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Capitolo VI
[39]Il momento di malattia è il momento più affliggente della vita, sia per gli ammalati che per i congiunti sani.
Sono delle malattie di poco momento e a queste bisogna assolutamente sorpassare e aiutarsi da sé.
Son delle malattie di carattere e allora bisogna fare il proprio dovere, cioè bisogna sapersi diportare da malato.
Per le cure delle malattie si richiede che l'infermo sia buono, che l'infermiera sia buona, che sia pure buono il medico.
L'infermo è buono, quando per se stesso è di carattere buono, cioè coraggioso e ben ragionevole; il coraggio è la prima e principale medicina nel maggior numero dei casi.
L'infermo è più buono, quando alla bontà di carattere aggiunga la bontà della vita e l'abbondanza della grazia divina.
E poi- 454 - buonissimo l'infermo, quando ben presto si rassegna in tutto e completamente ai divini voleri, sia per la guarigione che per la malattia,[40] tanto per la vita che per la morte.
Quanto alla infermiera, questa deve essere chiamata a quel buon ufficio di misericordia dalla naturale inclinazione e dalla naturale attitudine all'ufficio stesso; in questo caso e per se stessa è infermiera buona, perché ben si suppone che abbia cuore e attenzione alla persona del prossimo, che si affida alla carità e alla discrezione della infermiera.
Più buona è l'infermiera, quando sia aiutata dalla grazia divina e sia religiosa di specchiata virtù, di pazienza inalterabile, di carità viva.
In questo si trova che al letto degli infermi, negli ospedali, la suora religiosa, dessa sola è atta a presentare agli angeli ed agli uomini tali eroismi di fortezza, impossibili a trovarsi altrove, fuori che nella mente e nel cuore delle anime profondamente comprese della carità di Gesù Cristo.
Buonissima poi è la suora infermiera, quando alle doti di natura e di grazia congiunge le buone doti di istruzione civile, e sovrattutto che sia dessa medesima piccola medichessa od, a meglio dire, sia infermiera educata.
Per questo è che da qualche anno e ogni anno la Provvidenza ci ha porto mezzo per inviare un drappello[41] alla scuola di igiene, per riportarne anche una patente da infermiera.
Il mondo tanto ci tiene ad un po' di sostanza ed a molta apparenza; quando il povero infermo sa di essere circondato da religiosa buona e altresì perita, allora si trova più tranquillo nell'animo e la famiglia religiosa, dessa medesima riposasi con più sicurezza.
Ma nella cura degli ammalati si richiede anche un buon medico.
Il buon medico è buono, quando è ben compreso dell'ufficio suo; è più buono, quando esercita l'ufficio con sentimento di fede; è ottimo, quando alla fede congiunge la carità e con essa la virtù di prudenza e di disposizioni tanto necessarie all'uopo.
Il medico è per additare il genere di malattia e determinare il metodo di cura.
Ma se c'è caso in cui si abbia da usare del proverbio che la lettera uccide, che- 456 - lo Spirito vivifica,17 è questo.
Il primo medico di sé è l'ammalato medesimo; lui, l'infermo, sente gli stimoli della fame, della quiete, del riposo.
La buona infermiera[42] deve avere molto cuore e non solo, ma anche buona testa; sia discreta nelle sue visite, sia breve nelle sue interrogazioni, sia ragionevole nelle sue esigenze, così da non disturbare od inquietare come che sia il povero ammalato.
Può accadere che una infermiera sia eccellente per tante buone doti, ma che sia seccante o non forse poco avveduta nel prevenire i bisogni dell'infermo; allora si apre allo intorno del sofferente un vuoto profondo.
Appena si scorga che la malattia è di carattere pericoloso, conviene esortare gli ammalati al ricevimento dei santi Sacramenti.
In questo bisogna lasciare all'ammalato pienissima la libertà di chiamare intorno a sé quel sacerdote o quei sacerdoti che reputa di sua maggior confidenza.
Si distrugga il pregiudizio che il ricevere i santi Sacramenti umilia e fa pericolare la salute; anzi è tutto l'opposto, perché niente di più nobile al cristiano che di unirsi al suo Signore, niente di più utile al miglioramento del male che la pace della coscienza.
Se la persona inferma è di pietà, è bene replicare più volte il ricevimento dei santi Sacramenti.
Persone use a comunicarsi quotidianamente[43] troppo soffrirebbero a tollerare un digiuno spirituale alquanto prolungato.
Il santo padre Pio X, zelantissimo della santa Comunione quotidiana, caritatevolissimo allo stato pietoso dei poveri infermi, permette, come ben sapete, la santa Comunione anche agli ammalati che non possono stare digiuni e la permette più volte alla settimana.
Perché non valersi di tanto privilegio e di tanta e sì augusta bontà? Quando poi la malattia si faccia assai pericolosa e l'ora della morte si avvicini, le religiose di fede non si sconvolgono, tanto meno strepitano o si perdono di coraggio.
La fede ne - 458 -suggerisce che la morte per le persone di fede e di rassegnazione è la porta del paradiso, ossia la cessazione di ogni male quaggiù e il raggiungimento del bene massimo, il paradiso beato.
Perciò la santa Chiesa chiama giorno di vita il giorno della morte dei suoi giusti, perché questi muoiono a questo[44] mondo per vivere della vita di Dio in cielo.
Altresì è da osservare quanto segue: nella cura degli ammalati si usano quelle attenzioni e quei dispendi che sono relativi e proporzionati allo stato sia delle persone inferme che della casa o congregazione.
Si vive di Provvidenza e non si abbia paura che la divina Provvidenza sia per mancare giammai nelle necessità di un povero infermo.
Si dice per altro necessità e non superfluità o quanto meno squisitezza di trattamento proprio di persona grande per ricchezza o per alta dignità.
Nel momento supremo dell'agonia si prega da tutta la famiglia.
Nei giorni estremi di un ammalato la superiora della casa avverte le consorelle e la comunità, perché si ricordi nella santa Comunione, nella santa Messa e nelle opere buone la persona dell'inferma, che sta per comparire al tribunale della giustizia e della misericordia divina.
Allo spiegarsi della gravità della malattia, se ne porge avviso ai parenti; all'ora del tramonto, se ne dà annunzio anche telegrafico,[45] avvertendo altresì il giorno e possibilmente l'ora del funerale.
Alla morte di qualsiasi persona della casa si fanno in pubblico ed in privato preghiere di suffragio.
Si raccomanda che almeno per due volte si ricordi nella santa Comunione e nella santa Messa, che per l'anima del defunto si reciti dalla comunità la terza parte del rosario da requiem18.
Tutti poi rianimiamo la fede e guardando all'alto speriamo fermamente che un'anima in più abbia raggiunto la gloria e noi, che abbiamo avuto la fortuna di accompagnarvela, figuriamoci di vedere quell'anima gloriosa e grande che supplichi - 460 -per noi la bontà del Signore e della Vergine e dei santi e degli angeli tutti.