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Ioannes Paulus PP. II Augustinum hipponensem IntraText CT - Lettura del testo |
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3. Cristo e la Chiesa
Si può ben dire che Cristo e la Chiesa siano il fulcro del pensiero teologico del vescovo di Ippona, anzi, si potrebbe aggiungere, della sua stessa filosofia, in quanto egli rimprovera ai filosofi di aver fatto filosofia «sine homine Christo». Da Cristo è inseparabile la Chiesa. Egli riconobbe al momento della conversione e accettò con gioia e gratitudine la legge della Provvidenza che ha posto in Cristo e nella Chiesa «l'autorità più eccelsa e la luce della ragione ("totum culmen auctoritatis lumemque rationis") allo scopo di ricreare e riformare il genere umano».
Senza dubbio egli ha parlato a lungo ed egregiamente, nella grande opera sulla Trinità e nei discorsi sul mistero trinitario tracciando la strada alla teologia posteriore. Ha insistito insieme sull'uguaglianza e sulla distinzione delle Persone divine illustrandole con la dottrina delle relazioni: Dio «è tutto ciò che ha, eccetto le relazioni per cui ogni persona si riferisce all'altra». Ha sviluppato la teologia sullo Spirito santo, che procede dal Padre e dal Figlio, ma «principaliter» dal Padre, perché «di tutta la divinità o, meglio, della deità, il principio è il Padre»; ed egli ha dato al Figlio di spirare lo Spirito Santo, che procede come Amore e perciò non è generato. Per rispondere poi ai «garruli ragionatori», ha proposto la spiegazione «psicologica» della Trinità cercandone l'immagine nella memoria, nell'intelligenza, nell'amore dell'uomo, studiando così insieme il più augusto mistero della fede e la più alta natura del creato qual è lo spirito umano.
Ma parlando della Trinità tiene sempre lo sguardo fisso nel Cristo rivelatore del Padre, e nell'opera della salvezza. Da quando, poco prima della conversione, comprese i termini del mistero del Verbo incarnato, non cessò mai di approfondirlo riassumendo il suo pensiero in formule tanto piene ed efficaci da preannunziare quella di Calcedonia. Ecco un testo significativo da una delle sue ultime opere: «Il cristiano fedele crede e confessa in Cristo la vera natura umana, cioè la nostra, ma assunta in maniera singolare da Dio Verbo, sublimata nell'unico Figlio di Dio, così che colui che assume e ciò che è assunto sia un'unica persona nella Trinità... una sola persona Dio e l'uomo. Perché noi non diciamo che Cristo è solo Dio... e nemmeno diciamo che Cristo è solo uomo... e neppure diciamo che è uomo ma con qualcosa in meno di ciò che con certezza appartiene alla natura umana... Noi al contrario diciamo che Cristo è vero Dio, nato dal Padre... e che lo stesso è vero uomo, nato da madre che fu creatura umana... e che la sua umanità, con la quale è minore del Padre, non toglie nulla alla sua divinità con la quale è uguale al Padre: due nature, un solo Cristo». O, più brevemente: «Colui che è uomo quello stesso è Dio e colui che è Dio quello stesso è uomo, non per la confusione della natura, ma per l'unità della persona», «una persona in due nature».
Con questa ferma visione dell'unità della persona in Cristo, «totus Deus et totus homo», Agostino spazia nell'ampio panorama della teologia e della storia. Se lo sguardo d'aquila si fissa sul Cristo Verbo del Padre, non insiste meno su Cristo uomo. Anzi, afferma energicamente: senza Cristo uomo non c'è né mediazione, né riconciliazione, né giustificazione, né risurrezione, né appartenenza alla Chiesa, di cui Cristo è capo. Su questi temi egli torna sovente e li svolge ampiamente sia per rendere ragione della fede che aveva riconquistato a 32 anni, sia per le esigenze della controversia pelagiana.
Cristo, uomo-Dio, è l'unico mediatore tra Dio giusto e immortale e gli uomini mortali e peccatori, perché è mortale e giusto insieme; è pertanto la via universale della libertà e della salvezza. Fuori di questa via, che «non è mai mancata al genere umano, nessuno è stato mai liberato, nessuno viene liberato, nessuno sarà liberato».
La mediazione di Cristo si compie nella redenzione, che non consiste solo nell'esempio di giustizia, ma prima di tutto nel sacrificio di riconciliazione che fu verissimo, liberissimo, perfettissimo. La redenzione di Cristo ha come carattere essenziale l'universalità, la quale dimostra l'universalità del peccato. In questo senso Agostino ripete e interpreta le parole di san Paolo: «se uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti» (2Cor 5,14), morti a causa del peccato. «Tutta la fede cristiana consiste dunque nella causa di due uomini», «uno e uno: uno che porta la morte, uno che dona la vita». Ne segue che «ogni uomo è Adamo, come in coloro che credono ogni uomo è Cristo». Negare questa dottrina voleva dire per Agostino «rendere vana la croce di Cristo» (1Cor 1,17). Perché ciò non avvenisse parlò e scrisse molto sull'universalità del peccato, compresa la dottrina del peccato originale, «che la Chiesa, scrive egli, crede fin dall'antichità». Infatti Agostino insegna che «il Signore Gesù Cristo non per altro motivo si è fatto uomo... se non per vivificare, salvare, liberare, redimere, illuminare coloro che prima erano nella morte, nell'infermità, nella schiavitù, nella prigionia, nelle tenebre dei peccati. È logico che nessuno potrà appartenere a Cristo se non ha bisogno di questi benefici della redenzione».
Poiché unico mediatore e redentore degli uomini, Cristo è capo della Chiesa, Cristo e la Chiesa sono una sola persona mistica, il Cristo totale. Scrive arditamente: «Siamo diventati Cristo. Infatti se egli è il capo, noi le sue membra, l'uomo totale è lui e noi». Questa dottrina del Cristo totale è una delle più care al vescovo di Ippona e anche una delle più feconde della sua teologia ecclesiologica.
Altra verità fondamentale è quella dello Spirito Santo anima del corpo mistico - «ciò che è l'anima per il corpo, questo stesso è lo Spirito Santo per il corpo di Cristo che è la Chiesa» -, dello Spirito Santo principio della comunione che unisce i fedeli tra loro e alla Trinità. Infatti «il Padre e il Figlio hanno voluto che noi entrassimo in comunione tra noi e con loro per mezzo di colui che è a loro comune e ci hanno raccolto nell'unità mediante l'unico dono che essi hanno in comune, cioè per mezzo dello Spirito Santo, Dio e dono di Dio». Perciò egli dice nello stesso luogo: «la comunione dell'unità della Chiesa o la "societas unitatis", fuori della quale non c'è perdono dei peccati, è l'opera propria dello Spirito Santo con il quale operano insieme il Padre e il Figlio, poiché in certo modo lo stesso Spirito Santo è il legame o la "societas" che unisce il Padre e il Figlio».
Guardando alla Chiesa corpo di Cristo e vivificata dallo Spirito Santo che è lo spirito di Cristo, Agostino svolse in molte forme una nozione sulla quale si è soffermato con particolare compiacenza anche il recente concilio: la Chiesa comunione. Ne parla in tre modi diversi e convergenti: la comunione dei sacramenti o realtà istituzionale fondata da Cristo sul fondamento degli apostoli, della quale discute a lungo nella controversia donatista difendendone l'unità, l'universalità, l'apostolicità e la santità, e dimostrando che ha per centro la «sede di Pietro», «nella quale fu sempre in vigore il primato della cattedra apostolica»; la comunione dei santi o realtà spirituale che unisce tutti i giusti da Abele fino alla consumazione dei secoli; la comunione dei beati o realtà escatologica che raccoglie tutti coloro che hanno raggiunto la salvezza, cioè la Chiesa «senza macchia e senza ruga» (Ef 5,27).
Altro tema caro all'ecclesiologia agostiniana fu quello della Chiesa madre e maestra. Su questo tema Agostino scrisse pagine profonde e commoventi, perché esso toccava da vicino la sua esperienza di convertito e la sua dottrina di teologo. Sulle vie del ritorno alla fede egli incontrò la Chiesa non più opposta a Cristo come gli avevano fatto credere, bensì manifestazione di Cristo, «madre dei cristiani verissima», e garante della verità rivelata. La Chiesa è madre che genera i cristiani: «Due ci hanno generato per la morte, due ci hanno generato per la vita. I genitori che ci hanno generato per la morte sono Adamo ed Eva, i genitori che ci hanno generato per la vita sono Cristo e la Chiesa». La Chiesa è madre che soffre per quelli che si allontanano dalla giustizia, soprattutto per quelli che ne lacerano l'unità, è la colomba che geme e chiama perché tutti tornino o approdino sotto le sue ali, è la manifestazione della paternità universale di Dio attraverso la carità la quale «per gli uni è carezzevole, per gli altri severa; a nessuno è nemica, a tutti è madre».
E' madre, ma anche, come Maria, vergine: madre per l'ardore della carità, vergine per l'integrità della fede che custodisce, difende, insegna. A questa maternità verginale si riallaccia il suo compito di maestra che la Chiesa esercita in obbedienza a Cristo. Per questo Agostino guarda alla Chiesa come garante delle Scritture, e proclama che egli resta sicuro in essa, qualunque difficoltà si presenti, insegnando insistentemente agli altri a fare altrettanto. «Così, come ho detto spesso e ripeto insistentemente: qualunque cosa noi siamo, voi siete sicuri: voi che avete Dio per padre e la Chiesa per madre». Nasce da questa convinzione l'esortazione accorata ad amare Dio e la Chiesa, appunto Dio come padre, la Chiesa come madre. Nessun altro, forse, ha parlato della Chiesa con tanto affetto e con tanta passione come Agostino. Ne ho riproposto alcuni accenti, pochi in verità ma sufficienti, spero, per far comprendere la profondità e la bellezza d'una dottrina che non sarà mai studiata abbastanza, particolarmente sotto l'aspetto della carità che anima la Chiesa come effetto della presenza in lei dello Spirito Santo. «Abbiamo lo Spirito Santo, scrive, se amiamo la Chiesa; e amiamo la Chiesa se rimaniamo nella sua unità e nella sua carità».
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