Il sangue dei martiri
8. Nella libertà ritrovata non possiamo
dimenticare la persecuzione ed il martirio che le Chiese di quella regione,
cattoliche e ortodosse, subirono nella loro carne. Si tratta di una dimensione
importante per la Chiesa di tutti i tempi, come ho ricordato nella Lettera
apostolica Tertio millennio adveniente [cfr. AAS 87 (1995), 29-30; Lett. enc.
Ut unum sint, 84: L'Osservatore Romano 31 maggio 1995, p. 7]. Si tratta di un'eredità
particolarmente significativa per le Chiese d'Europa, che ne restano
profondamente segnate: su di essa si dovrà riflettere alla luce della Parola di
Dio.
Parte integrante di questa nostra memoria religiosa è dunque
il dovere di richiamare alla mente il significato del martirio, per additare
alla venerazione di tutti le figure concrete di quei testimoni della fede,
nella consapevolezza che anche oggi conserva piena validità il detto di
Tertulliano: «Sanguis martyrum, semen christianorum» [Apol., 50,13: CCL I,171].
Noi cristiani abbiamo già un martirologio comune nel quale Dio mantiene e
realizza fra i battezzati la comunione nell'esigenza suprema della fede,
manifestata con il sacrificio della vita. La comunione reale, sebbene
imperfetta, già esistente tra cattolici ed ortodossi nella loro vita
ecclesiale, giunge alla sua perfezione in tutto ciò che «noi consideriamo
l'apice della vita di grazia, la martyria fino alla morte, la comunione più
vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio,
fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani (cfr. Ef 2,13)» [Giovanni
Paolo II, Lett. enc. Ut unum sint, 84: L'Osservatore Romano 31 maggio 1995, p.
7].
Il ricordo dei martiri non può essere cancellato dalla
memoria della Chiesa e dell'umanità: siano essi vittime di ideologie d'Oriente
o d'Occidente, tutti sono accomunati dalla violenza che, per odio alla fede, è
stata apportata alla dignità della persona umana, creata da Dio «a sua immagine
e somiglianza».
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