La grande sfida del futuro
15.
La Chiesa guarda i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa
nei giovani, in voi tutti ed insieme in ciascuna e in ciascuno di voi. Così è
stato sin dall'inizio, dai tempi apostolici. Le parole di san Giovanni nella
sua Prima Lettera possono essere una particolare testimonianza: «Scrivo a voi,
giovani, perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché
avete conosciuto il Padre... Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e
la parola di Dio dimora in voi» (1Gv 2,13s).
Le parole dell'apostolo si aggiungono alla conversazione
evangelica di Cristo col giovane, e risuonano con un'eco potente di generazione
in generazione.
Nella nostra generazione, al termine del secondo Millennio
dopo Cristo, anche la Chiesa guarda se stessa nei giovani. E come la Chiesa
guarda se stessa? Ne sia una particolare testimonianza l'insegnamento del
Concilio Vaticano II. La Chiesa vede se stessa come «un sacramento, o segno e
strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»
(Lumen Gentium, 1). E dunque vede se stessa in relazione a tutta la grande
famiglia umana costantemente in crescita. Vede se stessa nelle dimensioni
universali. Vede se stessa sulle vie dell'ecumenismo, cioè dell'unità di tutti
i cristiani, per la quale Cristo stesso ha pregato e che è di indiscutibile
urgenza nel nostro tempo. Vede se stessa anche nel dialogo con i seguaci delle
religioni non cristiane e con tutti gli uomini di buona volontà. Un tale
dialogo è un dialogo di salvezza il quale deve servire anche alla pace nel
mondo e alla giustizia tra gli uomini.
Voi, giovani, siete la speranza della Chiesa che proprio in
questo modo vede se stessa e la sua missione nel mondo. Essa vi parla di questa
missione. Di ciò è stato espressione il recente Messaggio del 1° gennaio 1985,
per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace. Esso è stato
indirizzato proprio a voi sulla base della convinzione che «la via della pace è
insieme la via dei giovani» (La pace e i giovani camminano insieme). Questa
convinzione è un appello ed insieme un impegno: ancora una volta si tratta di
essere «pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in
voi», della speranza che a voi è collegata. Come vedete, questa speranza
riguarda istanze fondamentali ed insieme universali.
Tutti vivete ogni giorno in mezzo ai vostri cari. Questa
cerchia, tuttavia, si allarga gradualmente. Un numero sempre maggiore di
persone partecipa alla vostra vita, e voi stessi scorgete l'abbozzo di una
comunione che vi unisce a loro. Quasi sempre questa è una comunità, in qualche
modo, differenziata. È differenziata così come intravvedeva e dichiarava il
Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa e in quella
pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. La vostra giovinezza si forma a
volte in ambienti uniformi dal punto di vista delle confessioni, a volte
differenziati religiosamente o, addirittura, sul confine tra la fede e la
miscredenza, sia questa sotto la forma dell'agnosticismo o dell'ateismo dipinto
in diversi modi.
Sembra, tuttavia, che di fronte ad alcuni problemi queste
molteplici e differenziate comunità di giovani sentano, pensino, reagiscano in
maniera molto simile. Sembra, ad esempio, che tutti li unisca un atteggiamento
simile verso il fatto che centinaia di migliaia di uomini vivono in estrema
miseria e muoiono addirittura di fame, mentre contemporaneamente cifre
vertiginose sono impiegate per la produzione delle armi nucleari, i cui
arsenali già al momento presente sono in grado di portare all'autodistruzione
dell'umanità. Ci sono altre simili tensioni e minacce, su scala finora non mai
conosciuta nella storia dell'umanità. Di questo si parla nel menzionato
Messaggio per il Capodanno; perciò, non ripeto questi problemi. Tutti siamo
consapevoli che all'orizzonte dell'esistenza di miliardi di persone, che
formano la famiglia umana al termine del secondo millennio dopo Cristo, sembra
profilarsi la possibilità di calamità e di catastrofi in misura davvero
apocalittica.
In tale situazione voi, giovani, potete domandare
giustamente alle precedenti generazioni: Perché si è arrivati a questo? Perché
è stato raggiunto un tale grado di minaccia all'umanità sul globo terrestre?
Quali sono le cause dell'ingiustizia che ferisce gli occhi? Perché tanti che
muoiono di fame? Tanti milioni di profughi alle diverse frontiere? Tanti casi
in cui vengono calpestati i diritti elementari dell'uomo? Tante prigioni e campi
di concentramento, tanta sistematica violenza e uccisioni di persone innocenti,
tanti maltrattamenti dell'uomo e torture, tanti tormenti inflitti ai corpi
umani e alle coscienze umane? E in mezzo a tutto questo c'è anche il fatto di
uomini in giovane età, che hanno sulla coscienza tante vittime innocenti,
perché è stata loro inculcata la convinzione che solo per questa via - del
terrorismo programmato - si può migliorare il mondo. Voi, dunque, ancora una
volta chiedete: perché?
Voi, giovani, potete domandare tutto questo, anzi voi lo
dovete! Si tratta, infatti, del mondo nel quale vivete oggi, e nel quale
dovrete vivere domani, allorché la generazione di età più matura sarà passata.
A ragione, dunque, voi chiedete: Perché un così grande progresso dell'umanità -
che non si può paragonare a nessuna epoca precedente della storia - nel campo
della scienza e della tecnica; perché il progresso nel dominio della materia da
parte dell'uomo si rivolge per tanti aspetti contro l'uomo? Giustamente voi
chiedete anche, pur con un senso di interiore tremore: Questo stato di cose è
forse irreversibile? Può essere mutato? Riusciremo noi a cambiarlo?
Questo voi giustamente chiedete. Sì, è questa la domanda
fondamentale nell'ambito della vostra generazione.
In questa forma continua il vostro colloquio con Cristo,
iniziato un giorno nel Vangelo. Quel giovane domandava: «Che cosa devo fare per
avere la vita eterna?». E voi ponete la domanda a seconda dei tempi, nei quali
vi trovate ad essere giovani: Che cosa dobbiamo fare affinché la vita - la vita
fiorente dell'umanità - non si trasformi nel cimitero della morte nucleare? Che
cosa dobbiamo fare affinché non domini su di noi il peccato dell'universale
ingiustizia? Il peccato del disprezzo dell'uomo e il vilipendio della sua dignità,
pur con tante dichiarazioni che confermano tutti i suoi diritti? Che cosa
dobbiamo fare? E ancora: Sapremo noi farlo?
Il Cristo risponde come già rispondeva ai giovani della
prima generazione della Chiesa con le parole dell'Apostolo: «Scrivo a voi giovani
perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete
conosciuto il Padre... Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti e la
parola di Dio dimora in voi» (1Gv 2,13s). Le parole dell'Apostolo, risalenti a
quasi duemila anni fa, sono anche una risposta per oggi. Esse usano il semplice
e forte linguaggio della fede, che implica la vittoria contro il male che è nel
mondo: «E' questa la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede» (1Gv
5,4). Queste parole sono forti dell'esperienza apostolica - e delle successive
generazioni cristiane - della Croce e della Risurrezione di Cristo. In questa
esperienza si conferma tutto il Vangelo. Si conferma, tra l'altro, la verità
contenuta nel colloquio di Cristo col giovane.
Soffermiamoci, dunque - verso la fine della presente Lettera
- su queste parole apostoliche, che sono ad un tempo una conferma ed una sfida
per voi. Esse sono anche una risposta.
Palpita in voi, nei vostri giovani cuori, il desiderio di
un'autentica fratellanza fra tutti gli uomini, senza divisioni né
contrapposizioni né discriminazioni. Sì! Il desiderio di una fratellanza e di
una molteplice solidarietà, voi giovani, lo portate con voi - e non desiderate
certo la reciproca lotta dell'uomo contro l'uomo sotto qualsiasi forma. Questo
desiderio di fratellanza - l'uomo è il prossimo dell'altro uomo! l'uomo è
fratello per l'altro uomo! - non testimonia forse il fatto (come scrive
l'Apostolo) che «avete conosciuto il Padre»? Che i fratelli sono solo là dove
c'è un padre. E solo là dove c'è il Padre gli uomini sono fratelli.
Se voi, dunque, portate in voi stessi il desiderio della
fratellanza, ciò significa che «la parola di Dio dimora in voi». Dimora in voi
quella dottrina che Cristo ha portato e che giustamente ha il nome di «Buona
Novella». E dimora sulle vostre labbra, o almeno è radicata nei vostri cuori,
la preghiera del Signore, che inizia con le parole «Padre nostro». La preghiera
che, mentre rivela il Padre, conferma al tempo stesso che gli uomini sono
fratelli - e si oppone nell'intero suo contenuto a tutti i programmi costruiti
secondo un principio di lotta dell'uomo contro l'uomo in qualsiasi forma. La
preghiera del «Padre nostro» allontana i cuori umani dall'inimicizia,
dall'odio, dalla violenza, dal terrorismo, dalla discriminazione, dalle
situazioni in cui la dignità umana e i diritti umani sono calpestati.
L'Apostolo scrive che voi, giovani, siete forti della
dottrina divina: di quella dottrina che è contenuta nel Vangelo di Cristo e si
riassume nella preghiera del «Padre nostro». Sì! Siete forti di questo
insegnamento divino, siete forti di questa preghiera. Siete forti, perché essa
infonde in voi l'amore, la benevolenza, il rispetto dell'uomo, della sua vita,
della sua dignità, della sua coscienza, delle sue convinzioni e dei suoi
diritti. Se «avete conosciuto il Padre», siete forti con la potenza della
fratellanza umana.
Siete anche forti per la lotta: non per la lotta contro
l'uomo, nel nome di qualsiasi ideologia o pratica distaccata dalle radici
stesse del Vangelo, ma forti per la lotta contro il male, contro il vero male:
contro tutto ciò che offende Dio, contro ogni ingiustizia e ogni sfruttamento,
contro ogni falsità e menzogna, contro tutto ciò che offende ed umilia, contro
tutto ciò che profana la convivenza umana e le relazioni umane, contro ogni
crimine nei riguardi della vita: contro ogni peccato.
L'Apostolo scrive: «Avete vinto il maligno»! È così. Bisogna
costantemente risalire alle radici del male e del peccato nella storia
dell'umanità e dell'universo, così come Cristo risalì a queste stesse radici
nel suo mistero pasquale della Croce e della Risurrezione. Non bisogna aver
timore di chiamare per nome il primo artefice del male: il Maligno. La tattica,
che egli adoperava ed adopera, consiste nel non rivelarsi, affinché il male, da
lui innestato sin dall'inizio, riceva il suo sviluppo dall'uomo stesso, dai
sistemi stessi e dalle religioni interumane, tra le classi e tra le nazioni ...
per diventare anche sempre di più peccato «strutturale», e lasciarsi sempre di
meno identificare come peccato «personale». Dunque, affinché l'uomo si senta in
un certo senso «liberato» dal peccato e, al tempo stesso, sempre di più sia in
esso sprofondato.
L'Apostolo dice: «Giovani, siete forti»: occorre soltanto
che «la parola di Dio dimori in voi». Allora siete forti: potrete così arrivare
ai meccanismi nascosti del male, alle sue radici, e così riuscirete
gradualmente a cambiare il mondo, a trasformarlo, a renderlo più umano, più
fraterno e, al tempo stesso, più di Dio. Non si può, infatti, staccare il mondo
da Dio e contrapporlo a Dio nel cuore dell'uomo. Né si può staccare l'uomo da
Dio e contrapporlo a Dio. Ciò sarebbe contro la natura del mondo e contro la
natura dell'uomo: contro l'intrinseca verità, che costituisce tutta la realtà!
Davvero il cuore dell'uomo è irrequieto, finché non riposi in Dio. Queste
parole del grande Agostino non perdono mai la loro attualità (cfr.
Sant'Agostino, Confessiones, I, 1).
|