3. Il magistero di san Basilio
Dopo avere così brevemente ricordato
aspetti salienti della vita di Basilio e del suo impegno di cristiano e di
Vescovo, sembra giusto che si tenti di attingere, dalla ricchissima eredità dei
suoi scritti, almeno qualche indicazione suprema. Rimettersi alla sua scuola potrà
dare luce per meglio affrontare i problemi e le difficoltà di questo stesso
tempo, e quindi soccorrerci per il nostro presente e per il nostro futuro.
Non sembri astratto cominciare da ciò che egli ha insegnato
riguardo alla santa Trinità: è certo, anzi, che non può esserci inizio
migliore, almeno se ci si vuole adeguare al suo stesso pensiero.
D'altra parte, che cosa può imporsi maggiormente o essere
più normativo per la vita, che il mistero della vita di Dio? Può esserci punto
di riferimento più significativo e vitale di questo, per l'uomo?
Per l'uomo nuovo, che è conformato a questo mistero nella
struttura intima del suo essere e del suo esistere; e per ogni uomo, lo sappia
o no: poiché non c'è alcuno che non sia stato creato per il Cristo, il Verbo eterno,
e non c'è alcuno che non sia chiamato, dallo Spirito e nello Spirito, a
glorificare il Padre.
È il mistero primordiale, la Trinità santa: poiché non è
altro che il mistero stesso di Dio, dell'unico Dio vivo e vero.
Di questo mistero, Basilio proclama con fermezza la realtà:
la triade dei nomi divini, dice, indica certo tre distinte ipostasi (cfr.
S.Basilii «Adv. Eunomium», I: PG 29,529a). Ma con non minore fermezza ne
confessa l'assoluta inaccessibilità.
Com'era lucida in lui, teologo sommo, la coscienza
dell'infermità e inadeguatezza di ogni teologare!
Nessuno, diceva, è capace di farlo in modo degno, e la
grandezza del mistero vince ogni discorso, cosicché neppure le lingue degli
angeli possono attingerlo (cfr. S.Basilii «Homilia de fide»: PG 31,464b-465a).
Realtà abissale e imperscrutabile, dunque, il Dio vivente!
Ma nondimeno Basilio sa di «doverne» parlare, prima e più che di ogni altra
cosa. E così, credendo, parla (cfr. 2Cor 4,13): per forza incoercibile di
amore, per obbedienza al comando di Dio, e per l'edificazione della Chiesa, che
«non si sazia mai di udire tali cose» (S.Basilii «Homilia de fide»: PG
31,464cd).
Ma forse è più esatto dire che Basilio, da vero «teologo»,
più che parlare di questo mistero, lo canta.
Canta il Padre: «Il principio di tutto, la causa dell'essere
di ciò che esiste, la radice dei viventi» (S.Basilii «Homilia de fide»: PG
31,465c), e soprattutto «Padre del nostro Signore Gesù Cristo» («Anaphora
S.Basilii»). E come il Padre è primariamente in rapporto al Figlio, così il
Figlio - il Verbo che si è fatto carne nel seno di Maria - è primariamente in
rapporto al Padre.
Così dunque lo contempla e lo canta Basilio: nella «luce
inaccessibile», nella «potenza ineffabile», nella «grandezza infinita», nella
«gloria sovrasplendente» del mistero trinitario, Dio presso Dio (S.Basilii
«Homilia de fide»: PG 31,465cd), «immagine della bontà del Padre e sigillo di
forma a lui uguale» (cfr. «Anaphora S.Basilii»).
Solo in questo modo, confessando senza ambiguità il Cristo
come «uno della santa Trinità» («Liturgia S.Ioannis Chrysostomi»), Basilio può
poi vederlo con pieno realismo nell'annientamento della sua umanità. E come
pochi altri sa far misurare l'infinito spazio da lui percorso alla nostra
ricerca; come pochi sa far scrutare fin nell'abisso dell'umiiiazione di colui
che «essendo nella forma di Dio, svuotò se stesso assumendo la forma di servo»
(Fil 2,6ss)
Nell'insegnamento di Basilio, la cristologia della gloria
non attenua per nulla la cristologia dell'umiliazione: anzi, serve a proclamare
con forza ancora più grande quel contenuto centrale del Vangelo che è la parola
della croce (cfr. 1Cor 1,18) e lo scandalo della croce (cfr. Gal 5,11).
Questo è, di fatto, uno schema abituale del suo discorso
cristologico: è la luce della gloria, a rivelare il senso dell'abbassamento.
L'ubbidienza del Cristo è vero «Vangelo», cioè realizzazione
paradossale dell'amore redentivo di Dio, proprio perché - e solo se - colui che
ubbidisce è «il Figlio Unigenito di Dio, il Signore e Dio nostro, colui per mezzo
del quale tutte le cose sono state fatte» (S.Basilii «De iudicio»: PG 31,660b);
ed è così che essa può piegare la nostra ostinata disubbidienza. Le sofferenze
del Cristo, agnello immacolato che non ha aperto la bocca contro chi lo
percuoteva (cfr. Is 53,7), hanno portata infinita e valore eterno e universale,
proprio perché colui che così ha patito è «il creatore e sovrano del cielo e
della terra, adorabile al di là di ogni creatura intellettuale e sensibile,
colui che tutto sostiene con la parola della sua potenza» (cfr. Eb 1,3;
S.Basilii «Homilia de ira»: PG 31,369b), ed è così che la passione del Cristo
domina la nostra violenza e placa la nostra ira.
La croce, infine, è davvero la nostra «unica speranza»
(«Liturgia Horarum», "Hebdomada Sancta": Hymnus ad Vesperas) - non
sconfitta, quindi, ma evento salvifico, «esaltazione» (cfr. Gv 8,32ss et alibi)
e stupendo trionfo - solo perché colui che vi è stato inchiodato e vi è morto è
«il Signore nostro e di tutti» (cfr. At 10,36; S.Basilii «De Baptismo», II,12:
PG 31,1624b), «colui mediante il quale sono state fatte tutte le cose, le
visibili e le invisibili, colui che possiede la vita come la possiede il Padre
che gliel'ha data, colui che dal Padre ha ricevuto ogni potere» (S.Basilii «De
Baptismo», II,13: PG 31,1625c); ed è così che la morte del Cristo ci libera da
quel «timore della morte» del quale tutti eravamo schiavi (cfr. Eb 2,15).
«Da lui, il Cristo, rifulse lo Spirito Santo: lo Spirito
della verità, il dono dell'adozione filiale, il pegno dell'eredità futura, la
primizia dei beni eterni, la potenza vivificante, la sorgente della
santificazione, da cui ogni creatura razionale e intellettuale riceve potenza
di rendere culto al Padre e di elevare a lui la dossologia eterna» (cfr.
«Anaphora S.Basilii»).
Questo inno dell'anafora di Basilio esprime bene, in
sintesi, il ruolo dello Spirito nell'economia salvifica.
È lo Spirito che, dato a ogni battezzato, in ciascuno opera
carismi e a ciascuno ricorda gli insegnamenti del Signore (cfr. S.Basilii «De
Baptismo», I,2: PG 31,1561a); è lo Spirito che anima tutta la Chiesa e la
ordina e la vivifica con i suoi doni facendone tutte un corpo «spirituale» e
carismatico (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32,181ab; «De iudicio»: PG
31,657c-660a).
Di qui, Basilio risaliva alla serena contemplazione della
«gloria» dello Spirito, misteriosa e inaccessibile: confessandolo, al di sopra
di ogni creatura (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto», 22), sovrano e signore
poiché da lui siamo divinizzati (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto», 20ss), e
Santo per essenza poiché da lui siamo santificati (cfr. S.Basilii «De Spiritu
Sancto», 9 et 18). Avendo così contribuito alla formulazione della fede
trinitaria della Chiesa, Basilio ancora oggi parla al suo cuore e la consola,
particolarmente con la luminosa confessione del suo Consolatore.
La luce sfolgorante del mistero trinitario non mette certo
in ombra la gloria dell'uomo: anzi, massimamente la esalta e la rivela.
L'uomo infatti, non è rivale di Dio, follemente opposto a
lui; e non è senza Dio, abbandonato alla disperazione della propria solitudine.
Ma è riflesso di Dio e sua immagine.
Perciò, quanto più Dio risplende, tanto più ne riverbera la
luce dall'uomo; quanto più Dio è esaltato, tanto più è innalzata la dignità
dell'uomo.
E in questo modo, difatti, Basilio ha celebrato la dignità
dell'uomo: vedendola tutta in rapporto a Dio, cioè derivata da lui e
finalizzata a lui.
Essenzialmente per conoscere Dio l'uomo ha ricevuto l'intelligenza,
e per vivere conforme alla sua legge ha ricevuto la libertà. Ed è in quanto
immagine, che l'uomo trascende tutto l'ordine della natura e appare «più
glorioso del cielo, più del sole, più dei cori degli astri: quale cielo,
infatti, è chiamato immagine di Dio altissimo?» (S.Basilii «In Psalmum» 48: PG
29,449c).
Proprio per questo, la gloria dell'uomo è radicalmente
condizionata al suo rapporto con Dio: l'uomo consegue in pienezza la sua
dignità «regale» solo realizzandosi in quanto immagine, e diviene veramente se
stesso solo conoscendo e amando colui per il quale ha la ragione e la libertà.
Già prima di Basilio, così si esprimeva mirabilmente
sant'Ireneo: «La gloria di Dio è l'uomo vivente; ma la vita dell'uomo è la
visione di Dio» (S.Irenaei «Adversus haereses», IV,20,7). L'uomo vivente è in
se stesso glorificazione di Dio, in quanto raggio della sua bellezza, ma non ha
«vita» se non attingendola da Dio, nel rapporto personale con lui. Fallire in
questo compito, significherebbe per l'uomo tradire la propria vocazione
essenziale, e pertanto negare e avvilire la propria dignità (cfr. S.Basilii «In
Psalmum» 48: PG 29,449b-452a).
E che altro è il peccato se non questo? Il Cristo stesso,
infatti, non è forse venuto per restaurare e restituire la sua gloria a questa
immagine di Dio che è l'uomo, cioè all'immagine che l'uomo, con il peccato,
aveva ottenebrata (S.Basilii «Homilia de malo»: PG 31,333a), corrotta
(S.Basilii «In Psalmum» 32: PG 29,344b), infranta? (S.Basilii «De Baptismo»,
I,2: PG 31,1537a).
Proprio per questo - afferma Basilio con le parole della
Scrittura - «il Verbo si è fatto carne ed ha abitato fra noi (Gv 1,14), e ha
tanto umiliato se stesso da farsi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di
croce» (cfr. Fil 2,8; S.Basilii «In Psalmum» 48: PG 29,452ab). Perciò, o uomo,
«renditi conto della tua grandezza considerando il prezzo versato per te:
guarda il prezzo del tuo riscatto, e comprendi la tua dignità!» (S.Basilii «In
Psalmum» 48: PG 29,452b).
La dignità dell'uomo, dunque, è insieme nel mistero di Dio,
e nel mistero della croce: è questo l'«umanesimo» di Basilio, o - potremmo dire
più semplicemente - l'umanesimo cristiano.
Il restauro dell'immagine può dunque compiersi soltanto in
virtù della croce del Cristo: «Fu la sua ubbidienza fino alla morte a divenire
per noi redenzione dei peccatori, libertà dalla morte che regnava per la colpa
originale, riconciliazione con Dio, potenza di piacere a Dio, dono di
giustizia, comunione dei santi nella vita eterna, eredità del regno dei cieli»
(S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1556b).
Ma questo, per Basilio, equivale a dire che tutto ciò si
compie in virtù del battesimo.
Che cos'è, infatti, il battesimo, se non l'evento salvifico
della morte del Cristo, nel quale siamo inseriti mediante la celebrazione del
mistero? Il mistero sacramentale, «imitazione» della sua morte, ci immerge
nella realtà della sua morte; come scrive Paolo: «O ignorate che quanti siamo
stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?» (Rm
6,3).
Basandosi appunto sulla misteriosa identità del battesimo
con l'evento pasquale del Cristo, al seguito di Paolo anche Basilio insegna che
essere battezzati altro non è se non essere realmente crocifissi - cioé
inchiodati con il Cristo alla sua unica croce - realmente morire la sua morte,
con lui essere sepolti nel suo seppellimento, e conseguentemente con lui
risorgere della sua risurrezione (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2).
Coerentemente, perciò, egli può riferire al battesimo gli
stessi titoli di gloria con cui l'abbiamo udito inneggiare alla croce:
anch'esso è «riscatto dei prigionieri, remissione dei debiti, morte del
peccato, rigenerazione dell'anima, abito di luce, inviolabile sigillo, veicolo
per il cielo, titolo per il regno, dono della filiazione» (S.Basilii «In
sanctum Baptisma»: PG 31,433ab). È per esso, infatti, che si salda l'unione fra
l'uomo e il Cristo, e che mediante il Cristo l'uomo è inserito nel cuore stesso
della vita trinitaria: divenendo spirito perché nato dallo Spirito (cfr.
S.Basilii «Moralia», XX,2: PG 31,736d; «Moralia», LXXX,22: PG 31,869a) e figlio
perché rivestito del Figlio, in un rapporto altissimo con il Padre
dell'Unigenito che è ormai divenuto anche, realmente, il Padre suo (cfr.
S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1564c-1565b).
Alla luce di una considerazione così vigorosa del mistero
battesimale, si disvela a Basilio il senso stesso della vita cristiana. Del
resto, come altrimenti comprendere questo mistero dell'uomo nuovo, se non
fissando lo sguardo sul punto luminoso della sua nascita nuova, e sulla potenza
divina che nel battesimo lo ha generato?
«Come si definisce il cristiano?», si chiede Basilio; e
risponde: «Come colui che è generato da acqua e Spirito nel battesimo»
(S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,868d).
Solo in ciò da cui siamo si rivela ciò che siamo, e ciò per
cui siamo.
Creatura nuova, il cristiano, anche quando non ne è
pienamente consapevole, vive una vita nuova; e nella sua realtà più profonda,
anche se col suo agire lo rinnega, é trasferito in una patria nuova, sulla
terra già reso celeste (cfr. S.Basilii «De Spiritu Sancto»: PG 32,157c; «In
sanctum Baptisma»: PG 31,429b): perché l'operazione di Dio è infinitamente e
infallibilmente efficace, e rimane sempre in qualche misura al di là di ogni
smentita e contraddizione dell'uomo.
Resta, certo, il compito - ed è, in rapporto essenziale con
il battesimo, il senso stesso della vita cristiana - di diventare quello che si
è, adeguandosi alla nuova dimensione «spirituale» ed escatologica del proprio
mistero personale. Come si esprime, con la consueta chiarezza, san Basilio: «Il
significato e la potenza del battesimo è che il battezzato si trasformi nei
pensieri, nelle parole e nelle opere, e che diventi - secondo la potenza che
gli è stata elargita - quale è colui dal quale è stato generato» (S.Basilii
«Moralia», XX,2: PG 31,736d).
L'eucaristia, compimento dell'iniziazione cristiana, è
sempre considerata da Basilio in strettissimo rapporto con il battesimo.
Unico cibo adeguato al nuovo essere del battezzato e capace
di sostenerne la vita nuova e di alimentarne le nuove energie (cfr. S.Basilii
«De Baptismo» I,3: PG 31,1573b); culto in spirito e verità, esercizio del nuovo
sacerdozio e sacrificio perfetto dell'Israele nuovo (cfr. S.Basilii «De
Baptismo», II,2ss et 8: PG 31,1601c; S.Basilii «Epistula» 93: PG 32,485a), solo
l'eucaristia attua in pienezza e perfeziona la nuova creazione battesimale.
Perciò, è mistero di immensa gioia - solo cantando vi si può
partecipare (cfr. S.Basilii «Moralia»,XXI,4: PG 31,741a) - e di infinita, tremenda
santità. Come si potrebbe, essendo in stato di peccato, trattare il corpo del
Signore? (cfr. S.Basilii «De Baptismo», II,3: PG 31,1585ab). La Chiesa che
comunica, dovrebbe davvero essere «senza macchia e ruga, santa e incontaminata»
(Ef 5,27; S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,869b): cioé dovrebbe sempre, con
vigile coscienza del mistero che celebra, esaminare bene se stessa (cfr. 1Cor
11,28; S.Basilii «Morali», XXI,2: PG 31,740ab), per purificarsi sempre più «da
ogni contaminazione e impurità» (S.Basilii «De Baptismo» II,3: PG 31,1585ab).
D'altra parte, astenersi dal comunicare non è possibile:
all'eucaristia infatti, necessaria per la vita eterna (cfr. S.Basilii
«Moralia», XXI,1: PG 31,737c), è ordinato lo stesso battesimo, e il popolo dei
battezzati deve essere puro proprio per partecipare all'eucaristia (cfr.
S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,869b).
Solo l'eucaristia del resto, vero memoriale del mistero
pasquale del Cristo, è capace di tenere desta in noi la memoria del suo amore.
Essa è perciò il segreto della vigilanza della Chiesa: le sarebbe troppo
facile, altrimenti, senza la divina efficacia di questo richiamo continuo e
dolcissimo, senza la forza penetrante di questo sguardo del suo sposo fissato
su di lei, cadere nell'oblio, nell'insensibilità, nell'infedeltà. A questo
scopo è stata istituita, secondo le parole del Signore: «Fate questo in memoria
di me» (1Cor 11,24ss et par.); e a questo scopo, conseguentemente, deve essere
celebrata.
Basilio non si stanca di ripeterlo: «Per ricordare (S.Basilii
«Moralia», XXI,3: PG 31,740b); anzi, per ricordare sempre, «per il ricordo
indelebile» (S.Basilii «Moralia», XXI,3: PG 31,1576d), «per custodire
incessantemente il ricordo di colui che è morto e risorto per noi» (S.Basilii
«Moralia», LXXX,22: PG 31,1869b).
Solo l'eucaristia dunque, per disegno e dono di Dio, può
veramente custodire nel cuore «il sigillo» (cfr. S.Basilii «Regulae fusius
tractatae», 5: PG 31,921b) di quel ricordo del Cristo che, stringendosi come in
una morsa, ci impedisce di peccare. È perciò particolarmente in rapporto
all'eucaristia che Basilio riprende il testo di Paolo: «L'amore di Cristo ci
stringe, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed
egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi,
ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor 5,14ss).
Ma che cos'è poi questo vivere per il Cristo - o «vivere
integralmente per Dio» - se non il contenuto stesso del patto battesimale?
(cfr. S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG 31,1581a).
Anche per questo aspetto, dunque, l'eucaristia appare essere
la pienezza del battesimo: essa sola, infatti consente di viverlo con fedeltà e
continuamente lo attualizza nella sua potenza di grazia.
Perciò Basilio non esita a raccomandare la comunione
frequente, o addirittura quotidiana: «Comunicare anche ogni giorno ricevendo il
santo corpo e sangue del Cristo è cosa buona e utile; poiché egli stesso dice
chiaramente: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita
eterna" (Gv 6,54). Chi dunque dubiterà che comunicare continuamente alla
vita non sia vivere in pienezza?» (S.Basilii «Epistula» 93: PG 32,484b).
Vero «cibo di vita eterna» capace di nutrire la vita nuova
del battezzato è, come l'eucaristia, anche «ogni parola che esce dalla bocca di
Dio» (Mt 4,4; cfr. Dt 8,3; S.Basilii «De Baptismo», I,3: PG 31,1573bc).
È Basilio stesso a stabilire con forza questo nesso
fondamentale fra la mensa della parola di Dio e quella del corpo del Cristo
(cfr. «Dei Verbum», 21). Benché in modo diverso, infatti, anche la Scrittura,
come l'eucaristia, è divina, santa, e necessaria.
Veramente divina, afferma Basilio con singolare energia:
cioé «di Dio» nel senso più proprio. Dio stesso l'ha ispirata (cfr. S.Basilii
«De iudicio»: PG 31,664d; S.Basilii «De fide»: PG 31,677a; ecc...), Dio l'ha
convalidata (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31,680b), Dio l'ha pronunciata
mediante gli agiografi (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 13: PG
31,1092a; «Adv. Eunomium», II: PG 29,597c; ecc...) - Mosé, i profeti, gli
evangelisti, gli apostoli (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,1: PG 31,1524d) - e
soprattutto mediante il suo Figlio (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG
31,1561c); lui, l'unico Signore: sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento (cfr.
S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 47: PG 31,1113a), certo con diversi
gradi di intensità e diversa pienezza di rivelazione (cfr. S.Basilii «Regulae
brevius tractatae», 276: PG 31,1276cd; «De Baptismo», I,2: PG 31,1545b), ma
pure senza ombra di contraddizione (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31,692b).
Di sostanza divina benché fatta di parole umane, la
Scrittura è perciò infinitamente autorevole: sorgente della fede, secondo la
parola di Paolo (cfr. Rm 10,17; S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,868c), è il
fondamento di una certezza piena, indubbia, non vacillante (S.Basilii
«Moralia», LXXX,22: PG 31,868c). Essendo tutta di Dio, è tutta, in ogni sua
minima parte, infinitamente importante e degna di estrema attenzione (cfr. S.Basilii
«In Hexaem.», VI: PG 29,144c; «In Hexaem.», VIII: PG 29,184c).
E per questo, anche, la Scrittura giustamente viene chiamata
santa: poiché, come sarebbe terribile sacrilegio profanare l'eucaristia,
sarebbe sacrilegio anche attentare all'integrità e alla purezza della parola di
Dio.
Non la si può dunque intendere secondo categorie umane, ma
alla luce dei suoi stessi insegnamenti, quasi «chiedendo al Signore stesso
l'interpretazione delle cose da lui dette» (S.Basilii «De Baptismo», II,4: PG
31,1589b); e non si può «togliere né aggiungere nulla» a quei testi divini
consegnati alla Chiesa per tutti i tempi, a quelle parole sante pronunciate da
Dio una volta per tutte (cfr. S.Basilii «De fide»: PG 31,680ab; «Moralia»,
LXXX,22: PG 31,868c).
È di necessità vitale, infatti, che il rapporto con la
parola di Dio sia sempre adorante, fedele, e amante. Essenzialmente da essa la
Chiesa deve attingere per il suo annuncio (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 115: PG
30,105c 108a), lasciandosi guidare dalle parole stesse del suo Signore (cfr.
S.Basilii «De Baptismo», I,2: PG 31,1533c), per non rischiare di «ridurre a
parole umane le parole della religione» (S.Basilii «Epistula» 140: PG 32,588b).
E alla Scrittura deve riferirsi «sempre e dovunque» ogni cristiano per tutte le
sue scelte (cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 269: PG 31,1268c),
facendosi di fronte ad essa «come un bambino» (cfr. Mc 10,15; S.Basilii
«Regulae brevius tractatae», 217: PG 31,1225bc; S.Basilii «De Baptismo», I,2:
PG 31,1560ab), in essa cercando il più efficace rimedio contro tutte le sue
diverse infermità (cfr. S.Basilii «In Psalmum» 1: PG 29,209a), e non osando
muovere un passo senza essere illuminato dai raggi divini di quelle parole
(cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 1: PG 31,1081a).
Autenticamente cristiano, tutto il magistero di Basilio è,
come si è visto, «vangelo», proclamazione gioiosa della salvezza.
Non è forse piena di gioia e sorgente di gioia la
confessione della gloria di Dio che si irradia sull'uomo sua immagine?
Non è stupendo l'annuncio della vittoria della croce, nella
quale, «per la grandezza della pietà e la moltitudine delle misericordie di
Dio» (S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 10: PG 31,1088c), i nostri peccati
sono stati perdonati prima ancora che li commettessimo? (cfr. S.Basilii
«Regulae bravius tractatae», 12: PG 31,1089b). Quale annuncio più consolante
che quello del battesimo che ci rigenera, dell'eucaristia che ci nutre, della
Parola che ci illumina?
Ma proprio per questo, per non avere taciuto o sminuito la
potenza salvifica e trasformante dell'opera di Dio e delle «energie del secolo
futuro» (cfr. Eb 6,5), Basilio può chiedere a tutti, con molta fermezza, amore
totale per Dio, dedizione senza riserve, perfezione di vita evangelica (cfr.
S.Basilii «Moralia», LXXX,22: PG 31,869c).
Poiché, se il battesimo è grazia - e quale grazia! - quanti
l'hanno conseguita hanno effettivamente ricevuto «il potere e la forza di
piacere a Dio» (S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 10: PG 31,1088c), e sono
perciò «tutti ugualmente tenuti a conformarsi a tale grazia», cioé a «vivere
conforme al Vangelo» (S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG 31,15980ac).
«Tutti ugualmente»: non ci sono cristiani di seconda
categoria, semplicemente perché non ci sono battesimi diversi, e perché il senso
della vita cristiana è tutto intrinsecamente contenuto nell'unico patto
battesimale (S.Basilii «De Baptismo», II,1: PG 31,1580ac).
«Vivere conforme al Vangelo»: che cosa significa questo, in
concreto, secondo Basilio?
Significa tendere, con tutta la brama del proprio essere
(cfr. S.Basilii «Regulae brevius tractatae», 157: PG 31,1185a) e con tutte le
nuove energie delle quali si dispone, a conseguire il «compiacimento di Dio»
(cfr. S.Basilii «Moralia», I,5: PG 31,704a et passim)
Significa, per esempio, «non essere ricchi, ma poveri,
secondo la parola del Signore» (cfr. S.Basilii «Moralia», XLVIII,3: PG
31,769a), realizzando così una condizione fondamentale per poterlo seguire
(cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 10: PG 31,944d-945a) con libertà (cfr.
S.Basilii «Regulaea fusius tractatae», 8: PG 31,940bc; «Regulae fusius
tractatae», 237: PG 31,1241b), e manifestando, rispetto alla norma imperante
del vivere mondano, la novità del Vangelo (cfr. S.Basilii «De Baptismo», I,2:
PG 31,1544d). Significa sottomettersi totalmente alla parola di Dio,
rinunciando alle «proprie volontà» (cfr. S.Basilii «Regulae fusius tractatae»,
6 et 41: PG 31,925c et 1021a) e facendosi ubbidienti, a imitazione del Cristo,
«fino alla morte» (cfr. Fil 2,8; S.Basilii «Regulae fusius tractatae», 28: PG
31,989b; «Regulae brevius tractatae», 119: PG 31,1161d et passim).
Davvero, Basilio non arrossiva del Vangelo: ma, sapendo che
esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (cfr. Rm 1,16) lo
annunciava con quella integrità (cfr. S.Basilii «Moralia», LXXX,12: PG 31,864b)
che lo fa essere pienamente parola di grazia e sorgente di vita.
Ci piace infine rilevare che san Basilio, anche se più
sobriamente del fratello san Gregorio di Nissa e dell'amico san Gregorio di
Nazianzo, celebra la verginità di Maria (cfr. S.Basilii «In sanctam Christi
generationem», 5: PG 31,1468b): chiama Maria «profetessa» (cfr. S.Basilii «In
Isaiam», 208: PG 30,477b) e con felice espressione così motiva il fidanzamento
di Maria con Giuseppe: «Ciò avvenne perché la verginità fosse onorata e non
fosse disprezzato il matrimonio» (cfr. S.Basilii «In sanctam Christi
generationem», 3: PG 31,1464a).
L'anafora di san Basilio sopra ricordata contiene lodi
eccelse alla «tutta santa, immacolata, ultrabenedetta e gloriosa Signora
Madre-di-Dio e sempre-vergine Maria»; «Donna piena di grazia, esultanza di
tutto il creato...»
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