I. – La Conversione
Conosciamo
il cammino della sua conversione dalle sue stesse opere, quelle cioè che egli
scrisse nella solitudine di Cassiciaco prima del battesimo e soprattutto dalle
celebri «Confessioni», un'opera che è insieme autobiografia, filosofia,
teologia, mistica e poesia, in cui uomini sitibondi di verità e consapevoli dei
propri limiti, hanno ritrovato e ritrovano se stessi. Già a suo tempo l'autore
la considerava tra le sue opere più conosciute. «Quale delle mie opere», scrive
verso la fine della vita, «poté avere più vasta notorietà e riuscire più
dilettevole dei libri delle mie Confessioni?». Questo giudizio la storia non
l'ha mai smentito, anzi lo ha confermato ampiamente. Anche oggi le
«Confessioni» di sant'Agostino sono molto lette e, ricche qual sono
d'introspezione e di passione religiosa, operano in profondità, scuotono e
commuovono. E non solo i credenti. Anche chi non ha la fede, ma va cercando una
certezza almeno che gli permetta di capire se stesso, le sue aspirazioni profonde,
i suoi tormenti, trova vantaggioso leggere quest'opera. La conversione di
sant'Agostino, dominata dal bisogno di trovare la verità, ha molto da insegnare
agli uomini d'oggi così spesso smarriti di fronte al grande problema della
vita.
Si
sa che questa conversione ebbe un cammino del tutto singolare, perché non si
trattò di una conquista della fede cattolica, ma di una riconquista. Egli
l'aveva perduta, convinto, nel perderla, di non abbandonare Cristo, bensì solo
la Chiesa.
Infatti
era stato educato cristianamente da sua madre, la pia e santa Monica. In forza
di quest'educazione Agostino restò sempre non solo un credente in Dio, nella
provvidenza e nella vita futura, ma anche un credente in Cristo, il cui nome «aveva
bevuto», come egli dice, «con il latte materno». Tornato alla fede della Chiesa
cattolica, egli dirà di essere tornato alla religione «che mi era stata
instillata da bambino e fatta entrare fin nelle midolla». Chi vuol capire la
sua evoluzione interiore e un aspetto, forse il più profondo, della sua
personalità e del suo pensiero, deve partire da questa constatazione.
Svegliatosi
a 19 anni all'amore della sapienza con la lettura dell'«Ortensio» di Cicerone -
«Quel libro, devo ammetterlo, mutò il mio modo di sentire... e mi fece bramare
la sapienza immortale con incredibile ardore di cuore» - amò profondamente e
cercò sempre con tutte le fibre dell'anima la verità. «O Verità, Verità, come
già allora e dalle intime fibre del mio cuore sospiravo verso di te!».
Nonostante
questo amore alla verità, Agostino cadde in gravi errori. Gli studiosi ne
cercano le cause e le trovano in tre direzioni: nell'errata impostazione delle
relazioni tra la ragione e la fede quasi che si dovesse scegliere tra l'una e
l'altra; nel supposto contrasto tra Cristo e la Chiesa con la conseguente
persuasione che occorresse abbandonare la Chiesa per aderire più pienamente a
Cristo; nel desiderio di liberarsi dalla coscienza del peccato non attraverso
la sua remissione per opera della grazia ma attraverso la negazione della
responsabilità umana nel peccato stesso.
Il
primo errore consisteva dunque in un certo spirito razionalista per cui si
persuase «di dover seguire non coloro che comandano di credere, ma coloro che
insegnano la verità». Con questo spirito lesse le sacre Scritture e si sentì
respinto dai misteri che esse contengono, misteri che occorre accettare con
umile fede. Parlando poi al suo popolo di questo momento della vita egli disse:
«Io che vi parlo fui ingannato un tempo, quando da giovane mi avvicinai per la
prima volta alle sacre Scritture. Mi avvicinai non con la pietà di chi cerca
umilmente, ma con la presunzione di chi vuol discutere... Misero me, che mi
credei idoneo al volo, abbandonai il nido e caddi prima di poter volare!».
Fu
allora che s'imbatté nei manichei, li ascoltò, li seguì. Ragione principale: la
promessa «di mettere da parte la terribile autorità e di condurre a Dio e
liberare dagli errori i propri discepoli con la pura e semplice ragione». E
tale appunto, si mostrava Agostino, «desideroso di tenere e assorbire la verità
autentica e senza veli» con la forza della sola ragione.
Accortosi
dopo lunghi anni di studi, particolarmente di studi filosofici, di essere stato
ingannato, ma, per effetto della propaganda manichea, sempre convinto che nella
Chiesa cattolica la verità non ci fosse, cadde in un profondo scoramento e
disperò affatto di poter trovare la verità: «gli accademici tennero a lungo il
timone della mia nave in mezzo ai flutti».
Da
questo pericoloso atteggiamento lo sollevò lo stesso amore per la verità che
albergava sempre nel suo animo. Si convinse che non è possibile che alla mente
umana sia chiusa la via della verità; se non la trova, è perché ignora e
disprezza il metodo per cercarla. Confortato da questa convinzione egli disse a
se stesso: «Ma no, cerchiamo con maggior diligenza anziché disperare»; continuò
quindi a cercare, e questa volta, guidato dalla grazia divina che la madre
implorava con preghiere e lacrime, raggiunse il porto.
Comprese
che ragione e fede sono due forze destinate a cooperare insieme per condurre
l'uomo alla conoscenza della verità, che ognuna di esse ha un suo primato:
temporale la fede, assoluto la ragione - «per importanza viene prima la
ragione, in ordine di tempo l'autorità (della fede)» -. Comprese che la fede
per essere sicura richiede un'autorità divina, che questa autorità non è altro
che quella di Cristo, sommo maestro - di questo Agostino non aveva mai dubitato
-, che l'autorità di Cristo si ritrova nelle sacre Scritture, garantite
dall'autorità della Chiesa cattolica.
Con
l'aiuto dei filosofi platonici si liberò dalla concezione materialistica
dell'essere che aveva assorbito dal manicheismo: «Ammonito da quegli scritti a
tornare in me stesso, entrai nell'intimo del mio cuore sotto la tua guida... Vi
entrai e scorsi con l'occhio della mia anima... sopra la mia intelligenza, una
luce immutabile». Fu questa luce immutabile che gli aprì gli immensi orizzonti
dello spirito e di Dio.
Capì
che intorno alla grave questione del male, che costituiva il suo grande tormento,
la prima domanda da porsi non era da dove esso abbia origine, ma che cosa sia,
e intuì che il male non è una sostanza ma una privazione di bene: «Tutto ciò
che esiste è bene, e il male di cui cercavo l'origine, non è una sostanza». Dio
dunque, ne concluse, è il creatore di tutte le cose e non esiste nessuna
sostanza che non sia stata creata da lui. Capì altresì, riferendosi alla sua
esperienza personale - e questa fu la scoperta più decisiva - che il peccato ha
origine dalla volontà dell'uomo, una volontà libera e defettibile: «ero io a
volere, io a non volere, io, io ero».
A
questo punto poteva dirsi arrivato, invece non lo era ancora; le insidie di un
nuovo errore lo avvolsero. Fu la presunzione di poter arrivare al possesso beatificante
della verità con le sole sue forze naturali. Un'esperienza personale fallita lo
dissuase. Comprese allora che altro è conoscere la meta, altro arrivarci. Per
trovare la forza e la via necessarie, «mi buttai con la massima avidità»,
scrive egli stesso, «sulla venerabile Scrittura del tuo Spirito, e prima di
tutto sull'apostolo Paolo». Nelle lettere di Paolo scoperse Cristo maestro,
come sempre lo aveva venerato, ma anche Cristo redentore, Verbo incarnato,
unico mediatore tra Dio e gli uomini. Allora gli apparve in tutto il suo
splendore «il volto della filosofia»: era la filosofia di Paolo che ha per
centro Cristo, «potenza e sapienza di Dio» (1Cor 1,24), e che ha altri centri:
la fede, l'umiltà, la grazia; quella «filosofia» che è insieme sapienza e
grazia, per cui diventa possibile non solo conoscere la patria ma anche
raggiungerla.
Ritrovato
Cristo redentore e afferratosi a lui, Agostino era tornato al porto della fede
cattolica, alla fede in cui era stato educato da sua madre: «Avevo udito
parlare sin da fanciullo della vita eterna, che ci fu promessa mediante
l'umiltà del Signore Dio nostro, sceso fino alla nostra superbia». L'amore per
la verità, sostenuto dalla grazia divina, aveva trionfato di tutti gli errori.
Sennonché
il cammino non era ancora concluso. Nell'animo di Agostino rinasceva un antico
proposito, quello di consacrarsi totalmente alla sapienza una volta che
l'avesse trovata, di abbandonare cioè, per possederla, ogni terrena speranza.
Ora egli non poteva portare più scuse: la verità tanto bramata era ormai certa.
Eppure esitava, cercando ragioni per non decidersi a farlo. I vincoli che lo
legavano alle speranze terrene erano forti: gli onori, i guadagni, le nozze;
specialmente, date le abitudini contratte, le nozze.
Non
già che gli fosse proibito sposarsi - Agostino questo lo sapeva bene - ma non
voleva essere cristiano cattolico se non in questo modo: rinunciando anche
all'ideale vagheggiato della famiglia e dedicandosi con «tutta» l'anima
all'amore e al possesso della sapienza. A prendere questa decisione, che
corrispondeva alle sue aspirazioni più profonde ma contrastava con le abitudini
più radicate, lo stimolava l'esempio di Antonio e dei monaci che si andavano
diffondendo anche in Occidente, di cui venne fortuitamente a conoscenza. Egli
si chiedeva con grande vergogna: «Non potrai fare anche tu ciò che fecero
questi giovani, queste donne?». Ne nacque un dramma interiore, profondo e
lacerante, che la grazia divina condusse a buon fine.
Ecco
come Agostino narra a sua madre la serena e forte decisione: «Ci rechiamo da
mia madre e le riveliamo la decisione presa: ne gioisce; le raccontiamo lo
svolgimento dei fatti: esulta e trionfa. E cominciò a benedirti perché puoi
fare più di quanto chiediamo e comprendiamo (Ef 3,20). Vedeva che le avevi
concesso a mio riguardo molto più di quanto ti aveva chiesto con tutti i suoi
gemiti e le sue lacrime pietose. Infatti mi rivolgesti a te così appieno, che
non cercavo più né moglie né avanzamenti in questo secolo».
Da
quel momento incominciava per Agostino una vita nuova: terminò l'anno
scolastico - le vacanze della vendemmia erano vicine -, si ritirò nella
solitudine di Cassiciaco; al termine delle vacanze rinunciò all'insegnamento,
tornò a Milano agli inizi del 387, s'iscrisse tra i catecumeni, e nella notte
del sabato santo - 23/24 aprile - fu battezzato dal vescovo Ambrogio dalla cui
predicazione aveva tanto imparato. «E fummo battezzati, e si dileguò da noi
l'inquietudine della vita passata. In quei giorni non mi saziavo di considerare
con mirabile dolcezza i tuoi profondi disegni sulla salute del genere umano». E
aggiunge manifestando l'intima commozione dell'animo: «Quante lacrime versai
ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente
nella tua Chiesa».
Dopo il battesimo
l'unico desiderio di Agostino fu quello di trovare un luogo adatto dove poter
vivere insieme con i suoi amici secondo il «santo proposito» di servire il Signore.
Lo trovò in Africa, a Tagaste, suo paese natale, dove giunse dopo la morte
della madre a Ostia Tiberina e la permanenza di alcuni mesi a Roma per studiare
il movimento monastico. Giunto a Tagaste, «rinunciò ai suoi beni e, insieme con
quelli che erano uniti a lui, viveva per Dio nei digiuni, nelle preghiere,
nelle buone opere, meditando giorno e notte la legge del Signore».
L'appassionato amante della verità voleva dedicare la sua vita all'ascetismo,
alla contemplazione, all'apostolato intellettuale. Il primo biografo aggiunge
infatti: «E delle verità che Dio rivelava alla sua intelligenza faceva parte ai
presenti e agli assenti, ammaestrandoli con discorsi e con libri». A Tagaste
scrisse libri e libri, come aveva fatto a Roma, a Milano, a Cassiciaco.
Dopo
tre anni scese a Ippona con l'intento di cercare un luogo dove fondare un
monastero e d'incontrare un amico che sperava di guadagnare alla vita
monastica, e trovò invece, suo malgrado, il sacerdozio. Ma non rinunciò al suo
ideale: chiese e ottenne di fondare un monastero: il «monasterium laicorum», in
cui visse, e da cui uscirono molti sacerdoti e molti vescovi per tutta
l'Africa. Diventò, dopo cinque anni, vescovo, trasformò l'episcopio in
monastero: il «monasterium clericorum». L'ideale concepito al momento della
conversione non lo lasciò cadere mai, neppure da sacerdote e da vescovo.
Scrisse anche una regola «ad servos Dei», che tanta parte ebbe e ha nella
storia della vita religiosa occidentale.
|