Incontrarsi,
conoscersi, lavorare insieme
22.
Ho vivo il desiderio che le parole che san Paolo rivolgeva dall'Oriente ai
fedeli della Chiesa di Roma risuonino oggi sulle labbra dei cristiani
d'Occidente riguardo ai loro fratelli delle Chiese orientali: "Anzitutto
rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché
la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo" (Rm 1,8). E subito
appresso l'Apostolo delle genti dichiarava con entusiasmo il suo proposito:
"Ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale
perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi
mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io" (Rm 1,11-12). Ecco
dunque delineata mirabilmente la dinamica dell'incontro: la conoscenza dei
tesori di fede altrui - che ho cercato appena di tratteggiare - produce
spontaneamente lo stimolo per un nuovo e più intimo incontro tra fratelli, che
sia di vero e sincero scambio reciproco. È uno stimolo che lo Spirito suscita
costantemente nella Chiesa e che si fa più insistente proprio nei momenti di
maggiore difficoltà.
23.
Sono peraltro ben cosciente che in questo momento alcune tensioni tra la Chiesa
di Roma ed alcune Chiese d'Oriente rendono più difficile il cammino della stima
reciproca in vista della comunione. Più volte questa Sede di Roma si è sforzata
di emanare direttive che favoriscano il cammino comune di tutte le Chiese in un
momento così importante per la vita del mondo, soprattutto nell'Europa
orientale, dove eventi storici drammatici hanno impedito spesso alle Chiese
orientali, in tempi recenti, di realizzare in pienezza il mandato
dell'evangelizzazione che pure sentivano impellente61. Situazioni di
maggiore libertà offrono loro oggi rinnovate opportunità, anche se i mezzi a
loro disposizione sono limitati a causa delle difficoltà dei Paesi ove operano.
Desidero affermare con forza che le comunità d'Occidente sono pronte a favorire
in tutto - e non poche già operano in tal senso - l'intensificazione di questo
ministero di diaconia, mettendo a disposizione di tali Chiese l'esperienza
acquisita in anni di più libero esercizio della carità. Guai a noi se
l'abbondanza dell'uno fosse causa dell'umiliazione dell'altro o di sterili e
scandalose competizioni. Da parte loro le comunità d'Occidente si faranno un
dovere anzitutto di condividere, ove possibile, progetti di servizio con i
fratelli delle Chiese d'Oriente o di contribuire alla realizzazione di quanto
esse intraprendono al servizio dei loro popoli e comunque mai ostenteranno, nei
territori di presenza comune, un atteggiamento che possa apparire irrispettoso
dei faticosi sforzi che le Chiese d'Oriente intendono compiere, con tanto
maggior merito quanto più precarie sono le loro disponibilità.
Esprimere
gesti di comune carità, l'una verso l'altra ed insieme verso gli uomini che si
trovano in necessità, apparirà come un atto di immediata eloquenza. Evitare
questo o addirittura testimoniare il contrario indurrà quanti ci osservano a
credere che ogni impegno di riavvicinamento fra le Chiese nella carità è solo
enunciazione astratta, senza convinzione e senza concretezza.
Sento
fondamentale il richiamo del Signore ad operare in ogni modo perché tutti i
credenti in Cristo testimonino insieme la propria fede, soprattutto nei
territori dove più consistente è la convivenza fra figli della Chiesa cattolica
- latini e orientali - e figli delle Chiese ortodosse. Dopo il comune martirio
patito per Cristo sotto l'oppressione dei regimi atei, è giunto il momento di
soffrire, se necessario, per non venire mai meno alla testimonianza della
carità tra cristiani, perché se anche dessimo il nostro corpo per essere
bruciato, ma non avessimo la carità, a nulla servirebbe (cfr. 1Cor 13,3).
Dovremo pregare intensamente perché il Signore intenerisca le nostre menti e i
nostri cuori e ci doni la pazienza e la mitezza.
24.
Credo che un modo importante per crescere nella comprensione reciproca e
nell'unità consista proprio nel migliorare la nostra conoscenza gli uni degli
altri. I figli della Chiesa cattolica già conoscono le vie che la Santa Sede ha
indicato perché essi possano raggiungere tale scopo: conoscere la liturgia
delle Chiese d'Oriente62; approfondire la conoscenza delle tradizioni
spirituali dei Padri e dei Dottori dell'Oriente cristiano63; prendere
esempio dalle Chiese d'Oriente per l'inculturazione del messaggio del Vangelo;
combattere le tensioni fra Latini e Orientali e stimolare il dialogo fra
Cattolici e Ortodossi; formare in istituzioni specializzate per l'Oriente
cristiano teologi, liturgisti, storici e canonisti che possano diffondere, a
loro volta, la conoscenza delle Chiese d'Oriente; offrire nei seminari e nelle
facoltà teologiche un insegnamento adeguato su tali materie, soprattutto per i
futuri sacerdoti64. Sono indicazioni sempre molto valide, sulle quali
intendo insistere con particolare forza.
25.
Oltre alla conoscenza, sento molto importante la frequentazione reciproca. Al
riguardo, auspico che un'opera particolare esercitino i monasteri, proprio per
il ruolo tutto speciale che riveste la vita monastica all'interno delle Chiese
e per i molti punti che uniscono l'esperienza monastica, e quindi la
sensibilità spirituale, in Oriente e in Occidente. Un'altra forma di incontro è
costituita dall'accoglienza di docenti e studenti ortodossi presso le
Università Pontificie ed altre istituzioni accademiche cattoliche. Continueremo
a fare il possibile perché tale accoglienza possa assumere proporzioni
maggiori. Dio benedica inoltre la nascita e lo sviluppo di luoghi destinati
proprio all'ospitalità dei nostri fratelli d'Oriente, anche in questa città di
Roma, che custodisce la memoria vivente e comune dei corifei degli Apostoli e
di tanti martiri.
È importante
che le iniziative d'incontro e di scambio coinvolgano nel modo e nelle forme
più ampie le comunità ecclesiali: sappiamo ad esempio quanto positive possano
risultare iniziative di contatto tra parrocchie, come "gemellate" per
un reciproco arricchimento culturale e spirituale, anche nell'esercizio della
carità.
Giudico molto
positivamente le iniziative di pellegrinaggi comuni sui luoghi dove la santità
si è espressa in modo particolare, nel ricordo di uomini e donne che in ogni
tempo hanno arricchito la Chiesa del sacrificio della propria vita. In questa
direzione sarebbe poi un atto di grande significato il pervenire al
riconoscimento comune della santità di quei cristiani che negli ultimi decenni,
in particolare nei Paesi dell'Est europeo, hanno versato il sangue per l'unica
fede in Cristo.
26.
Un pensiero particolare va poi ai territori della diaspora dove vivono, in
ambito a maggioranza latina, molti fedeli delle Chiese orientali che hanno
lasciato le loro terre d'origine. Questi luoghi, dove più facile è il contatto
sereno all'interno di una società pluralistica, potrebbero essere l'ambiente
ideale per migliorare e intensificare la collaborazione fra le Chiese nella
formazione dei futuri sacerdoti, nei progetti pastorali e caritativi, anche a
vantaggio delle terre d'origine degli Orientali.
Agli Ordinari
latini di quei Paesi raccomando in modo particolare lo studio attento, la piena
comprensione e la fedele applicazione dei principi enunciati da questa Sede
sulla collaborazione ecumenica65 e sulla cura pastorale dei fedeli
delle Chiese orientali cattoliche, soprattutto quando costoro sono sprovvisti
di una propria Gerarchia.
Invito i
Gerarchi e il clero orientale cattolico a collaborare strettamente con gli
Ordinari latini per una pastorale efficace che non sia frammentaria,
soprattutto quando la loro giurisdizione si estende su territori molto vasti
ove l'assenza di collaborazione significa, in effetti, l'isolamento. I Gerarchi
orientali cattolici non trascureranno alcun mezzo per favorire un clima di
fraternità, di stima sincera e reciproca, e di collaborazione con i loro
fratelli delle Chiese alle quali non ci unisce ancora una comunione piena, in
particolare verso coloro che appartengono alla medesima tradizione ecclesiale.
Laddove in
Occidente non vi fossero sacerdoti orientali per assistere i fedeli delle
Chiese orientali cattoliche, gli Ordinari latini ed i loro collaboratori
operino perché cresca in quei fedeli la coscienza e la conoscenza della propria
tradizione, ed essi siano chiamati a cooperare attivamente, con il loro apporto
specifico, alla crescita della comunità cristiana.
27.
Con riferimento al monachesimo, in considerazione della sua importanza nel
cristianesimo d'Oriente, desideriamo che esso rifiorisca nelle Chiese orientali
cattoliche e siano incoraggiati quanti si sentono chiamati a operare per questo
rafforzamento66. Esiste infatti un intrinseco legame fra la preghiera
liturgica, la tradizione spirituale e la vita monastica in Oriente. Proprio per
questo, anche per loro una ripresa ben formata e motivata della vita monastica
potrebbe significare una vera fioritura ecclesiale. Né si dovrà pensare che ciò
diminuisca l'efficacia del ministero pastorale, che anzi uscirà corroborata da
una così robusta spiritualità e ritroverà in tal modo la sua collocazione
ideale. Tale auspicio riguarda anche i territori della diaspora orientale, ove
la presenza di monasteri orientali darebbe maggiore solidità alle Chiese
orientali in quei Paesi, offrendo inoltre un prezioso apporto alla vita
religiosa dei cristiani d'Occidente.
Camminare
insieme vero l'orientale lumen
28.
Nel concludere questa Lettera il mio pensiero va ai diletti fratelli i
Patriarchi, i Vescovi, i Sacerdoti e i Diaconi, i Monaci e le Monache, gli
uomini e le donne delle Chiese d'Oriente.
Sulla soglia
del terzo millennio noi tutti sentiamo giungere alle nostre Sedi il grido degli
uomini, schiacciati dal peso di minacce gravi eppure, forse persino a loro
insaputa, desiderosi di conoscere la storia d'amore voluta da Dio. Quegli
uomini sentono che un raggio di luce, se accolto, può ancora disperdere le tenebre
dall'orizzonte della tenerezza del Padre.
Maria,
"Madre dell'astro che non tramonta"67, "aurora del
mistico giorno"68, "oriente del Sole di
gloria"69, ci addita l'orientale lumen.
Da Oriente
ogni giorno torna a sorgere il sole della speranza, la luce che restituisce al
genere umano la sua esistenza. Da Oriente, secondo una bella immagine, tornerà
il nostro Salvatore (cfr. Mt 24,27).
Gli uomini e
le donne d'Oriente sono per noi segno del Signore che torna. Noi non possiamo
dimenticarli, non solo perché li amiamo come fratelli e sorelle, redenti dallo
stesso Signore, ma anche perché la nostalgia santa dei secoli vissuti nella
piena comunione della fede e della carità ci urge, ci grida i nostri peccati,
le nostre reciproche incomprensioni: noi abbiamo privato il mondo di una
testimonianza comune che, forse, avrebbe potuto evitare tanti drammi se non
addirittura cambiare il senso della storia.
Noi sentiamo
con dolore di non potere ancora partecipare alla medesima Eucaristia. Ora che
il millennio si chiude e il nostro sguardo è tutto rivolto al Sole che sorge,
li ritroviamo con gratitudine sul percorso del nostro sguardo e del nostro
cuore.
L'eco del
Vangelo, parola che non delude, continua a risuonare con forza, indebolita solo
dalla nostra separazione: Cristo grida, ma l'uomo stenta a sentire la sua voce
perché noi non riusciamo a trasmettere parole unanimi. Ascoltiamo insieme
l'invocazione degli uomini che vogliono udire intera la Parola di Dio. Le
parole dell'Occidente hanno bisogno delle parole dell'Oriente perché la Parola
di Dio manifesti sempre meglio le sue insondabili ricchezze. Le nostre parole
si incontreranno per sempre nella Gerusalemme del cielo, ma invochiamo e
vogliamo che quell'incontro sia anticipato nella santa Chiesa che ancora
cammina verso la pienezza del Regno.
Voglia Dio
far breve il tempo e lo spazio. Presto, molto presto Cristo, l'orientale lumen,
ci conceda di scoprire che in realtà, nonostante tanti secoli di lontananza,
eravamo vicinissimi, perché insieme, forse senza saperlo, camminavamo verso
l'unico Signore, e quindi gli uni verso gli altri.
L'uomo del
terzo millennio possa godere di questa scoperta, finalmente raggiunto da una
parola concorde e per questo pienamente credibile, proclamata da fratelli che
si amano e si ringraziano per le ricchezze che reciprocamente si donano. E così
noi ci presenteremo a Dio con le mani pure della riconciliazione e gli uomini
del mondo avranno una solida ragione in più per credere e per sperare.
Con questi
voti imparto a tutti la mia Benedizione.
Dal
Vaticano, il 2 maggio, memoria di S. Atanasio, Vescovo e Dottore della Chiesa,
dell'anno 1995, decimosettimo di Pontificato.
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