IV. – Agostino
agli uomini d’oggi
A
quest'uomo straordinario vogliamo chiedere, prima di terminare, che cosa abbia
da dire agli uomini d'oggi. Penso che abbia da dire veramente molto, sia con
l'esempio che con l'insegnamento.
A chi cerca la
verità insegna a non disperare di trovarla. Lo insegna con l'esempio - egli la
ritrovò dopo molti anni di faticose ricerche - e con la sua attività letteraria
della quale fissa il programma nella prima lettera scritta poco dopo la
conversione. «A me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di
trovare la verità». Insegna pertanto a cercarla «con umiltà, disinteresse,
diligenza»; a superare lo scetticismo attraverso il ritorno in se stessi, dove
abita la verità; il materialismo che impedisce alla mente di percepire la sua
unione indissolubile con le realtà intelligibili; il razionalismo, che
ricusando la collaborazione della fede si mette nella condizione di non capire
il «mistero» dell'uomo.
Ai
teologi che meritatamente faticano per approfondire il contenuto della fede,
egli lascia l'immenso patrimonio del suo pensiero, nel complesso sempre valido,
e particolarmente il metodo teologico cui restò incrollabilmente fedele.
Sappiamo che questo metodo comportava l'adesione piena all'autorità della fede,
che, una nella sua origine - l'autorità di Cristo - si manifesta attraverso la
Scrittura, la tradizione, la Chiesa; l'ardente desiderio di capire la propria
fede: «ama molto di capire», dice agli altri e applica a se stesso; il senso
profondo del mistero: «è migliore la fedele ignoranza», esclama, «che la
temeraria scienza»; la convinta sicurezza che la dottrina cristiana viene da
Dio e ha pertanto una sua originalità che non solo dev'essere conservata
integralmente - è questa la «verginità» della fede di cui si parlava -, ma deve
servire anche come misura per giudicare filosofie ad essa conformi o difformi.
E'
noto quanto Agostino amasse la Scrittura, di cui esalta l'origine divina,
l'inerranza, la profondità e la ricchezza inesauribile, e quanto la studiasse.
Ma egli studia e vuole che si studi tutta la Scrittura, che se ne metta in luce
il vero pensiero o, come dice, il «cuore», concordandola, dove occorra, con se
stessa. Ritiene questi due presupposti leggi fondamentali per capirla. Per
questo la legge nella Chiesa, e tenendo conto della tradizione, della quale
mette in rilievo con insistenza le proprietà e la forza obbligante. È celebre
il suo effato: «Io non crederei nel Vangelo se non mi c'inducesse l'autorità
della Chiesa cattolica».
Nelle
controversie che sorgono sull'interpretazione della Scrittura raccomanda di
discutere «con santa umiltà, con pace cattolica, con carità cristiana» «finché
non sia emersa la verità, che Dio ha posto nella cattedra dell'unità». Allora
si potrà constatare che la controversia non è sorta inutilmente, perché è
diventata «occasione d'imparare», determinando un progresso nell'intelligenza
della fede.
Per
continuare ancora un poco sugli insegnamenti agostiniani agli uomini d'oggi,
egli ricorda ai pensatori il duplice oggetto d'indagine che deve occupare la
mente umana: Dio e l'uomo. «Che cosa vuoi conoscere?» chiede egli a se stesso.
E risponde: «Dio e l'uomo». «Nulla di più? Proprio nulla». Di fronte al triste
spettacolo del male, ricorda loro altresì di avere fiducia nel trionfo finale del
bene, cioè di quella Città «dove la vittoria è verità, la dignità è santità, la
pace è felicità, la vita è eternità».
Invita
inoltre gli uomini della scienza a riconoscere nelle cose create il vestigio di
Dio e a scoprire nell'armonia dell'universo le «ragioni seminali» che Dio vi ha
inserito. Agli uomini poi che hanno in mano le sorti dei popoli raccomanda di
amare soprattutto la pace e di promuoverla non con la lotta ma con i metodi di
pace, perché, scrive sapientemente, «è titolo più grande di gloria uccidere la
guerra con la parola che gli uomini con la spada, e procurare o mantenere la
pace con la pace, non con la guerra».
Infine
vorrei dedicare una parola ai giovani che Agostino molto amò come professore
prima della conversione e come pastore dopo. Egli ricorda ad essi il suo grande
trinomio: verità, amore, libertà; tre beni supremi che stanno insieme; e li
invita ad amare la bellezza, egli che ne fu un grande innamorato. Non solo la
bellezza dei corpi che potrebbe far dimenticare quella dello spirito, né solo
quella dell'arte, ma la bellezza interiore della virtù e soprattutto la
bellezza eterna di Dio, da cui la bellezza dei corpi, dell'arte e della virtù
discende; di Dio che è «la bellezza di ogni bellezza», «fondamento, principio e
ordinatore del bene e della bellezza di tutti gli esseri che sono buoni e
belli». Agostino, ricordando gli anni precedenti la sua conversione, si
rammarica amaramente di aver amato tardi questa «bellezza tanto antica e tanto
nuova», e vuole che i giovani non lo seguano in questo, ma che, amandola sempre
e soprattutto, conservino perpetuamente in essa lo splendore interiore della
loro giovinezza.
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