Un
silenzio che adora
16.
Eppure continuamente questo mistero si vela, si copre di silenzio35,
per evitare che, in luogo di Dio, ci si costruisca un idolo. Solo in una purificazione
progressiva della conoscenza di comunione, l'uomo e Dio si incontreranno e
riconosceranno nell'abbraccio eterno la loro mai cancellata connaturalità
d'amore.
Nasce così
quello che viene chiamato l'apofatismo dell'Oriente cristiano: più l'uomo
cresce nella conoscenza di Dio, più lo percepisce come mistero inaccessibile,
inafferrabile nella sua essenza. Ciò non va confuso con un misticismo oscuro
dove l'uomo si perde in enigmatiche realtà impersonali. Anzi, i cristiani
d'Oriente si rivolgono a Dio come Padre, Figlio, Spirito Santo, persone vive,
teneramente presenti, alle quali esprimono una dossologia liturgica solenne e
umile, maestosa e semplice. Essi però percepiscono che a questa presenza ci si
avvicina soprattutto lasciandosi educare ad un silenzio adorante, perché al
culmine della conoscenza e dell'esperienza di Dio sta la sua assoluta
trascendenza. Ad esso si giunge, più che attraverso una meditazione
sistematica, mediante l'assimilazione orante della Scrittura e della liturgia.
In questa umile
accettazione del limite creaturale di fronte all'infinita trascendenza di un
Dio che non cessa di rivelarsi come il Dio-Amore, Padre del Signore nostro Gesù
Cristo, nel gaudio dello Spirito Santo, io vedo espresso l'atteggiamento della
preghiera e il metodo teologico che l'Oriente preferisce e continua ad offrire
a tutti i credenti in Cristo.
Dobbiamo
confessare che abbiamo tutti bisogno di questo silenzio carico di presenza
adorata: la teologia, per poter valorizzare in pieno la propria anima sapienziale
e spirituale; la preghiera, perché non dimentichi mai che vedere Dio significa
scendere dal monte con un volto così raggiante da essere costretti a coprirlo
con un velo (cfr. Es 34,33) e perché le nostre assemblee sappiano fare spazio
alla presenza di Dio, evitando di celebrare se stesse; la predicazione, perché
non si illuda che sia sufficiente moltiplicare parole per attirare
all'esperienza di Dio; l'impegno, per rinunciare a chiudersi in una lotta senza
amore e perdono. Ne ha bisogno l'uomo di oggi che spesso non sa tacere per
paura di incontrare se stesso, di svelarsi, di sentire il vuoto che si fa
domanda di significato; l'uomo che si stordisce nel rumore. Tutti, credenti e
non credenti, hanno bisogno di imparare un silenzio che permetta all'Altro di
parlare, quando e come vorrà, e a noi di comprendere quella parola.
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