Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Corso sante missioni
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CORSO DI SANTE MISSIONI (1875, 1881)

Meditazione IX. Il peccato veniale è orrido in sé e fatale nelle sue conseguenze

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Meditazione IX.
Il peccato veniale è orrido in sé
e fatale nelle sue conseguenze
[II-62]Basilio e Giuliano erano ambedue giovanetti e studiavano nella medesima scuola di Atene. Basilio mostrava già amore per la solitudine e per la scienza, e Giuliano cresceva sbadato. Basilio, di carattere soave, era affabile nei modi; Giuliano, di indole biliosa, faceva lo scortese con tutti.
Gregorio di Nazianzo osservava questi due caratteri e diceva: « Basilio, perché è buono e che corregge le sue inclinazioni meno che cristiane, sarà un gran sostegno nella Chiesa di Gesù Cristo. Ma quanto a Giuliano, sebbene nipote di Costantino il Grande, non ne fa presumere le virtù. Giuliano è cattivo nelle sue inclinazioni e non si mortifica, perciò è a credere che sarà nella Chiesa del Signore un’ombra di spavento ed un monarca di terrore ».
Le previsioni di Gregorio si avverarono appieno. Basilio fu sacerdote e poi vescovo [II-63] e insieme fu dottore massimo e luminare il più fulgido in dottrina nella Chiesa d’oriente.
Invece Giuliano crebbe per l’impero ma fu sovrano pessimo, gran bestemmiatore e persecutore fierissimo dei cristiani. Diceva che bisognava spogliarli di tutto e toglierli dagli impieghi pubblici e privarli di ogni studio di scienza e condannarli tutti a morte. Ma, mentre disegnava di ciò fare, in una battaglia contro i persiani cadde ferito. Allora, ricevendo nel cavo della mano il sangue che uscivagli dal cuore, gridava: « Hai vinto, galileo! Hai vinto, galileo! ». E sciogliendo la lingua in grandi bestemmie spirò.
Ecco, o cristiani, come piccoli principi di bene o di male sono importanti in sé e gravi nelle conseguenze. Volete intendere quanto gran male è in sé anche un piccolo fallo e quanto è funesto nelle sue conseguenze? Statemi ad udire.
O Gesù, che mentre nell’orto di Getsemani, voi mentre ­nell’eccesso dell’agonia il sudore di sangue vi pioveva dalla fronte, i vostri cari discepoli Pietro, [II-64] Giacomo e Giovanni - 891 -dormivano per la terza volta senza un riguardo ai vostri patimenti 146, oh quanto questa tiepidezza ferì il cuor vostro addolorato! Ma noi siamo più miseri assai. Diciamo di volervi amare, o Signore, e poi ogni giorno commettiamo insulti contro la vostra divina maestà.
Anima santissima del Redentore, che conoscete quanto gran male è un piccolo fallo, aiutateci.
Maria, Vergine santissima la quale per tempo avete imparato a conoscere Dio, aiutateci.
Santi e sante del paradiso, pregate per noi.
Parte prima
Figuratevi che un figlio del principe, nel momento di una solenne comparsa dinanzi ai grandi della corte, apparisce trascurato nella persona e persino macchiato nel viso di diverse brutture, piccole sì ma schifose. Che direbbe il reale genitore?
Che se lo stesso si avvede che il giovinetto si sta baloccando alla sua presenza e che a vece di un contegno dignitoso mostri una leggerezza infantile, il padre sarebbe costretto ad [II-65] esclamare: « Ah, ben si conosce che tu sei fanciullone ancora, ovvero che non stimi la dignità del tuo stato e quella di chi ti governa ».
Quando un personaggio è altissimo, anche un legger fallo ritorna di troppo grave disdoro. Se tu, venuto per visitare il sommo pontefice, abbia la sventura di commettere per fragilità o per malizia una irriverenza sola, oh quanto ti dovrebbe poi dolere per tutta la vita!
Luigi Gonzaga fu avvertito dalla mamma sua di due irri­verenze così fatte che già aveva commesso contro la maestà ­dell’Altissimo, e Luigi chinando quella sua fronte e percuo­tendosi il petto e poi sciogliendosi in lagrime soggiunse: « Lo - 892 -riconosco, lo riconosco che già sì piccolo sono un gran peccatore. Ma me ne guarderò per l’avvenire ». Si guardò poi sì bene che finché visse pianse come un desolato. Confessando le sue colpe sveniva ai piedi del confessore e intanto non tralasciò bene veruno sia di penitenza [II-66] che di orazione per restituirsi ad una amicizia confidente al Signore.
Teresa appena giunse a comprendere quanto gran male è una colpa leggiera supplicava il Signore con un fervore serafico perché si degnasse di ripurgare appieno l’anima sua e quella delle compagne. Ripeteva poi sovente: « Signore, oh quanto più desidero morire che di commettere un solo leggier fallo contro di voi, Bontà infinita ».
L’uomo, perché è tutto creatura di Dio, dovrebbe sempre stare riverente al suo cospetto. Il cristiano che di più fu redento dal sangue di Gesù Cristo, dovrebbe stare colla fronte prostesa a terra, ovvero dimorare come un servo che conserva le mani ed i piedi legati pel proprio padrone, l’ingegno e la volontà obbligata a servire a lui solo.
Ma non solo voi non fate questo, ma manifestamente offendete quotidianamente il Signore: non vedete come sarà costretto a muovere di voi altissimo lamento? Molto più se foste di quelli i quali assorbono i [II-67] peccati 147 come il viandante che assorbe l’acqua presso una fonte, e poi che dicono: « Poco male è un peccato ».
Volete proprio sapere se sia un legger male come voi credete? Ricorriamo agli esempi sacri e profani.
Nel deserto degli ebrei un uomo si era permesso in giorno di festa di portare un fascio di legne, ma il Signore intimò a Mosè: « Per esempio di tutti, sia portato fuori dagli altri e seppellito vivo sotto i sassi che gli scaglierà il popolo » 148. Alcuni mormoratori si fecero a lamentarsi di Mosè, e Dio mandò ad essi inesorabilmente la morte.
Passando l’arca santa presso la città di Betsames, cinquantamila vennero ad incontrarla e con poco rispetto s’avanzarono - 893 -fino a stendere le cortine e guardar entro. Commisero senza fallo non più che un peccato leggiero. Ma credereste? Erano cinquantamila di numero e tutti quanti furono puniti colla morte 149.
[II-68] Davidde aveva obbligo per legge di non contare i sudditi del suo popolo, eppure volle numerarli e con ciò si rese egli stesso colpevole di un peccato sebben leggiero. Comparvegli allora il Signore e gli disse: « Per castigo della disobbedienza commessa, di questi tre castighi: la fame, la peste, la guerra, scegli quale meglio desideri » 150. Si crucciò Davidde e preferì agli altri la peste. Allora in poco tempo e sotto gli occhi suoi caddero cadaveri settantamila diletti del popolo suo.
Sicché non sarà più possibile ammettere che un legger male sia una colpa leggiera.
A quel porporato nella Chiesa di Laodicea parlò un giorno il Signore così: « Gran cosa io ti ho da dire: perché tu non sei né caldofreddo, io comincierò a rigettarti dal mio cospetto » 151.
Qui cominciano le conseguenze fatali della colpa veniale.
La prima conseguenza è che il cristiano con una colpa veniale molto perde della divina grazia, con un peccato veniale si rende inabile a compiere [II-69] molte opere di bene. Che se queste veniali fragilità si vanno ripetendo con molta frequenza, allora il pericolo è manifesto.
Figuratevi che accade dei cristiani come delle persone che hanno molta disposizione a intisichire. Queste poco a poco perdono le forze, poco a poco quella febbre continua di infiammazione li strugge, finché più non hanno fiato per parlare, più forze a muoversi, e così da un leggiero affanno son portati via dalla morte come il lume di candela si spegne ad un semplice soffio d’aria che incontra. Ecco il gran pericolo!
Molte colpe, piccolebene ma trascurate, conducono alle gravi e così fanno morire. Il marinaio che si al bel tempo - 894 -non sta a badare che per una fessura nel fondo della nave entrino stille d’acqua, ma tante stille riempiono il cavo della carena e poi riempiono tutta la nave, finché affonda [II-70] miseramente. Così questi che non hanno orrore al peccato si danno al bel tempo e non vedono il pericolo; se non lo vedono, come possono guardarsi? Si forma così uno accecamento ed una nebbia fitta dinanzi agli occhi, che a stento lascia scorgere le enormità della colpa.
Il cuore mano mano s’indura e così s’incammina a divenire ogni giorno più stolto. Aggiungete che la grazia del Signore a giorno a giorno si va ritirando, e così qual meraviglia che più di uno ottenga la dannazione in quella che si credeva tanto ­sicuro?
Ah, che grande danno è per l’anima l’affetto ad una colpa leggiera! È il danno di un uccello preso, che legato per un filo di refe svolazza ben sì per il prato, ma che non può volar per l’aere. Quanti se rompessero quel filo di un attaccamento volerebbero come aquile verso al Signore, ma perché non sanno fare un sacrifizio anneghittiscono e muoiono.
Lo manifestò apertamente il Signore a Teresa. [II-71] Mentre era giovinetta e che si applicava con molte cure alle vanità proprie del suo sesso ed alle letture frivole proprie di una età leggiera, le apparve il Signore e le disse: « Verissimo che le tue colpe fin qui non sono mortali, ma le tue leggerezze sono troppe. Ora una delle due: o lascia le vanità ovvero cadrai irremissibilmente dannata! ».
Né è a maravigliarsi di ciò. Non vedete come, nella stessa natura delle cose, un piccolo principio spesso origine a grandi conseguenze? Da un piccolo seme buono o cattivo spunta un filo e poi cresce un fusto e poi si sviluppa un albero che poi frutti o eccellenti ovvero perniciosissimi. Nei giorni invernali un uccello che posa un istante sopra di un ammasso di neve testé caduta distacca un globoletto, questo discende e s’ingrossa, e poi romoreggia e schianta le selve e seppellisce le case. Nei giorni d’estate una scintilla lasciata cadere incendia una casa ed anche un paese intiero.
[II-72] E nelle cose morali non accade forse lo stesso? Aristotile, venuto a diporto in una selva, incontrò un fanciullo che - 895 -aveva legato con molta maestria un fascio di legne. Ammirò il filosofo, ed indovinando l’ingegno del fanciullo lo associò alla sua scuola e ne fece un filosofo pari al maestro in credito di stima.
Poi non ricordate più l’esempio della samaritana al pozzo di Giacobbe? Quando Gesù le disse: « Dammi a bere » 152, se la donna avesse risposto: « Non posso perché la sera è tarda, non voglio perché i figli aspettano in casa », credete voi che si sarebbe ella convertita e che con sé avrebbe tirato tutta la città a seguire le dottrine del divin Redentore?
Finalmente schierate dinanzi alla mente gli esempi di Ignazio, di Antonio abate, di Giovanni mercante, di Andrea figlio scorretto 153, i quali si fecero santi dopo aver letta una pagina di un libro divoto o d’aver sentito con buon animo un discorso di correzione, e poi conchiudete se non [II-73] sia vero quanto finora avete sentito esporvi.
Che? Il Signore è l’Altissimo ed opera da Dio. Dona le sue grazie o le ritoglie come gli aggrada. Che più? A ciascun uomo che nasce su questa terra il Signore ha fino ab eterno fissato il numero delle grazie che vuol concedere, il numero dei peccati che vuol perdonare. Che se un cristiano trascuri le grazie o trascorra con audacia ad un numero maggiore di colpe, ecco che egli è spacciato omai!
Per cui, avanti partire da qui, dovete fissare qualche buon proposito che io vi soggiungerò dopo breve respiro.
Parte seconda
Il servo fedele che sommamente stima i beni celesti sclama di continuo: « O Signore, ch’io faccia tutto il bene possibile » e non ne lascia andare in vano nemmeno una particella di bene celeste. Una stilla di divina grazia è sì [II-74] gran bene che merita più considerazione di un’America di terrene ricchezze.
- 896 - Ignazio stimava sì un aumento sebben piccolo di grazia, che protestava le più volte: « Per accrescere un grado di gloria celeste, io sarei disposto a stare in un’agonia perpetua sino alla fin del mondo! ». Ci assicurano i maestri che le stesse anime dei santi del paradiso se potessero ancora discendere quaggiù, volentieri il farebbero per acquistarsi maggiori meriti e piacere più intimamente a Dio.
Per cui se vi aggrada soddisfare all’anima vostra, operate pure con gagliardia ogni sorta di bene possibile: avete sì gran tempo e tante occasioni di fare del bene!
Proponete di fare in ogni giorno quell’avanzo di ricchezze spirituali quale vorreste avere disposto per il punto di morte. Molti vostri fratelli proponevano di volere in ogni giorno crescere nell’amare il Signore; molti altri fecero voto di volere, fra due cose buone a farsi, scegliere sempre [II-75] la migliore.
Perché non è per niente che l’apostolo san Pietro 154 intima: « Io vi scongiuro: usate diligenza e poi raddoppiatela ad ogni momento, affinché per mezzo di tante opere buone possiate rendere certa la vostra vocazione e perfezione e la vostra elezione alla gloria 155 ». Non è per niente che altrove l’apostolo dice: « Che si sforzi ciascuno, perché la porta del cielo è angusta e che bisogna sudare anche sino all’agonia per potervi sicuramente entrare » 156.
La salvezza, ossia la perfezione sublime, è come il vincitore al palio. Molti corrono ma uno solo riceve il premio 157, ed è quel­lo che dopo avere cominciato il bene lo continua sino alla fine.
Come voi siete disposti a operare ogni sorta di bene, così dovete esserlo anche più per sfuggire da ogni sorta di male, perché il paradiso si guadagna con guardarsi dal male e con operare il bene costantemente.
[II-76]Angeli del paradiso, che dopo la caduta ignominiosa di Lucifero siete stati per divina bontà confermati nella grazia del Signore, aiutateci voi ad essere perseveranti sino alla fine.
- 897 - San Giuseppe, sposo di Maria e padre nutritizio di Gesù, che siete stato così fedele in evitare ogni male e compiere molto bene, aiutateci ancora voi. Ditelo voi a Maria, vostra sposa immacolata, che non si dimentichi di noi, perché gli siamo figli.
O Gesù, che nel Santissimo Sacramento dell’altare distinguete tutti gli affetti del nostro cuore, ricevete le nostre suppliche e quelle che per noi vi indirizzano i celesti abitatori.
O Signore, giacché sì buono ci guardate giorno e notte, salvateci, o Signore, e liberateci dalla sventura di commettere qualsiasi sorta di peccato.
Sia lodato Gesù Cristo158




p. 891
146
Nell’ed. 1934, p. 110: « O Gesù, che, mentre nell’orto del Getsemani versavate dalla fronte nell’eccesso dell’agonia sudore di sangue, vi lamentaste che i vostri cari discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, dormivano senza un riguardo ai vostri patimenti ».


p. 892
147
Per l’integrazione cfr. ed. 1934, p. 113.


148
Cfr. Nm 15, 35.


p. 893
149
Il testo si riferisce in modo impreciso a 1 Sam 6, 19, dove si legge che la morte colpì settanta persone su cinquantamila.


150
Cfr. 2 Sam 24, 13.


151
Ap 3, 16.


p. 895
152
Gv 4, 7.


153
Si tratta del beato Giovanni Colombini e di sant’Andrea Corsini.


p. 896
154
Originale: Paolo.


155
Cfr. 2 Pt 1, 10.


156
Cfr. Mt 7, 13s.


157
1 Cor 9, 24.


p. 897
158
Per i Riflessi autografi di Luigi Guanella cfr. pp. >951-952. Qui termina il secondo quaderno. Sulla seconda di copertina del terzo quaderno è riportata l’invocazione: « Maria speranza mia abbi di me pietà! ».


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