1. Ragione
e fede
Prima
di tutto quelle riguardanti il problema che più lo attanagliò in gioventù e sul
quale egli tornò con tutta la forza dell'ingegno e la passione dell'animo,
quello riguardante le relazioni tra la ragione e la fede: un problema di
sempre, di oggi non meno che di ieri, dalla cui soluzione dipende l'indirizzo
del pensiero umano. Ma problema difficile, perché si tratta di passare incolumi
tra un estremo e l'altro, tra il fideismo che disprezza la ragione e il
razionalismo che esclude la fede. Lo sforzo intellettuale e pastorale di
Agostino fu quello di mostrare, senza ombra di dubbio, che «le due forze che ci
portano a conoscere», devono cooperare insieme.
Egli
ascoltò la fede, ma non esaltò meno la ragione, dando a ciascuna il suo
primato, o di tempo o di importanza. Disse a tutti il «crede ut intelligas», ma
ripeté anche l'«intellige ut credas». Scrisse un'opera, sempre attuale,
sull'utilità della fede e spiegò che è la fede la medicina destinata a sanare
l'occhio dello spirito, la fortezza inespugnabile per la difesa di tutti,
particolarmente dei deboli, contro l'errore, il nido in cui si mettono le penne
per gli alti voli dello spirito, la via breve che permette di conoscere presto,
con sicurezza e senza errori, le verità che conducono l'uomo alla sapienza. Ma
sostenne anche che la fede non è mai senza ragione, perché è la ragione che
dimostra «a chi si debba credere». Pertanto «anche la fede ha i suoi occhi con
i quali vede in qualche modo che è vero quello che ancora non vede». «Nessuno
dunque crede se prima non ha pensato di dover credere», poiché «credere altro
non è che pensare con assenso ("cum assentione cogitare")...» tanto
che «la fede che non sia pensata non è fede».
Il
discorso sugli occhi della fede sfocia in quello della credibilità, di cui
Agostino parla spesso adducendone i motivi, quasi a confermare la
consapevolezza con cui era tornato egli stesso alla fede cattolica. Giova
riportare un testo. Scrive: «Molte sono le ragioni che mi trattengono in seno
della Chiesa cattolica. A parte la sapienza dell'insegnamento (questo
argomento, per Agostino fortissimo, non era ammesso dagli avversari)... mi
trattiene il consenso dei popoli e delle genti; mi trattiene l'autorità fondata
coi miracoli, nutrita con la speranza, aumentata con la carità, consolidata con
l'antichità; mi trattiene la successione dei vescovi, della sede stessa
dell'apostolo Pietro, a cui il Signore dopo la risurrezione diede a pascere le
sue pecore, fino al presente episcopato; mi trattiene infine lo stesso nome di
cattolica che non senza ragione solo questa Chiesa ha ottenuto».
Nella
grande opera della «Città di Dio», che è insieme apologetica e dommatica, il
problema ragione e fede diventa quello di fede e cultura. Agostino, che tanto
operò per fondare e promuovere la cultura cristiana, lo risolve svolgendo tre
grossi argomenti: l'esposizione fedele della dottrina cristiana; il ricupero
attento della cultura pagana in ciò che aveva di ricuperabile, e che sul piano
filosofico non era poco; la dimostrazione insistente della presenza
nell'insegnamento cristiano di quanto di vero e di perennemente valido v'era in
quella cultura, col vantaggio di trovarvisi perfezionato e sublimato. Non per
nulla la «Città di Dio» fu molto letta nel medioevo; e merita molto di essere
letta anche oggi come esempio e stimolo per approfondire l'incontro del
cristianesimo con le culture dei popoli. Vale la pena di riportare un
importante testo agostiniano: «La città celeste... convoca cittadini da tutte
le nazioni non badando alla differenza dei costumi, delle leggi, delle
istituzioni... non sopprime né distrugge alcuna di queste cose, anzi accetta e
conserva tutto ciò che, sebbene diverso nelle diverse nazioni, tende a un solo
e medesimo fine: la pace terrena, a condizione che non impediscano la religione
che insegna ad adorare l'unico Dio, sommo e vero».
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