Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Corso sante missioni
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CORSO DI SANTE MISSIONI (1875, 1881)

Meditazione VIII. L’inferno è il luogo di tutti i tormenti

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Meditazione VIII.
L’inferno è il luogo di tutti i tormenti
[II-48] La più grande sciagura su questa terra è trovarsi lontano dal genitore, cacciato fuori dalla casa paterna e tormentato da molti mali.
Il figliuol di Davidde, che era proibito di rientrare nella casa del re, non era afflitto né da fame né da altra miseria, ma questa di non poter vedere in volto il genitore l’affliggeva tanto, che più volte mandò a dire: « Deh, che io veda la faccia del padre mio, o muoia! » 136.
I figli che vivono lontano dal proprio padre sono, più che tutti gli altri, i dannati dell’inferno. Ah questi come sono sciagurati! Sono lontanissimi da Dio e poi sono in un luogo di tutti i tormenti.
Girolamo, in pensare che ancor egli poteva trovarsi in tale luogo, tremava tutto e poi dando di piglio ad un sasso si percuoteva il petto gridando: « Liberatemi, o Signore, dalle pene dell’inferno! ».
[II-49]Agostino, pensando ancor egli che finché viveva poteva tuttavia dannarsi, sudava in fronte per terrore ed appariva persino scarmigliato nei capegli. A chi ne lo domandava, rispondeva: « Territus terreo: sono spaventato e metto altresì paura altrui » 137.
Cristiani, cristiani! Pare ragionevole un giusto timore a tutti noi, i quali siamo sì gran peccatori? Ebbene, affrettiamoci a discendere vivi nell’inferno, per non vi precipitare dopo morte.
O Gesù, il quale dimorate tuttogiorno per noi nel Santissimo Sacramento, salvateci per pietà e non scacciate nessuno di noi dalla vostra presenza. Siamo indegni figli, è vero, ma ci fa spavento il pensiero di potere un giorno vivere lontano da voi.
- 884 - Cuore dolcissimo di Gesù, che palpitate di amoregrande per noi, accendete nel nostro cuore una fiammella del vostro divino affetto, sicché da voi non ci separiamo mai.
Maria santissima, Vergine e Madre nostra, teneteci sempre per mano, giacché l’orrore dell’[II-50]inferno è dinanzi agli occhi nostri e noi troppo temiamo di cadere entro per un eccesso di fragilità ovvero di malizia.
Parte prima
Figuratevi un bel giorno che il padre parlasse al figlio suo così: « Amami e non mi bestemmiare! Onorami nel giorno di mia festa e ricordati che i genitori t’han data la vita, che i tuoi fratelli ti appartengono. Perciò non commettere azioni disonorevoli e fa almeno agli altri quello che desideri per te, che così facendo tu mi sarai figlio sempre più diletto, ed io mi mostrerò genitore amante con beneficarti ».
Immaginatevi ora che quel figlio non volga al padre sguardi che per disonorarlo nelle più solenni circostanze. Immaginate che desoli il genitore e faccia piangere la madre e poi i fratelli e sia come una belva feroce, e con se stesso che sia più animale che uomo: dite, che fareste di un figlio così fatto?
[II-51]Iddio, che è Padre ottimo, sì lo tollera nella speranza che si ravveda, ma come è anche giusto per essenza, perciò se lo sciagurato persevera nell’ostinazione lo scaccia da sé. In discacciarlo dirà: « Va’, che tu sei un maledetto, discendi nel fuoco che non si estinguerà mai » 138, e lo sciagurato se ne partirà. Quale tormento proverà il misero? Il primo dolore sarà partirsi lontano da Dio.
Rincresce quaggiù lasciare una compagnia qualsiasi, dopo che si è conosciuta. Rincresce maggiormente se è parente, o se è confidente intimo l’affanno giunge al sommo. Ma nessuno ci appartiene tanto come Dio.
Dio è il Creatore che ci ha cavati dal fondo della terra, è l’Ottimo che ci conserva questa vita che respiriamo, è il centro - 885 -degli affetti nostri perché l’anima non può riposare che in Dio, per la guisa stessa che un sasso scagliato per l’aria non si ferma finché sia caduto nella terra che è il centro suo... Però l’anima quando moribonda sul labbro [II-52] dell’agonizzante si staccherà dal corpo, correrà verso a Dio con quella veemenza che è propria della mitraglia 139 scagliata.
Ma come la palla di cannone che si incontra in uno scoglio di montagna diverge con forza grandissima e poi ricade, così l’anima del peccatore, incontratasi appena nella giustizia divina che è come un monte di fortezza santa. La meschinella dovrà divergere il suo cammino e precipitare con lai disperatissimi. Perocché l’anima parte da Dio maledetta.
Avete mai pensato che voglia dire essere da Dio maledetto? Immaginatevi una creatura che, da sana e perfetta, in un momento perda gli occhi, la lingua, l’udito, il potersi muovere, e che di più divenga stolida ed insensata, e per giunta immaginate che sopra le si scarichino più mali di capo, di petto, di cancrene schifosissime... Questo vuol dire essere sgraziato. Ma essere maledetto, e maledetto da Dio, vuol dire assai più, perché significa una rovina totale, significa lo schianto di [II-53] tutta la casa, impossibilità a ricuperare il perduto, significa l’inabilità a sollevarsi da un male semplicissimo qualsia.
Ciò è sì vero che l’anima, dopo essere partita lontano lontano, e partita maledetta, cadrà nel fuoco. La fiammella di una candela se si avvicina per caso all’occhio troppo e che abbruci le palpebre, fa inorridire; il fuoco di un incendio che devasta una casa, fa gelare di spavento; il fuoco di una fornace che s’avvolge, crepita e sibila per la forza con cui investe il crogiolo che liquefa il metallo, anche quello è fuoco che spaventa. Ahimè, se un vi dicesse che entro dovete passare nonché una notte, almeno un’ora!
Ma non vi pare che - 886 -il fuoco dell’inferno sia soltanto perché cruccia assai di più 140. Questo fuoco che abbiamo in terra è ­acceso dalla bontà del Signore per aiutare i nostri bisogni. Ma il fuoco dell’inferno è acceso dalla giustizia dell’Altissimo e quello è fuoco che, essendo destinato a punire, ha [II-54] una forza attivissima per crucciare. Perciò dicono i santi che, al confronto del fuoco di laggiù, questo che vediamo non è che un fuoco apparente, ossia dipinto.
Posto ciò, immaginatevi nel centro della terra, dove non penetra alito d’aria che ristori, una caverna alta e profonda e larga, la quale sia tutta un incendio di fuoco. Immaginate che il fuoco erompa dal basso fondo e che si espanda come una corrente di mare. Immaginatevi che dalle pareti erompano altre voragini di fuoco, come le acque furiose di grandi fiumi che si gettano nel mare. E di sopra immaginatevi una procella di zolfo e di bitume infuocato, che continui peggio che il diluvio di acque, ovvero che quello di fuoco che cadde sopra la Pentapoli.
Adesso poi vedete dentro le anime dei condannati, perché vi sono tutte! Non si possono contare, giacché sono troppe. Ma questo non è che il principio delle qualità desolanti di quel fuoco. nel mezzo sono i demoni, i quali tutti invasati da un’essenza di [II-55] crudeltà 141 recano i loro strumenti infuocati per intriderli nelle carni e nelle ossa dei dannati.
le anime dei compagni di colpa sono come leoni infuocati di rabbia, sono come le tigri che s’accendono vieppiù per l’ira e camminano con furore per dilaniare ovvero, se sono costrette a stare immobili, per spandere intorno un maggior puzzo infernale e far ascendere colonne di fumo caliginoso, che s’avvolge e s’attortiglia fin sotto le volte e poi che ricade più furioso di prima in densissime colonne spaventose.
Laggiù il cibo dei dannati è il piombo bollente, le bevande sono di zolfo liquefatto, e il fuoco a guisa di tuono risuonerà con un’eco cupa e farà udire intorno quelle due voci di altissima disperazione: « Sempre, mai », che vuol dire: sempre in tormenti e mai un ristoro di sorta!
Un ammalato che di nottetempo numera le volte che il pendolo eseguisce un movimento, quanto gli pare lunga un’ora intiera. Se poi [II-56] l’infermo soffre una malattia di spasimo - 887 -allora conta i minuti, perché ciascuno gli sembra un tempo troppo lungo. Miseri dannati! Che sarà di loro, mentreché si trovano nell’inferno, eppure che si sente ripercuotere da quell’orologio infuocato che risuona di continuo: « Sempre, mai »! È la condanna del Signore che disse: « Andate, o maledetti, al fuoco eterno » 142.
Non è dunque fuoco d’un anno e di un secolo, ma è fuoco d’un’eternità. Caino dimora laggiù almeno da sessanta secoli, eppure sta come se vi fosse precipitato adesso adesso. Immaginatevi una montagna più alta che il Davalagiri 143, tutta di una massa di bronzo e tutta infuocata come un ferro arroventato.
nel mezzo immaginatevi un dannato che una volta l’anno sparga una lacrima di sangue, e questa scenda a toccare il vertice del monte. Se un angelo dicesse allora: « Tu sarai salvo, ma quando? Quando abbia sparse tante lagrime quanto basta [II-57] per aprire in mezzo al monte una scannellatura e poi un pertugio profondo profondo, che scenda fino al fondo che è l’inferno. Allora può essere che tu sia salvo, ma non prima ». A tal notizia lo sciagurato manderebbe un grande sospiro, ma poi cedendo al peso della sciagura concepirebbe un raggio di speranza e questo lo allevierebbe assai.
Ah miseri dannati, che neppure possono avere una speranzalontana! Potessero almeno illudersi e credere che usciranno un , ma sarà vano perché hanno veduto coi loro occhi Iddio a gettare nel nulla le chiavi della eternità infelice.
Per cui, più che prima desolati, si stracceranno i capelli, si morderanno le carni, e precipitando da uno in altro abisso cercheranno la morte che strugga, ma non la troveranno mai perché si è protestato il Signore di dare il fuoco alle carni dei dannati perché abbrucino e si struggano fino in sempiterno.
[II-58] Io non so più che mi dire. Ne rimango come stordito da altissimo spavento.
- 888 - Che ne dice l’animo vostro, o fratelli? Pensatevi, e se vi pare di avere ragioni per attenuar lo sgomento, io son contento di udirne e di confortarmi, se sia possibile.
Parte seconda
Lo so che vengono innanzi a dire certuni che l’inferno non è poi luogo di tanti tormenti ma solo di una malinconia mesta, e che anche questa non durerà poi tanto perché la misericordia di Dio è sì grande.
Che dirò a questi? Mi rincresce doverlo manifestare qui a ­tutti: questi sono eretici, perché non credono alle parole di Gesù Cristo. Questi sono già condannati e la misericordia di Dio è che precipitino pur subito, perché almeno si tormentino per peccati minori e prima di avere coi loro scandali rovinate molte anime.
Si trova chi soggiunge: « Se andrò all’inferno, pazienza, non sarò solo... ». Ma non avete [II-59] inteso che laggiù la pazienza è disperarsi in altissimi guai? Non ricordate più che i tormenti sono tanto maggiori quanto più sono le anime dannate nello stesso luogo?
Altri soggiungono: « Non è poi sì facile precipitare, perché all’inferno vanno solamente i più grandi peccatori ed i più ostinati ». Ma chi ve l’ha detto ciò? Non avete più in memoria che gli angeli ribelli furono condannati per un sol peccato di pensiero, che Caino e che voi pure potete dannarvi per un peccato di opera ovvero di omissione? Un sol peccato mortale basta per dannarvi per sempre.
Onde è molto meglio che vi facciate meco a considerare: dove si tratta di eternità, non è mai troppa la sicurezza. E poi proseguite a ragionare così: conviene mo’ per uno sfogo di superbia cadere sotto le zanne dei demoni, che poi come volpi infernali ci schernirebbero per tutta l’eternità? [II-60] Conviene mo’ per un capriccio di avarizia precipitare all’inferno, dove i tormenti sarebbero spasmodici più che quelli dell’ammalato che agonizza nelle ore estreme? E per un diletto passeggiero di carne, conviene esporsi al pericolo di precipitare laggiù, dove il minor male è un fuoco infernale?
- 889 - E con questi salutari pensieri nella mente, proponete di non volere almeno più per l’avanti peccare. Né solo non dovete peccar più a qualsiasi costo, ma dovete, se vi preme salvarvi, esercitare ogni sorta di bene.
Un bene grande per non vi dannare è questo che voglio subito additarvi. Dice il Signore: « Non giudicate mai alcuno e non sarete giudicati, non condannate veruno del vostro prossimo e nemmen voi sarete condannati » 144.
Sicché io sono ancor lieto, dopo un discorso di tanto terrore, di lasciarvi tuttavia con molta consolazione. Il conforto è questo: nessun di voi andrà dannato, se non lo vuole di sua spontanea volontà.
[II-61] Per evitare poi ogni gran sciagura, il mezzo è compatire a tutti e perdonare al prossimo, perché è impossibile che un padre condanni al fuoco i figliuoli che si amano a vicenda e s’aiutano per compatirsi nelle proprie infermità.
O Signore, quanto siete buono all’atto medesimo che mostrate la vostra giustizia! Voi ci ponete sott’occhio l’inferno, ma il fate perché ce ne guardiamo. Or noi presteremo certamente attenzione perché l’inferno è luogo di troppi tormenti, ma voi che conoscete la nostra fragilità dateci mano per sollevarci sempre verso di voi.
Liberateci, o Signore, dalle pene eterne dell’inferno!
Maria, Madre nostra pietosa, voi siete la nostra vera Madre: fate che noi vi siamo figliuoli devoti, perché se rimaniamo uniti a voi saremo certamente salvi.
Sia lodato Gesù Cristo 145




p. 883
136
Cfr. 2 Sam 14, 32.


137
Aurelio Agostino, Discorsi, xl, 5.


p. 884
138
Cfr. Mt 25, 41.


p. 885
139
Originale: mitragliatrice; cfr. ed. 1934, p. 101.


p. 886
140
Nell’ed. 1934, p. 102: « Ma non è per nulla il fuoco dell’inferno perché questo cruccia ben di più ».


141
Per l’integrazione cfr. ed. 1934, p. 103.


p. 887
142
Mt 25, 41.


143
Forma italianizzata di Dhaualagiri (o Dhaulagiri), montagna himalayana che all’epoca della compilazione era ancora ritenuta la più alta della terra sulla base dei dati divulgati dal geografo Alexander von Humboldt agli inizi del xix secolo. Nell’ed. 1934, p. 104: « più alta che l’Everest ».


p. 889
144
Lc 6, 37.


145
Per i Riflessi autografi di Luigi Guanella cfr. pp. >950-951.


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