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Ioannes Paulus PP. II
Augustinum hipponensem

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  • II. – Il Dottore
    • 5. La carità e le ascensioni dello Spirito
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5. La carità e le ascensioni dello Spirito

 

Il breve riassunto dell'insegnamento agostiniano resterebbe gravemente incompleto se non si dedicasse un accenno alla dottrina spirituale che, unita strettamente a quella filosofica e teologica, non è meno ricca dell'una e dell'altra. Occorre tornare di nuovo alla conversione da cui ho cominciato. Fu allora che decise di dedicarsi totalmente all'ideale della perfezione cristiana. A questo proposito restò sempre fedele; non solo, ma si impegnò con tutte le forze ad indicarne agli altri la strada. Lo fece attingendo alla sua esperienza e alla Scrittura, che è per tutti il primo alimento della pietà.

 

Fu un uomo di preghiera, anzi, si direbbe un uomo fatto di preghiera - basti ricordare le celebri «Confessioni» scritte sotto forma di una lettera a Dio -, e ridisse a tutti con incredibile perseveranza la necessità della preghiera: «Dio ha disposto che combattiamo più con la preghiera che con le nostre forze»; ne descrisse la natura, così semplice eppur così complessa, l'interiorità in base alla quale identificò la preghiera con il desiderio: «Il tuo stesso desiderio è la tua preghiera: e il continuo desiderio è una continua preghiera»; il valore sociale: «Preghiamo per quelli che non sono stati chiamati, scrive, perché lo siano: forse sono stati predestinati in modo da essere concessi alle nostre preghiere»; l'insostituibile inserimento in Cristo, «che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi; prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio: riconosciamo pertanto in lui la nostra voce e in noi la sua».

 

Salì con progressiva diligenza i gradini delle ascensioni interiori, e descrisse il loro programma per tutti, un programma ampio e articolato che comprende il movimento dell'animo verso la contemplazione: purificazione, costanza e serenità, orientamento verso la luce, dimora nella luce; i gradi della carità: incipiente, progressiva, intensa, perfetta; i doni dello Spirito Santo rapportati alle beatitudini; le petizioni del Padre nostro; gli esempi di Cristo.

 

Se le beatitudini evangeliche costituiscono il clima soprannaturale in cui il cristiano deve vivere, i doni dello Spirito Santo danno il tocco soprannaturale della grazia che rende possibile quel clima; le petizioni del Padre nostro, o in genere la preghiera che tutta si riduce a quelle petizioni, come alimento necessario; l'esempio di Cristo il modello da imitare; la carità poi costituisce l'anima di tutto, il centro di irradiazione, la molla segreta dell'organismo spirituale. Fu merito non piccolo del vescovo di Ippona l'aver ricondotto tutta la dottrina e la vita cristiana alla carità, intesa come «adesione alla verità per vivere nella giustizia».

 

Vi riconduce infatti la Scrittura che, tutta, «narra Cristo e raccomanda la carità», la teologia che in essa trova il suo fine, la filosofia, la pedagogia e persino la politica. Nella carità pose l'essenza e la misura della perfezione cristiana, il primo dono dello Spirito Santo, la realtà con la quale nessuno può essere cattivo, il bene con il quale si possiedono tutti i beni e senza il quale non giovano a nulla tutti gli altri beni. «Abbi la carità e avrai tutto, perché senza di essa a nulla giova tutto ciò che potrai avere».

 

Della carità mise in rilievo tutte le inesauribili ricchezze: rende facile tutto quanto è difficile, muove ciò che è abituale, insopprimibile il movimento verso il Bene sommo, poiché qui in terra la carità non è mai piena, libera da ogni interesse che non sia Dio, è inseparabile dall'umiltà - «dove c'è l'umiltà, ivi c'è la carità» - è l'essenza d'ogni virtù - la virtù infatti non è che amore ordinato -, dono di Dio. Punto cruciale, quest'ultimo, che distingue e separa la concezione naturalistica e quella cristiana della vita. «Da dove negli uomini la carità di Dio e del prossimo se non da Dio stesso? Poiché se essa proviene non da Dio ma dagli uomini, hanno partita vinta i pelagiani; se invece proviene da Dio, abbiamo vinto i pelagiani».

 

Dalla carità nasceva in Agostino l'ansia della contemplazione delle cose divine, che è propria della sapienza. Delle forme più alte di contemplazione egli ebbe spesso l'esperienza, non solo quella celebre di Ostia, ma altre ancora. Dice di sé: «spesso faccio questo» - ricorre cioè alla meditazione della Scrittura perché le pressanti occupazioni non l'opprimano -, «è la mia gioia, e in questo diletto mi rifugio, allorché posso liberarmi dalla stretta delle occupazioni... Talvolta m'introduci in un sentiero interiore del tutto sconosciuto e indefinibilmente dolce, che, qualora raggiunga in me la sua pienezza, non so dire che mai sarà, ché non sarà certo questa vita». Se si aggiungono queste esperienze all'acume teologico e psicologico di Agostino e alla sua rara capacità di scrittore, si comprende perché abbia descritto con tanta precisione le ascensioni mistiche, tanto che qualcuno ha potuto chiamarlo il principe dei mistici.

 

Nonostante l'amore predominante per la contemplazione, Agostino accettò la «sarcina» dell'episcopato e insegnò agli altri a fare altrettanto, rispondendo così, con umiltà, alla chiamata della Chiesa madre, ma insegnò anche con l'esempio e gli scritti come conservare tra le occupazioni dell'attività pastorale il gusto della preghiera e della contemplazione. Vale la pena riportare la sintesi, divenuta classica, che ci offre la «Città di Dio». «L'amore della verità ricerca la quiete della contemplazione, il dovere dell'amore accetta l'attività dell'apostolato. Se nessuno impone questo peso, ci si deve dedicare alla ricerca e alla contemplazione della verità; se però esso ci viene imposto, dev'essere assunto per dovere di carità. Ma anche in questo caso non si devono abbandonare le consolazioni della verità, perché non accada che, privati di questa dolcezza, si resti schiacciati da quella necessità». La profonda dottrina qui esposta merita una lunga e attenta riflessione. Questa diventa più facile e più efficace se si guarda ad Agostino stesso, che diede un fulgido esempio di come conciliare i due aspetti, apparentemente contrastanti, della vita cristiana: preghiera e azione.

 




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