che ha già citato
(cfr. nota 105), il cui
contenuto di
carattere spirituale si
colloca
adeguatamente nel
contesto di questo
capitolo: « [
Pianello,] Da
casa,
11 maggio ‹18›86. Molto
reverendo padre,
scrivere lo
stato di
pena d’
ieri sera mi è
impossibile. Io mi
era ritirata in
chiesa per
raccogliermi e
pregare un poco.
Mi
sforzava a
pregare e
sentivami fortemente rimproverare ch’io sono una
malvagia, un’
ingrata, una
perfida, una
infingarda e
peggio. Che fui io stessa che ha
crocifisso il
Signore. Mi
sentiva discacciare e
ributtare da
Dio. Mi
trovava
abbandonata a me stessa e a tutte le mie
miserie e non
sapeva a chi
rivolgermi
per avere
aiuto. Mi
assalì un certo
timore, un
affanno ed un’
angustia che mi
toglievano il
respiro e la
favella. Un
freddo ed un
caldo in
tutte le
membra, un
prostramento di
forze, un’
inquietudine ed un
odio a me stessa, una
viva brama di
patire e
morire che mi
sembrava cadere ad ogni
tratto. Se mi
conoscesse, o
padre, come io stessa
conosco me, certo che
crederebbe che fui io quella che fece
soffrire ogni
sorta
di
pene a nostro
Signore. O
Dio, quanto sono
ributtante ai vostri
occhi
santissimi!
Inabissatemi,
distruggetemi. Se io ho
crocifisso Voi, Voi
crocifiggete me,
cruciatemi come a Voi
piace.
Datemi forza ed
aiuto... Mi
perdoni, o
padre, se
ieri sera non
risposi alle sue
domande.
Era come
soffocata
da tutto ciò che mi
opprimeva e non mi
era possibile rispondere. Che
pena, o
padre! Da che
sono venuta da
Ardenno io mi
trovai sempre in uno
stato di
avvilimento, di
malinconia che mi fa
essere scontenta ed
insofferente assai. E la
cagione di
questo
stato sono questi
pensieri: cioè che tutto ciò che
succede in me,
avviene per
effetto di
superbia, di
amor proprio, di
finzione, di
fantasia e per
ingannare il mio
confessore. O
padre, e se
fosse
proprio
vero, che ne sarebbe di me?
Preghi tanto il
Signore che mi
salvi. Io
non ne posso più anche
adesso, non m’è ancora
passata la
borrasca d’
ieri sera. O
padre,
riguardo alla mia
salute io mi
lascio governare totalmente
da lei. La mia
volontà voglio farla in
nessunissima cosa e me la
faccia negare sempre più che può. Io ho nessuna
fiducia che abbia ancora ‹a›
guarire de’ miei
occhi. Il
mal di
stomaco da che mi
ricordo io l’ho sempre avuto. Il
vomito alle
volte mi
dura solamente per un
quarto d’
ora, una
mezz’ora, ed alle
volte per due o tre
ore e non mi
riesco a
digerire da un
pasto all’altro, ed allora mi viene poi anche il
mal di
capo. Mi
avviene poi anche di
tanto in tanto di
sentirmi sfinita di
forze,
debole ed uno
smangiamento al
petto e più
mangio, più mi
sento diminuir le
forze e
ripugnare il
cibo qualunque sia. Questo
male credo che sia stata la
paga di tutti i miei
capricci fatti tre
anni fa, quando voleva farmi
monaca in quelle di
Gravedona.
In quell’
anno questo
male m’
era durato quasi due
mesi, l’
anno scorso per tre e
adesso ha
preso possesso e viene e
va quando vuole.
Faccia
di me quanto le
piace, ma non mi
mandi dai
medici perché io
temo di qualche cosa. Io
dico tutto a lei e
basta. Alle
volte dalla
parte
del
cuore ed anche dalla
parte destra mi
saltano dei
dolori acuti, ma vengono e
vanno come
lampi. Io
provo un po’ di
difficoltà ‹ad›
andare a
Como, perché mi
pare che v’abbia ad
essere molto
dissipamento ed
occasione di
offendere il
Signore. Vorrei
morire, ma non ho ancor
fatto niente, m’
aiuti lei e mi
porga mezzi di
guadagnar molto e
morire presto presto. Mi
perdoni
di tutto e
massime dei
disgusti recatile ed
accetti i miei più
ossequiosi rispetti. Sua
indegnissima figlia Chiara
B‹osatta›.
P.S. O
padre, io
temo che ella abbia a
dire qualche cosa a
suor Marcellina di
questo mio
scritto » (
Chiara Bosatta. Scritti e documenti, pp. 132-133).