Gli scritti
2.
Letterariamente santa Caterina è un caso singolare. Non è mai andata a scuola,
né sapeva leggere e scrivere, se non forse molto tardi e imperfettamente. Eppure
ha dettato un complesso di scritti, che ne fanno un classico di notevole
rilievo nella letteratura trecentesca italiana e tra gli scrittori mistici,
tanto da meritarle il titolo di dottore della Chiesa, conferitole da sua
santità Paolo VI il 4 ottobre 1970.
Sono
rimaste di lei 381 «Lettere», dirette ad ogni genere di persone, umili e
grandi. È un epistolario di ricca spiritualità, specchio di un'anima che vive
intensamente ciò che esprime, e trova accenti schietti e toni di toccante
eloquenza, spesso anche poetici. Vi arde una costante passione per l'uomo
immagine di Dio e peccatore, per Cristo redentore, per la Chiesa che è il campo
in cui il salvatore fa fruttificare il tesoro del suo sangue nella salvezza
dell'uomo.
Vive
in esse uno spirito sensibile a tutti i travagli dell'umanità, un'immaginazione
fervida, una fede che arroventa la parola nel denunziare i vizi, ma
l'addolcisce fino alla tenerezza nell'ammonire i tiepidi e nel sollevare i
deboli. Non c'è niente di falso e di convenzionale, ma schietto vigore anche
nella pietà.
Inoltre
santa Caterina, tra il 1377 e 1378, dettò in varie riprese un libro, che viene
ordinariamente intitolato «Dialogo della Divina Provvidenza o della Divina dottrina»,
nel quale l'anima di lei, in colloquio estatico col Signore, riferisce ciò che
l'eterna verità le dice, rispondendo alle sue domande riguardo al bene della
Chiesa e dei suoi figli e del mondo intero. Il libro è caratterizzato da
accento profetico, da equilibrio di pensiero e da lucidità d'espressione. Tocca
i misteri più augusti della nostra religione e i problemi più ardui
dell'ascetica e della mistica. Il pensiero vigile e implorante è rivolto ai
fratelli del mondo, che vede perdersi nei sentieri del peccato e che cerca di
scuotere dal torpore mortale: mentre con fine intuizione psicologica getta
fasci di luce sulla via della perfezione, esaltando l'elevazione dell'uomo il
quale, nella sequela di Cristo obbediente, trova la via sicura verso la Trinità
beata. Ampiezza di prospettive, aderenza di analisi esperienziali e
fiammeggiare d'immagini e di concetti, fanno di quest'opera «uno dei gioielli
della letteratura religiosa italiana» (E. Underhill, «Mysticism.», p. 467).
Infine
ci sono le «Orazioni», raccolte dalle sue labbra negli ultimi anni di vita,
quando la santa effondeva la sua anima e la sua ansia, nel parlare con
immediatezza al Signore. Sono autentiche improvvisazioni, che salgono spontanee
dalla mente immersa nella luce divina e dal cuore dolente per le miserie degli
uomini, senza banalità di concetti o di petizioni, ma con tono passionale e
confidente, e con espressioni spesso ardite ma di assoluta ortodossia.
L'immagine
più espressiva e ampia di questa maestra di verità e d'amore è quella del
ponte, una costruzione simbolica che anticipa in qualche modo la «Salita del
monte Carmelo» di san Giovanni della Croce. L'allegoria descrive, in succinta e
fine analisi psicologica, il cammino dell'uomo che sale dal peccato al vertice
della perfezione. La caratterizza un'accentuazione cristologica. su cui
s'appoggia tutta la struttura. Infatti il ponte è Gesù Cristo, sia con la
figura del suo corpo innalzata sulla croce, sia con la sua dottrina, sia con la
sua grazia.
Sul
baratro invalicabile aperto dal peccato e solcato dal fiume vorticoso della
corruzione mondana, fu gettato a ricongiungere la terra col cielo, quando il
Figlio di Dio s'incarnò, unendo in sé la natura divina con la natura umana (S.Catharinae
Senensis «Dialogus», cc. 21-22; cfr. S.Catharinae Senensis «Epist.» 272). È
l'unica via per coloro che vogliono veramente giungere alla vita eterna. Ogni
uomo, seguendo l'attrazione della grazia di Cristo (trarrò tutto a me), si
libera gradatamente dal peccato, dal timore imperfetto o servile e dall'amor
proprio sia sensibile che spirituale, fino ad essere spoglio d'ogni
imperfezione.
Contemporaneamente
si attua il cammino in ascesa, ch'è tutto nel segno dell'amore. Caterina
infatti è con san Tommaso e coi migliori teologi, nel pensare che la perfezione
«sta nella virtù della carità» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 11); e
concorda anche col Concilio Vaticano II («Lumen Gentium», 5), sia in questo,
sia nell'universalità della chiamata alla santità (S.Catharinae Senensis
«Dialogus», c. 53). Perciò segna su Cristo-ponte tre gradi (da lei detti
«scaloni») di ascensione spirituale, che significano tanto le tre potenze
dell'anima tratte in alto dall'amore, quanto i tre stati progressivi dello
spirito: imperfetti, perfetti, perfettissimi (S.Catharinae Senensis «Dialogus»,
c. 26)
Si
ha quindi un ponte-scala, col primo grado che è l'amore di servo, il secondo
che è l'amore di amico, il terzo che è l'amore di figlio (S.Catharinae Senensis
«Dialogus», cc. 56-57). La divisione ternaria non è puramente schematica e
tradizionale, ma è didatticamente accompagnata da annotazioni particolari,
caratterizzanti i gradi dell'evoluzione verticale e il modo di superare le tappe
inferiori, con un'aderenza psicologica fondata sull'osservazione
dell'esperienza spirituale.
Anche
i seguenti capitoli del «Dialogo» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc.
87-96), che si usa chiamare «Trattato delle lacrime», procedono su una medesima
via ascendente ma con assoluta originalità di schema, che dimostra nella santa
una maestra dalla personalità propria e dalla didattica matura e precisa, pur
nell'improvvisazione del dettato.
Tuttavia
il progresso spirituale non è limitato all'ambito personale. Santa Caterina è
troppo compresa dell'esistenza degli altri e dell'importanza del prossimo; e
molto insiste sulla inscindibilità dell'amore del prossimo dall'amore di Dio,
come del resto mette in evidenza lo stesso Concilio Vaticano II («Lumen
Gentium», 5). Di lei è la sorprendente affermazione, messa in bocca al Signore:
«Io ti fo sapere che ogni virtù si fa col mezzo del prossimo, e ogni difetto»
(S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 6).
Caterina
intende dire che, per la comunione della carità e della grazia, il prossimo è
sempre coinvolto nel bene e nel male che facciamo (cfr. T.Deman, «La parte del
prossimo nella vita spirituale secondo il "Dialogo"», in «Vita
Cristiana», 1947, n. 3, pp. 250-258). Ma il suo pensiero va più in là: il
prossimo è il «mezzo» per eccellenza per la carità in atto, il luogo dove ogni
virtù si esercita necessariamente, se non esclusivamente.
Dice
l'eterno Padre: l'anima, «come in verità m'ama, così fa utilità al prossimo
suo;... e tanto quanto l'anima ama me, tanto ama lui, perché l'amore verso di
lui esce di me. Questo è quello mezzo, che Io v'ho posto acciò che esercitiate
e proviate la virtù in voi, che non potendo fare utilità a me, dovetela fare al
prossimo» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 7).
Questo
principio, ribadito innumerevoli volte, fa del prossimo il terreno su cui si
esprime, si esercita, si prova e misura la carità fraterna, la pazienza, la
giustizia sociale. Nel contatto con gli altri, gli stessi contrasti diventano
mezzo di verifica delle azioni virtuose (S.Catharinae Senensis «Dialogus», cc.
7-8): restando fermo il confronto esistenziale con l'amore di Dio: «Con quella
perfezione con cui amiamo Dio, con quella amiamo la creatura ragionevole»
(S.Catharinae Senensis «Epist.» 263; cfr. «Dialogus», cc. 7 et 64).
L'insistenza
sul principio di solidarietà serve anche a dimostrare la radice profonda della fraternità
umana insegnataci da Cristo. Gli uomini vivono questa realtà: ognuno è quasi
complemento degli altri. La provvidenza li ha creati dotandoli di qualità
fisiche e morali differenziate da individuo a individuo, sicché ognuno ha
bisogno degli altri, «acciò che abbiate materia, per forza, d'usare la carità
l'uno con l'altro» (S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 7) e siano tutti
legati dal bisogno dell'aiuto reciproco, come le membra nel corpo (S.Catharinae
Senensis «Dialogus», c. 148).
Similmente
nella Chiesa universale c'è solidarietà tra settore e settore. Ciò è figurato
nell'allegoria delle tre vigne: la personale, quella del prossimo e quella
universale del Popolo di Dio. Le prime due sono tanto unite, «che niuno può
fare bene a sé che non facci al prossimo suo, né male che no 'l facci a lui»
(S.Catharinae Senensis «Dialogus», c. 24). Ma nella solidarietà con la terza
vigna sta il senso dell'equilibrio e dell'ordine cateriniano. È nella vigna
universale che è piantata l'unica vite vera, Gesù Cristo, sulla quale ogni
altra dev'essere innestata per riceverne vita (S.Catharinae Senensis
«Dialogus», c. 24). In essa il principale lavoratore è il Papa, «Cristo in
terra, il quale ci ha a ministrare il sangue» (S.Catharinae Senensis «Epist.»
313 et 321); da lui ogni altro lavoratore dipende, per obbedienza e perché lui
«tiene le chiavi del sangue dell'umile Agnello» (S.Catharinae Senensis «Epist.»
339; cfr. «Epist.» 309 et 305).
Immagini
trasparenti del primato di Pietro - primato di magistero e di governo voluto
dalla «prima dolce Verità» (S.Catharinae Senensis «Epist.» 24 vel X) - che
salda istituzione e carisma in Cristo, unica fonte di essi.
A tale logica si
è ispirata tutta l'azione di questo angelo tutelare della Chiesa a pro del
pontificato romano.
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