III – Alla ricerca della risposta all’interrogativo sul
senso della sofferenza
9. All'interno di ogni singola sofferenza
provata dall'uomo e, parimenti, alla base dell'intero mondo delle sofferenze
appare inevitabilmente l'interrogativo: perché? È un interrogativo circa
la causa, la ragione, ed insieme un interrogativo circa lo scopo (perché?) e,
in definitiva, circa il senso. Esso non solo accompagna l'umana sofferenza, ma
sembra addirittura determinarne il contenuto umano, ciò per cui la sofferenza è
propriamente sofferenza umana.
Ovviamente il dolore, specie quello fisico, è ampiamente
diffuso nel mondo degli animali. Però solo l'uomo, soffrendo, sa di soffrire e
se ne chiede il perché; e soffre in modo umanamente ancor più profondo, se non
trova soddisfacente risposta. Questa è una domanda difficile, così come
lo è un'altra, molto affine, cioè quella intorno al male. Perché il male?
Perché il male nel mondo? Quando poniamo l'interrogativo in questo modo,
facciamo sempre, almeno in una certa misura, una domanda anche sulla
sofferenza.
L'uno e l'altro interrogativo sono difficili, quando l'uomo
li pone all'uomo, gli uomini agli uomini, come anche quando l'uomo li pone a
Dio. L'uomo, infatti, non pone questo interrogativo al mondo, benché molte volte
la sofferenza gli provenga da esso, ma lo pone a Dio come al Creatore e al
Signore del mondo. Ed è ben noto come sul terreno di questo interrogativo si
arrivi non solo a molteplici frustrazioni e conflitti nei rapporti dell'uomo
con Dio, ma capiti anche che si giunga alla negazione stessa di Dio. Se,
infatti, l'esistenza del mondo apre quasi lo sguardo dell'anima umana
all'esistenza di Dio, alla sua sapienza, potenza e magnificenza, allora il male
e la sofferenza sembrano offuscare quest'immagine, a volte in modo radicale,
tanto più nella quotidiana drammaticità di tante sofferenze senza colpa e di
tante colpe senza adeguata pena. Perciò, questa circostanza — forse ancor più
di qualunque altra — indica quanto sia importante l'interrogativo sul senso
della sofferenza, e con quale acutezza occorra trattare sia l'interrogativo
stesso, sia ogni possibile risposta da darvi.
10. L'uomo può rivolgere un tale
interrogativo a Dio con tutta la commozione del suo cuore e con la mente piena
di stupore e di inquietudine; e Dio aspetta la domanda e l'ascolta, come
vediamo nella Rivelazione dell'Antico Testamento. Nel Libro di Giobbe
l'interrogativo ha trovato la sua espressione più viva.
È nota la storia di questo uomo giusto, il quale senza
nessuna colpa da parte sua viene provato da innumerevoli sofferenze. Egli perde
i beni, i figli e le figlie, ed infine viene egli stesso colpito da una grave
malattia. In quest'orribile situazione si presentano nella sua casa i tre
vecchi conoscenti, i quali — ognuno con diverse parole — cercano di convincerlo
che, poiché è stato colpito da una così molteplice e terribile sofferenza, egli
deve aver commesso una qualche colpa grave. La sofferenza — essi dicono —
colpisce infatti sempre l'uomo come pena per un reato; viene mandata da Dio
assolutamente giusto e trova la propria motivazione nell'ordine della
giustizia. Si direbbe che i vecchi amici di Giobbe vogliano non solo convincerlo
della giustezza morale del male, ma in un certo senso tentino di difendere
davanti a sé stessi il senso morale della sofferenza. Questa, ai loro
occhi, può avere esclusivamente un senso come pena per il peccato,
esclusivamente dunque sul terreno della giustizia di Dio, che ripaga col bene
il bene e col male il male.
Il punto di riferimento è in questo caso la dottrina
espressa in altri scritti dell'Antico Testamento, che ci mostrano la sofferenza
come pena inflitta da Dio per i peccati degli uomini. Il Dio della Rivelazione
è Legislatore e Giudice in una tale misura, quale nessuna autorità
temporale può avere. Il Dio della Rivelazione, infatti, è prima di tutto il
Creatore, dal quale, insieme con l'esistenza, proviene il bene
essenziale della creazione. Pertanto, anche la consapevole e libera violazione
di questo bene da parte dell'uomo è non solo una trasgressione della legge, ma
al tempo stesso un'offesa al Creatore, che è il primo Legislatore. Tale
trasgressione ha carattere di peccato, secondo il significato esatto, cioè
biblico e teologico, di questa parola. Al male morale del peccato
corrisponde la punizione, che garantisce l'ordine morale nello stesso senso
trascendente, nel quale quest'ordine è stabilito dalla volontà del Creatore e
supremo Legislatore. Di qui deriva anche una delle fondamentali verità della
fede religiosa, basata del pari sulla Rivelazione: che cioè Dio è giudice
giusto, il quale premia il bene e punisce il male: «Tu, Signore, sei giusto in
tutto ciò che hai fatto; tutte le tue opere sono vere, rette le tue vie e
giusti tutti i tuoi giudizi. Giusto è stato il tuo giudizio per quanto hai
fatto ricadere su di noi ... Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto
questo a causa dei nostri peccati»23.
Nell'opinione espressa dagli amici di Giobbe, si manifesta
una convinzione che si trova anche nella coscienza morale dell'umanità:
l'ordine morale oggettivo richiede una pena per la trasgressione, per il
peccato e per il reato. La sofferenza appare, da questo punto di vita, come un
«male giustificato». La convinzione di coloro che spiegano la sofferenza come
punizione del peccato trova il suo sostegno nell'ordine della giustizia, e ciò
corrisponde all'opinione espressa da un amico di Giobbe: «Per quanto io ho
visto, chi coltiva iniquità, chi semina affanni, li raccoglie»24.
11. Giobbe, tuttavia, contesta la verità
del principio, che identifica la sofferenza con la punizione del peccato. E lo
fa in base alla propria opinione. Infatti, egli è consapevole di non aver
meritato una tale punizione, anzi espone il bene che ha fatto nella sua vita.
Alla fine Dio stesso rimprovera gli amici di Giobbe per le loro accuse e
riconosce che Giobbe non è colpevole. La sua è la sofferenza di un innocente;
deve essere accettata come un mistero, che l'uomo non è in grado di penetrare
fino in fondo con la sua intelligenza.
Il Libro di Giobbe non intacca le basi dell'ordine morale
trascendente, fondato sulla giustizia, quali son proposte dalla Rivelazione,
nell'Antica e nella Nuova Alleanza. Al tempo stesso, però, il Libro dimostra
con tutta fermezza che i principi di quest'ordine non si possono applicare in
modo esclusivo e superficiale. Se è vero che la sofferenza ha un senso come
punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni
sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione. La
figura del giusto Giobbe ne è una prova speciale nell'Antico Testamento. La
Rivelazione, parola di Dio stesso, pone con tutta franchezza il problema della
sofferenza dell'uomo innocente: la sofferenza senza colpa. Giobbe non è stato
punito, non vi erano le basi per infliggergli una pena, anche se è stato
sottoposto ad una durissima prova. Dall'introduzione del Libro risulta che Dio
permise questa prova per provocazione di Satana. Questi, infatti, aveva
contestato davanti al Signore la giustizia di Giobbe: «Forse che Giobbe teme
Dio per nulla? ... Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani, e il suo bestiame
abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come
ti benedirà in faccia»25. E se il Signore acconsente a provare Giobbe
con la sofferenza, lo fa per dimostrarne la giustizia. La sofferenza ha
carattere di prova.
I1 Libro di Giobbe non è l'ultima parola della Rivelazione
su questo tema. In un certo modo esso è un annuncio della passione di Cristo.
Ma, già da solo, è un argomento sufficiente, perché la risposta
all'interrogativo sul senso della sofferenza non sia collegata senza riserve
con l'ordine morale, basato sulla sola giustizia. Se una tale risposta ha una
sua fondamentale e trascendente ragione e validità, al tempo stesso essa si
dimostra non solo insoddisfacente in casi analoghi alla sofferenza del giusto
Giobbe, ma anzi sembra addirittura appiattire ed impoverire il concetto di
giustizia, che incontriamo nella Rivelazione.
12. Il Libro di Giobbe pone in modo acuto
il «perché» della sofferenza, mostra pure che essa colpisce l'innocente, ma non
dà ancora la soluzione al problema.
Già nell'Antico Testamento notiamo un orientamento che tende
a superare il concetto, secondo cui la sofferenza ha senso unicamente come
punizione del peccato, in quanto si sottolinea nello stesso tempo il valore
educativo della pena sofferenza. Così dunque, nelle sofferenze inflitte da Dio
al popolo eletto è racchiuso un invito della sua misericordia, la quale corregge
per condurre alla conversione: «Questi castighi non vengono per la distruzione,
ma per la correzione del nostro popolo»26.
Così si afferma la dimensione personale della pena. Secondo
tale dimensione, la pena ha senso non soltanto perché serve a ripagare lo
stesso male oggettivo della trasgressione con un altro male, ma prima di tutto
perché essa crea la possibilità di ricostruire il bene nello stesso soggetto
sofferente.
Questo è un aspetto estremamente importante della
sofferenza. Esso è profondamente radicato nell'intera Rivelazione dell'Antica
e, soprattutto, della Nuova Alleanza. La sofferenza deve servire alla
conversione, cioè alla ricostruzione del bene nel soggetto, che può
riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza. La
penitenza ha come scopo di superare il male, che sotto diverse forme è latente
nell'uomo, e di consolidare il bene sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli
altri e, soprattutto, con Dio.
13. Ma per poter percepire la vera
risposta al «perché» della sofferenza, dobbiamo volgere il nostro sguardo verso
la rivelazione dell'amore divino, fonte ultima del senso di tutto ciò che
esiste. L'amore è anche la fonte più ricca del senso della sofferenza, che
rimane sempre un mistero: siamo consapevoli dell'insufficienza ed inadeguatezza
delle nostre spiegazioni. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il
«perché» della sofferenza, in quanto siamo capaci di comprendere la sublimità
dell'amore divino.
Per ritrovare il senso profondo della sofferenza, seguendo
la Parola rivelata di Dio, bisogna aprirsi largamente verso il soggetto umano
nella sua molteplice potenzialità. Bisogna, soprattutto, accogliere la luce
della Rivelazione non soltanto in quanto essa esprime l'ordine trascendente
della giustizia, ma in quanto illumina questo ordine con l'amore, quale
sorgente definitiva di tutto ciò che esiste. L'Amore è anche la sorgente più
piena della risposta all'interrogativo sul senso della sofferenza. Questa
risposta è stata data da Dio all'uomo nella Croce di Gesù Cristo.
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