Sulla scia del Concilio Vaticano II
5. La celebrazione dell'Unione di Brest va
vissuta e interpretata alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II. È
questo forse l'aspetto più importante per la comprensione della portata di tale
ricorrenza.
E' noto che il Concilio Vaticano II si è soffermato a
riflettere soprattutto sul mistero della Chiesa, sì che uno dei documenti più
importanti da esso elaborati è stata la Costituzione Lumen gentium. Proprio in
ragione di questo approfondimento, il Concilio riveste una particolare
rilevanza ecumenica. Ne è conferma il Decreto Unitatis redintegratio, che
elabora un programma molto illuminato circa l'azione da svolgere in vista
dell'unità dei cristiani. Su tale programma mi è parso opportuno ritornare, a
trent'anni dalla conclusione del Concilio, con la Lettera enciclica Ut unum
sint, pubblicata il 25 maggio dell'anno corrente [cfr. L'Osservatore Romano 31
maggio 1995, pp. 1-8]. Essa delinea i passi ecumenici che hanno avuto luogo
dopo il Concilio Vaticano II e, allo stesso tempo, nella prospettiva del Terzo
Millennio dell'era cristiana, cerca di aprire nuove possibilità per il futuro.
Collocando le celebrazioni del prossimo anno nel contesto
della riflessione sulla Chiesa, promossa dal Concilio, mi preme soprattutto di
invitare ad approfondire la funzione propria che la Chiesa greco-cattolica
ucraina è chiamata a svolgere oggi nel movimento ecumenico.
6. Vi è chi vede nell'esistenza delle
Chiese orientali cattoliche una difficoltà per il cammino dell'ecumenismo. Il
Concilio Vaticano II non ha omesso di affrontare tale problema, indicandone le
prospettive di soluzione sia nel Decreto Unitatis redintegratio
sull'ecumenismo, che nel Decreto Orientalium ecclesiarum, ad esse
specificamente dedicato. Entrambi i documenti si pongono nella prospettiva del
dialogo ecumenico con le Chiese orientali non in piena comunione con la Sede di
Roma, in modo che sia valorizzata la ricchezza che le altre Chiese hanno in
comune con la Chiesa cattolica e sia fondata su tale ricchezza condivisa la
ricerca di una comunione sempre più piena e profonda. Infatti «l'ecumenismo
intende precisamente far crescere la comunione parziale esistente tra i
cristiani verso la piena comunione nella verità e nella carità» [Ibid. 14,
l.c., p. 2].
Per promuovere il dialogo con l'Ortodossia bizantina, si è
costituita, dopo il Concilio Vaticano II, un'apposita commissione mista, che ha
annoverato tra i suoi membri anche rappresentanti delle Chiese orientali
cattoliche.
In vari documenti si è cercato di approfondire lo sforzo per
una maggior comprensione fra Chiese ortodosse e Chiese orientali cattoliche,
non senza risultati positivi. Nella Lettera apostolica Orientale lumen [cfr.
nn. 18-19: L'Osservatore Romano 2-3 maggio 1995, p. 4] e nella Lettera enciclica
Ut unum sint [cfr. nn. 12-14: L'Osservatore Romano 31 maggio 1995, p. 2] ho già
trattato degli elementi di santificazione e di verità [cfr. Conc. Ecum. Vat.
II, Decr. sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3], comuni all'Oriente e
all'Occidente cristiano, e del metodo che è desiderabile seguire nella ricerca
della piena comunione tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, alla luce
dell'approfondimento ecclesiologico compiuto dal Concilio Vaticano II: «Oggi
sappiamo che l'unità può essere realizzata dall'amore di Dio solo se le Chiese
lo vorranno insieme, nel pieno rispetto delle singole tradizioni e della
necessaria autonomia. Sappiamo che questo può compiersi solo a partire
dall'amore di Chiese che si sentono chiamate a manifestare sempre maggiormente
l'unica Chiesa di Cristo, nata da un solo battesimo e da una sola Eucaristia, e
che vogliono essere sorelle» [cfr. Giovanni Paolo II, Let. Ap. Orientale lumen
(2 maggio 1995), 20: L'Osservatore Romano 2-3 maggio 1995, p. 4].
L'approfondimento nella conoscenza della dottrina sulla Chiesa, operato dal
Concilio e dal dopo Concilio, ha tracciato una via che si può definire nuova
per il cammino dell'unità: la via del dialogo della verità nutrito e sostenuto
dal dialogo della carità (cfr. Ef 4,15).
7. L'uscita dalla clandestinità ha
significato un cambiamento radicale nella situazione della Chiesa
greco-cattolica ucraina: essa si è trovata di fronte ai gravi problemi della
ricostruzione delle strutture delle quali era stata completamente privata e,
più in generale, ha dovuto impegnarsi a riscoprire pienamente se stessa, non
soltanto al proprio interno, ma anche in rapporto con le altre Chiese.
Siano rese grazie al Signore per averle concesso di
celebrare questo giubileo in condizione di riacquistata libertà religiosa. Gli
siano rese altresì grazie per la crescita del dialogo della carità, in virtù
del quale si sono compiuti passi significativi nel cammino verso l'auspicata
riconciliazione con le Chiese ortodosse.
Migrazioni e deportazioni molteplici hanno ridisegnato la
geografia religiosa di quelle terre; tanti anni di ateismo di Stato hanno
segnato profondamente le coscienze; il clero non basta ancora a rispondere agli
immensi bisogni della ricostruzione religiosa e morale: sono queste alcune
delle sfide più drammatiche con le quali tutte le Chiese si trovano a
confrontarsi.
Dinanzi a queste difficoltà si richiede una comune
testimonianza della carità, perché la predicazione del Vangelo non sia ostacolata.
Come ho detto nella Lettera apostolica Orientale lumen, «oggi possiamo
cooperare per l'annuncio del Regno o divenire fautori di nuove divisioni» [N.
19: L'Osservatore Romano 2-3 maggio 1995, p. 4]. Voglia il Signore guidare i
nostri passi sulla via della pace.
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