglia in dignitose condizioni di vita e,
prima fra tutte, in una cosa propria? Insomma, è proprio vero che la società
aspetta il mio contributo?».
La gravità di questi interrogativi mi sollecita a ricordare
anche in questa occasione ai governanti ed a tutti coloro che hanno
responsabilità per l'economia e lo sviluppo delle nazione che il lavoro è un
diritto dell'uomo e, perciò, va garantito, rivolgendo ad esso le cure più
assidue e mettendo al centro della politica economica la preoccupazione di
creare occasioni adeguate di lavoro per tutti e, soprattutto, per i giovani,
che tanto spesso oggi soffrono per la piaga della disoccupazione. Siamo tutti
convinti che «il lavoro è un bene dell'uomo, è un bene della sua umanità,
perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle
proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo
senso, diventa più uomo» (Laborem Exercens, 9).
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