Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
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VIENI MECO LA DOTTRINA CRISTIANA ESPOSTA CON ESEMPI IN QUARANTA DISCORSI FAMIGLIARI

Parte prima <LA FEDE>

Undecimo articolo <del Simbolo>

II. Nel luogo di tutti i tormenti

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II.

Nel luogo di tutti i tormenti

  1. [98]Discendiamo con il pensiero laggiù, nel luogo di tutti i tormenti. Teresa vi discese in ispirito. Scorse una caverna orrenda di pene e demoni furiosissimi, e scorse un di questi che presala furiosamente la allogò entro una nicchia di muro infuocata. entro dimorò un solo istante e ne provò

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intensissima pena. Diceva: "Se quel tormento avesse durato ancora un momento, ancora un momento solo, io sarei morta di spasimo". Indi facevasi a sclamare: "Terribile inferno! Se tanto cagioni di tormento in vederti, quanto ne cagioneresti in provarti?". E resa animosa gridava poi alle sue sorelle: "Pregate per i peccatori, pregate che nessun più si danni". Caterina da Siena, che in ispirito vide le stesse pene, diceva: "Potessi io attraversarmi sulle porte d'inferno! Vorrei rimanervi sino alla fine del mondo per impedire che un'anima ancora ricada in quelle fiamme tormentose". Teresa in guardare all'inferno si fece santa, Caterina si rese beata. [99]Discendiamo in spirito noi medesimi. Se vi caleremo entro in vita, non vi precipiteremo dopo morte.

  2. Un peccatore, quando al primo peccato grave e quando dopo mille peccati mortali, precipita all'inferno, miseranda caduta!, egli lascia un luogo di godimento, le glorie e le ricchezze, le compagnie ed il giubilo del mondo, per discendere al basso. E che l'aspetta laggiù? Fuoco, zolfo, e un nembo di procelle che piove di continuo, la giustizia del Signore. Figuratevi un pozzo nelle viscere della terra, ma ristretto sì che i dannati, caduti da Caino fino ad ora e di poi, abbiano a stare accatastati gli uni sugli altri e pigiati come l'uve nel torchio senza poter muovere palpebra d'occhio. Insieme figuratevi che entro non sia spiracolo di sorta, ma che un fuoco orrendo esca dal basso fondo e un fuoco che penetri dalle muraglie, e giù da alto procelle di fiamme. Nel mezzo rappresentatevi i dannati che si struggono nel corpo, che si infiammano nelle viscere e nelle midolla delle ossa, ma senza confine. Aggiungete che la potenza di quel fuoco non è come il nostro [100]datoci per misericordia da Dio, laggiù è fuoco che si per castigo. Chi lo infiamma è la potenza dell'Altissimo. In tanto di fuoco sono i demoni che straziano, a guisa di tizzoni infuocati sono i dannati che ricadon volta a volta. Indi un fumo caliginoso che sviluppato cresce in vortici e sale e ridiscende, e poi che si contorce per impedire che i dannati possano mai goder un raggio di luce, o se hanno un fioco di luce è per fissar lo sguardo dei demonii che furono sì finti in tradire. Questi, con quel tossico di rabbia che li fa

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furibondi, si rovesceranno sui dannati e li sbraneranno con le zanne e li stritoleranno con i denti velenati. Infelicissimi dannati, ditecelo: che cosa vi hanno giovato i godimenti della vita? E la superbia del portamento che vi accecò? Udite come rispondono con urli disperati: "Noi insensati! Stimavamo stoltezza la vita dei giusti, ma or eccoli nella gloria di lassù. Noi siamo in questo tormento!". E si struggono in vivissime pene di spirito.

  3. La pena di spirito è tanto maggiore al mal di corpo quanto l'anima è superiore al corpo stesso. [101]Le pene che sentono i dannati sono inesplicabili nella intensità, innumerevoli nella moltiplicità. Si dorranno i dannati in riflettere che potevano trovarsi in paradiso e non vollero, che sonosi dannati per loro colpa, che sonosi perduti per godimento di un solo istante. Infelici! Infelici! Quanti sforzi non usano i peccatori per dannarsi! Sono infaticabili per acquistarsi un'aura di ambizione, sono insaziabili in accumulare un tesoro d'argento. Sfidano tutti i pericoli per giungere ad un godimento. Miseri! Miseri! S'avessero fatto la metà di fatica per salvarsi, or si troverebbero in un grado elevato di gloria; non vollero, epperciò sono caduti nel profondo. Aggiungete la rabbia che li struggerà per vedere in paradiso salve le anime di quei cristianelli che quaggiù spregiarono tanto. Aggiungete quella rabbia che li consuma per i patimenti di Gesù e per la persona adorabile del Redentore. Gesù Cristo è morto per salvarli ed essi hanno voluto tuttavia dannarsi! Ah, come malediranno i compagni di disordine, le amicizie traditrici, [102]le massime seducenti, come detesteranno le ree abitudini che li eccitarono ad un colmo di tanto male!

  4. Fosse almen quello un male che dura un anno solo o pochi anni, ma sarà tormento che durerà92 per lo spazio di cento anni, né sol di cento o di mille, ma di milioni d'anni all'infinito. Quando io penso a questa eternità infelice, io mi stringo al mio Signore crocifisso per dirgli: "Patire finché vi piace quaggiù, ma non dannarmi. Signore, non mi

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perdonate flagelli, non risparmiate tormenti in questa vita, ma usatemi misericordia di poi". Il Benedetto Labre dopo aver considerato l'eternità delle pene, ne concepì tale spavento che lasciata la casa corse come un atterrito ramingo per la terra. Da Francia passò al Piemonte ed a Roma. Da Roma venne a Gerusalemme e di nuovo all'Italia e alla Svizzera, e poi a Roma gridando senza posa pietà al Signore nei santuari delle sue misericordie. Un giorno che estenuato dal terrore si presentava alla chiesa della Madonna dei Monti, cadde93 per isvenimento sulla gradinata di quella e morì poco stante. [103]Il buon Giuseppe considerò e temette e fu salvo. Il pontefice Pio ix mirandolo disse: "Egli è un santo del paradiso", e lo elevò agli onori degli altari. Fratelli miei, noi inorridiamo sì poco? Temiamo di continuo. Ci avvisa il Signore: "Meditate i novissimi e non peccherete in eterno"94.

Riflessi

  1. Nel luogo di tutti i tormenti.

  2. Il dannato nei tormenti del senso.

  3. E del danno.

  4. Nell'inferno i dannati staranno per sempre.





p. 316
92     Nell'ed. 1883, p. 101: «persevera».



p. 317
93     Originale: alla chiesa di san Giovanni in Laterano, cadde; cfr. Bibliotheca Sanctorum, ii, 1962, col. 1219.



94     Sir 7, 36.



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