L'esperienza
umana e divina
1.
Le condizioni d'Italia e dell'Europa non erano felici, quando venne alla luce
in Siena, nel 1347, la piccola Caterina. Già si profilava all'orizzonte la
tristemente famosa «peste nera», che l'anno dopo infierì dovunque e seminò la
desolazione e la morte in ogni paese e quasi in ogni famiglia.
Altri
mali funestavano il mondo civile, come le guerre, particolarmente quella dei
cento anni tra Francia e Inghilterra, e le incursioni delle compagnie di
ventura. Nel mondo religioso tutto quel secolo è riempito, per tre quarti, dal
soggiorno dei Papi in Avignone, e poi dal grande scisma d'occidente, che si
prolungò fino al 1417. La storia della mantellata senese s'inserisce vivamente
in queste situazioni e vi fa anche da protagonista.
Figlia di un tintore
di panni, penultima di 25 nati, Caterina prese molto presto coscienza dei
bisogni del mondo e, attratta dall'ideale apostolico domenicano, volle entrare
nelle file del terz'ordine o, come allora si diceva in Siena, tra le
mantellate, le quali, pur non essendo suore né vivendo in comunità, portavano
l'abito bianco e il mantello nero dell'ordine dei predicatori. Giovanissima,
già si distingueva per la carità verso i poveri e gli ammalati, la pazienza nel
sopportare le maldicenze degli uomini e le battaglie interiori col demonio, la
saggezza e l'umiltà degli atteggiamenti e dei pensieri.
Intanto
si esercitava in un coraggioso programma ascetico, basato su criteri
efficienti, che avrebbe più tardi inculcati ai suoi discepoli: «Non lasciar
passare i movimenti (della natura disordinata) che non siano corretti»
(S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 73, p. 161; cfr. c. 60; «Epistulae»,
passim).
Le si raggruppava
poi intorno una varia accolta di discepoli d'ogni ceto, attratti dalla sua pura
fede e dalla schietta accoglienza della parola di Dio, senza mezzi termini e
senza compromessi. Erano laici, mantellate e religiosi di vari ordini, alcuni
conquistati da fatti prodigiosi. Tutti ricevevano da lei una singolare
assicurazione, di cui spesso sperimentavano la validità: quella d'assisterli
dovunque fossero e di pagare anche per i loro errori (cfr. S.Catharinae
Senensis «Epist.» 99).
Il
Signore la istruiva, come un maestro con la sua alunna, e le scopriva a grado a
grado «quelle cose che sarebbero state utili all'anima sua» (Raimundi Capuani
«Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum», Apr.]).
Il progresso
spirituale culminò con lo sposalizio nella fede, che poteva sembrare il sigillo
di una vita votata all'isolamento e alla contemplazione. Invece il Signore, nel
darle l'anello invisibile, intendeva unirla a sé nelle imprese del suo regno
(Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum», Apr.], par. 115). La
popolana ventenne vedeva ciò in termini di separazione dallo Sposo celeste, ma
egli invece la rassicurava che intendeva stringerla di più a sé «mediante la
carità del prossimo» (Raimundi Capuani «Legenda Maior» [in «Acta Sanctorum»,
Apr.], par. 115), cioè contemporaneamente sul piano della mistica interiore e
su quello dell'azione esteriore o della mistica sociale, com'è stato detto
(J.Leclercq «La mystique de l'apostolat», 1922-1947).
Fu come
un'impennata verso più ampi spazi, che s'aprivano davanti alla sua mente e alla
sua iniziativa. Passò dalla conversione di singoli peccatori alla
riconciliazione tra persone o famiglie avversarie; alla rappacificazione fra
città e repubbliche. Non ebbe paura di passare tra le fazioni in armi né
s'arrestò di fronte al dilatarsi degli orizzonti, che da principio l'avevano
spaventata fino al pianto. L'impulso del maestro divino svelò in lei come
un'umanità d'accrescimento. Per lei, figlia d'artigiani e donna senza lettere,
cioè senza scuola né istruzione, la visione del mondo e dei suoi problemi
superò enormemente i limiti del suo quartiere, fino a progettare la sua azione
in termini mondiali. Al suo ardire non c'eran più limiti, né alla sua ansia per
la salvezza degli uomini. Un giorno, racconta lei stessa, il Signore le dette
«la croce in collo e l'ulivo in mano», da portare all'uno e all'altro popolo,
il cristiano e l'infedele, come se Cristo la sollevasse alle proprie dimensioni
universali della salvezza (S.Catharinae Senensis «Epist.» 219 vel LXV).
Per
renderla più conforme al suo mistero di redenzione e prepararla al suo
indefesso apostolato, il Signore concesse a Caterina il dono delle stigmate.
Ciò avvenne nella chiesa di Santa Cristina, a Pisa, il 1° aprile 1375.
Caterina
ha 29 anni ed è giunta al punto di rendersi conto della grandezza del suo compito:
«ricomporre l'equilibrio della cristianità» (G.La Pira, in Comm. «Vita
Cristiana», 1940, p. 206). Da anni propugnava il «santo passaggio», cioè la
crociata per la liberazione dei luoghi santi, sia per distogliere le armi
cristiane dalle guerre fratricide (cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 206, vel
LXIII), sia per dare «il condimento della fede» agli infedeli (S.Catharinae
Senensis «Epist.» 218 vel LXXIV).
Nella
stessa maniera, e se possibile anche più appassionata, incoraggiava il Papa
alla riforma morale della Chiesa, cominciando con l'elezione di buoni pastori.
Su questo tema trovava gli accenti più infiammati, perché per lei «la Chiesa
non è altro che esso Cristo» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 171 vel LX). Ella
rimprovera e denunzia i disordini, ma con animo tutto accorato, manifestando
per la Chiesa una tenerezza materna, accoppiata a virilità di proposte, quando
scrive a Gregorio XI: «Andate tosto alla sposa vostra, che vi aspetta tutta
impallidita, perché gli poniate il colore» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 231
vel LXXVII). «Reponetele il cuore, che ha perduto, dell'ardentissima carità:
ché tanto sangue le è succhiato per l'iniqui devoratori che è tutta
impallidita» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 206 vel LXIII).
Ormai
s'avvicina il momento della sua impresa più gloriosa. Nel giugno 1376 si recò
ad Avignone, come mediatrice di pace tra la santa Sede e Firenze. La questione
era difficile: si sarebbe risolta due anni dopo, non senza una sua nuova
mediazione. Ma Caterina aveva a cuore cose anche più grandi. S'era fatta
precedere dal suo confessore fra Raimondo da Capua, affidandogli la lettera ora
citata, in cui espone al pontefice «da parte di Cristo crocifisso» le tre
principali cose che egli deve fare per avere pace in ogni direzione: piantare
degni pastori, innalzare il gonfalone della croce per la crociata, e riportare
la sede papale a Roma.
Le
sue parole risuonano di una forte eco profetica, specialmente quando tocca il
tasto della povertà della Chiesa e del danno che le porta la cura dei beni
temporali. Sul ritorno del vicario di Cristo alla sua sede non ha titubanza:
«Rispondete allo Spirito Santo che vi chiama. Io vi dico: venite, venite,
venite». E, dopo averlo esortato a venire «come agnello mansueto», per ridare
forza al suo messaggio, aggiunge con rispettosa franchezza: «siatemi uomo
virile e non timoroso» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 206 vel LXIII). La pena
della lunga attesa e della rovina delle anime le strappa dal cuore, in una
lettera successiva, questo grido: «Oimé, Padre, io muoio di dolore e non posso
morire» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 196 vel LXIV).
Giunta
ad Avignone il 18 giugno, poté far valere a voce, anche in incontri diretti col
Papa, il senso improrogabile del dovere, parlandogli senza presunzione né
timidezza. Il pio pontefice che tardava a prendere l'ultima decisione dovette
convincersi che per bocca di lei parlava realmente il Signore e lo certificava
della sua volontà. Gregorio XI lasciò definitivamente Avignone il 13 settembre
1376 ed entrò in Roma fra un delirio di popolo festante il 17 gennaio 1377.
Più
tardi dopo una lunga missione in Valdorcia Caterina riprese in mano la
questione della pace coi fiorentini, corse anche pericolo, in uno dei tumulti
dell'estate 1378, di essere uccisa; e lei, che s'era vista a un punto dal
martirio, scriveva poi quasi delusa: «Lo Sposo eterno mi fece una grande beffa»
(S.Catharinae Senensis «Epist.» 295).
Purtroppo
quell'anno, scomparso Gregorio XI ed eletto tra burrascosi incidenti Urbano VI,
uomo devoto all'austerità dei costumi e all'ideale della riforma morale,
scoppiò il grande scisma, che doveva turbare l'unità della Chiesa per quasi
quarant'anni. La santa, che pur l'aveva previsto, sentì penetrare nella sua
carne la ferita della Chiesa. Ormai era da abbandonare ogni altro pensiero e
dedicarsi con tutte le forze a lottare per l'unità del corpo mistico e per
l'unico vero Papa. D'ora in poi le sue lettere infocate si potranno chiamare
messaggi dell'unità cristiana. L'amore per il Papa e la Chiesa brucia la sua
anima.
Naturale
che all'invito d'Urbano accorresse a Roma: doveva agire sul cuore stesso della
Chiesa. Suggerì e incoraggiò la raccolta intorno al «dolce Cristo in terra» di
uomini di puro spirito, per assisterlo col consiglio, la preghiera e il
prestigio della vita santa. La sua abitazione in via del Papa (significativo!)
diventò un centro d'attività diplomatica. Lettere e messaggeri partivano per
ogni dove: ai potenti d'Italia e ai regnanti d'Europa, ai Cardinali ribelli e
ai servi di Dio da rincuorare. Animava i soldati che combattevano per Urbano,
placava il popolo romano tumultuante, frenava gli impeti del pontefice, andava
con fatica a pregare sulla tomba dell'apostolo in san Pietro. Fu un anno e
mezzo d'attività logorante e di spasimanti orazioni: «O Dio eterno, ricevi il
sacrificio della vita mia in questo corpo mistico della santa Chiesa»
(S.Catharinae Senensis «Epist.» 371). Così, tra invocazioni e desideri
struggenti, si spense a Roma la domenica 29 aprile 1380, a trentatré anni come
il suo Sposo crocifisso.
Il
suo corpo fu sepolto nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, a Roma, dove si
venera sotto l'altare maggiore; mentre il capo fu inviato a Siena, dove fu
accolto trionfalmente dal clero e dal popolo, presente anche la madre di
Caterina, Lapa, e conservato nella Chiesa di San Domenico.
Caterina
fu canonizzata dal sommo pontefice Pio II con la Bolla «Misericordias Domini»,
del 29 giugno 1461. Ella venne così solennemente additata alla Chiesa
universale come modello di santità, esempio di una sublime grandezza, cui una
semplice donna può giungere con la grazia dell'Onnipotente.
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