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Ioannes Paulus PP. II
Orientale lumen

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  • I – Conoscere l’Oriente cristiano, un’esperienza di fede
    • Una liturgia per tutto l'uomo e per tutto il cosmo
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Una liturgia per tutto l'uomo e per tutto il cosmo

 

11. Nell'esperienza liturgica, Cristo Signore è la luce che illumina il cammino e svela la trasparenza del cosmo, proprio come nella Scrittura. Gli avvenimenti del passato trovano in Cristo significato e pienezza e il creato si rivela per ciò che è: un insieme di tratti che solo nella liturgia trovano la loro compiutezza, la loro piena destinazione. Ecco perché la liturgia è il cielo sulla terra e in essa il Verbo che ha assunto la carne permea la materia di una potenzialità salvifica che si manifesta in pienezza nei Sacramenti: la creazione comunica a ciascuno la potenza conferitale da Cristo. Così il Signore, immerso nel Giordano, trasmette alle acque una potenza che le abilita ad essere lavacro di rigenerazione battesimale29.

In questo quadro la preghiera liturgica in Oriente mostra una grande attitudine a coinvolgere la persona umana nella sua totalità: il mistero è cantato nella sublimità dei suoi contenuti, ma anche nel calore dei sentimenti che suscita nel cuore dell'umanità salvata. Nell'azione sacra anche la corporeità è convocata alla lode e la bellezza, che in Oriente è uno dei nomi più cari per esprimere la divina armonia e il modello dell'umanità trasfigurata30, si mostra ovunque: nelle forme del tempio, nei suoni, nei colori, nelle luci, nei profumi. Il tempo prolungato delle celebrazioni, la ripetuta invocazione, tutto esprime un progressivo immedesimarsi nel mistero celebrato con tutta la persona. E la preghiera della Chiesa diviene così già partecipazione alla liturgia celeste, anticipo della beatitudine finale.

Questa valorizzazione integrale della persona nelle sue componenti razionali ed emotive, nell'"estasi" e nell'immanenza, è di grande attualità, costituendo una mirabile scuola per la comprensione del significato delle realtà create: esse non sono né un assoluto, né un nido di peccato e di iniquità. Nella liturgia le cose svelano la propria natura di dono offerto dal Creatore all'umanità: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gn 1,31). Se tutto ciò è segnato dal dramma del peccato, che appesantisce la materia e ne ostacola la trasparenza, questa è redenta nell'Incarnazione e resa pienamente teoforica, cioè capace di metterci in relazione con il Padre: questa proprietà è massimamente manifesta nei santi Misteri, i Sacramenti della Chiesa.

Il Cristianesimo non rifiuta la materia; la corporeità viene anzi valorizzata in pieno nell'atto liturgico, nel quale il corpo umano mostra la sua intima natura di tempio dello Spirito e giunge ad unirsi al Signore Gesù, fatto anch'egli corpo per la salvezza del mondo. Né questo comporta una esaltazione assoluta di tutto quanto è fisico, perché conosciamo bene quale disordine abbia introdotto il peccato nell'armonia dell'essere umano. La liturgia rivela che il corpo, attraversando il mistero della Croce, è in cammino verso la trasfigurazione, la pneumatizzazione: sul monte Tabor Cristo lo ha mostrato splendente come è volere del Padre che torni ad essere.

Ed anche la realtà cosmica è convocata al rendimento di grazie, perché tutto il cosmo è chiamato alla ricapitolazione nel Cristo Signore. Si esprime in questa concezione un equilibrato e mirabile insegnamento sulla dignità, il rispetto e la finalità della creazione e del corpo umano in particolare. Esso, rigettato parimenti ogni dualismo ed ogni culto del piacere fine a se stesso, diventa luogo reso luminoso dalla grazia e quindi pienamente umano.

A chi cerca un rapporto di autentico significato con se stesso e con il cosmo, così spesso ancora sfigurato dall'egoismo e dall'ingordigia, la liturgia rivela la via verso l'equilibrio dell'uomo nuovo e invita al rispetto per la potenzialità eucaristica del mondo creato: esso è destinato ad essere assunto nell'Eucaristia del Signore, nella sua Pasqua presente nel sacrificio dell'altare.

 




29 Cfr. S. Gregorio di Nazianzo, Discorso XXXIX: PG 36, 335-360.



30 Cfr. Clemente di Alessandria, Il Pedagogo, III, 1, 1: SCh 158, 12.






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