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Ioannes Paulus PP. II
Augustinum hipponensem

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  • II. – Il Dottore
    • 4. Libertà e grazia
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4. Libertà e grazia

 

Non si finirebbe più a indicare, sia pure per sommi capi, i diversi aspetti della teologia agostiniana. Un altro argomento importante, anzi fondamentale, legato pur esso alla conversione, è quello della libertà e della grazia. Come già ho ricordato, fu alla vigilia della conversione che prese coscienza della responsabilità dell'uomo nelle sue azioni e della necessità della grazia dell'unico Mediatore, di cui sperimentò la forza nel momento dell'ultima decisione. Ne è testimonianza eloquente il libro VIII delle «Confessioni». Le riflessioni personali e le controversie sostenute poi, particolarmente con i seguaci dei manichei e dei pelagiani, gli offrivano l'opportunità di approfondire i termini del problema e di proporne, sia pure con grande modestia a causa della misteriosità della questione, una sintesi.

 

Sostenne sempre che la libertà è un caposaldo dell'antropologia cristiana. Lo sostenne contro i suoi antichi correligionari, contro il determinismo degli astrologi di cui egli stesso era stato vittima, contro ogni forma di fatalismo; spiegò che la libertà e la prescienza non sono inconciliabili, come pure non lo sono libertà e aiuto della grazia divina. «Il libero arbitrio non viene tolto, perché viene aiutato, ma viene aiutato perché non viene tolto». È celebre del resto il principio agostiniano: «Chi ti ha creato senza di te, non ti giustifica senza di te. Dunque, ha creato chi non sapeva, non giustifica chi non vuole».

 

A chi dubitava di questa conciliabilità o affermava il contrario dimostra con lunga serie di testi biblici che libertà e grazia appartengono alla divina rivelazione e che occorre tener ferme insieme le due verità. Vedere in profondità la loro conciliazione è questione difficilissima che pochi sono in grado di capire, e che può creare angustia per molti, perché difendendo la libertà si può dare l'impressione di negare la grazia e viceversa. Occorre però credere nella loro conciliabilità come nella conciliabilità di due prerogative essenziali di Cristo dalle quali l'una e l'altra rispettivamente dipendono. Cristo infatti è insieme salvatore e giudice. Ora, «se non c'è la grazia, come salva il mondo? se non c'è il libero arbitrio come giudica il mondo?».

 

D'altra parte Agostino insiste sulla necessità della grazia, che è insieme necessità della preghiera. A chi diceva che Dio non comanda l'impossibile e perciò la grazia non è necessaria, risponde che sì, è vero, «Dio non comanda l'impossibile, ma comandando ti ammonisce di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi», e aiuta l'uomo perché possa, egli che «non abbandona nessuno se non è abbandonato».

 

La dottrina sulla necessità della grazia diventa la dottrina sulla necessità della preghiera, su cui Agostino tanto insiste, perché, così egli scrive, «è certo che Dio ha preparato alcuni doni anche a chi non li implora, come l'inizio della fede, altri solo a chi li implora, come la perseveranza finale».

 

La grazia è dunque necessaria per rimuovere gli ostacoli che impediscono alla volontà di fuggire il male e di compiere il bene. Questi ostacoli sono due, «l'ignoranza e la debolezza», soprattutto il secondo, «perché anche quando incomincia a non rimanere più nascosto ciò che si deve fare..., non si agisce, non si esegue, non si vive bene». Perciò la grazia adiuvante è soprattutto «l'ispirazione della carità per cui facciamo con santo amore ciò che conosciamo di dover fare».

 

Ignoranza e debolezza sono due ostacoli che occorre superare per poter respirare la libertà. Non sarà inutile ricordare che la difesa della necessità della grazia è per Agostino la difesa della libertà cristiana. Partendo dalle parole di Cristo: «se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi» (Gv 8,36), egli si fece difensore e cantore di questa libertà che è inseparabile dalla verità e dall'amore. Verità, amore, libertà, i tre grandi beni, che appassionarono l'animo di Agostino e ne esercitarono il genio. Su di essi gettò molta luce di intelligibilità.

Per fermarsi un momento su quest'ultimo bene - quello della libertà - è il caso di osservare che egli descrive ed esalta la libertà cristiana in tutte le sue forme. Queste vanno dalla libertà dall'errore - la libertà invece dell'errore è «la peggior morte dell'anima» -, attraverso il dono della fede che assoggetta l'anima alla verità, fino alla libertà ultima e indefettibile, quella maggiore, che consiste nel non poter morire e nel non poter peccare, cioè nell'immortalità e nella piena giustizia. Tra queste due, che segnano l'inizio e il termine della salvezza, illustra e proclama tutte le altre: la libertà dal peccato opera della giustificazione; la libertà dal dominio delle passioni disordinate, opera della grazia che illumina l'intelletto e tanta forza alla volontà da renderla invitta contro il male, come sperimentò egli stesso nella conversione, quando fu liberato dalla dura schiavitù; la libertà dal tempo che divoriamo e ci divora, in quanto l'amore ci permette di vivere ancorati all'eternità.

 

Sulla giustificazione, di cui espone le ineffabili ricchezze - la vita divina della grazia, l'inabitazione dello Spirito Santo, la «deificazione» - fa un'importante distinzione fra la remissione dei peccati che è piena e totale, piena e perfetta, e il rinnovamento interiore che è progressivo e sarà pieno e totale solo dopo la risurrezione quando tutto l'uomo diventerà partecipe dell'immutabilità divina.

 

Sulla grazia che fortifica la volontà insiste nel dire che essa opera per mezzo dell'amore e pertanto rende invitta la volontà contro il male senza toglierle la possibilità di non volere. Trattando delle parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: «nessuno viene a me se il Padre non lo attira» (Gv 6,44), commenta: «non pensare di essere attratto contro la tua volontà: l'animo è attratto anche dall'amore». Ma l'amore, osserva ancora, opera con «liberale soavità», perciò «compie la legge liberamente chi la compie con amore»: «la legge della carità è legge di libertà».

 

Non meno insistente è l'insegnamento di Agostino sulla libertà del tempo, libertà che Cristo, Verbo eterno, è venuto a portarci entrando nel mondo con l'incarnazione: «O Verbo, esclama Agostino, che esisti prima dei tempi, per mezzo del quale furono fatti i tempi, anche tu nato nel tempo pur essendo la vita eterna, tu chiami all'esistenza gli esseri temporali e li rendi eterni». Si sa che il nostro dottore ha scrutato molto il mistero del tempo e ha sentito e ha ridetto il bisogno di trascendere il tempo per essere veramente. «Se anche tu vuoi essere, trascendi il tempo. Ma chi può trascendere il tempo con le sue forze? Ci elevi su in alto colui che ha detto al Padre: «Voglio che dove sono io, siano anch'essi con me» (Gv 17,24)».

 

La libertà cristiana, di cui ho fatto poco più che un accenno, viene vista e studiata nella Chiesa, la città di Dio, che ne mostra gli effetti e, sostenuta dalla grazia divina, li partecipa, per quanto dipende da lei, a tutti gli uomini. È fondata infatti sull'amore «sociale» che abbraccia tutti gli uomini e vuole unirli nella giustizia e nella pace; al contrario della città degli iniqui che divide e pone l'uno contro l'altro perché fondata sull'amore «privato».

 

Giova ricordare qui qualcuna delle definizioni della pace che Agostino ha coniato secondo le realtà alle quali viene applicata. Partendo dalla nozione che «la pace degli uomini è l'ordinata concordia», definisce la pace della casa come «l'ordinata concordia degli abitanti nel comandare e nell'obbedire»; così pure la pace della città; continua poi: «la pace della città celeste è la ordinatissima e la concordissima società di coloro che godono di Dio e vicendevolmente in Dio». poi la definizione della pace di tutte le cose che è la tranquillità dell'ordine. Infatti definisce l'ordine stesso, che altro non è se non «la disposizione di realtà uguali e disuguali che a ciascuno il proprio posto».

 

Per questa pace opera e a questa pace «sospira il popolo di Dio durante il suo pellegrinaggio dalla partenza al ritorno».

 




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