Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Scritti pubblicistici
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Parte prima Articoli de La Divina Provvidenza

1913

9. Dal porto di Napoli all'asilo di Laureana in Calabria.acapo. Anno XX, n. 6, giugno 1913, pp. 93-96

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Dal porto di Napoli allasilo di Laureana in Calabria
Anno XX, n. 6, giugno 1913, pp. 93-96.
Autografo, Archivio Storico Guanelliano, Como (V, 8) trasmesso con lettera a Leonardo Mazzucchi, Laureana di Borrello, 7 maggio 1913 (E 1863).
I
Un primo drappello di suore nostre che salpano per una fondazione a Chicago negli Stati Uniti - Ricordi antichi e segni della Provvidenza divina - La ricompensa d’un atto di carità - I desiderii dell’arcivescovo di Chicago e l’incoraggiamento del Santo Padre - Il mio viaggio in America - P‹adre› Gambera - La scelta edificante delle suore ad inviarsi in America - Benedizioni di presuli - A Pompei col comm‹endatore› Leonori - La cortesia del comm‹endatore› Bartolo Longo - L’incontro provvidenziale e la benedizione del card‹inale› Ferrata - Il contegno edificante delle sei missionarie - Sull’Ivernia - Commiato commovente - Alla Vergine di Pompei.
Ricordo come se fosse ieri quando nel 1850 circa la famiglia di mia zia paterna 40 Maria Orsola Guanella, ved‹ova› Levi, partiva alla volta degli Stati Uniti fra le lagrime dei parenti e dello scrivente, il quale, cresciuto negli anni, si tenne sempre in corrispondenza con i suoi cari che dallo stato del Wisconsin, e propriamente da Genoa 41 in diocesi di La Crosse, scrivevano dei loro stenti e come spesse volte aveano a fare con gli stessi selvaggi da cui erano circondati.
Lo scrivente nel 1866 fu consacrato sacerdote e due anni dopo poté per mezzo del ven‹erabile› d‹on› Giovanni Bosco inviare alla colonia-villaggio di Genoa un parroco nella persona di certo don Gabriele Momo, sacerdote piemontese di Saluggia, il - 853 -quale per oltre venticinque anni 42 assisté con cura e zelo i parenti di mia famiglia con altre famiglie congiunte e vicine di Campodolcino: i Zaboglio, i Gadola e più altri. In far questo, don Guanella preludeva al fatto dell’invio d’un drappello di suore missionarie nel 1913? Non oserebbe affermarlo, ma è certo che la d‹ivina› Provvidenza dispone soavemente e fortemente ogni cosa 43.
Nei primordi della fondazione della Casa della divina Provvidenza a Como, un venerando sacerdote dai bianchi capelli si presenta e dice: « Io sono don Giorgio Steinhauser, oriundo grigione (svizzero) ma ordinato in Como e per oltre venticinque anni missionario sui laghi del Michigan ed a Chicago; offro quanto possiedo, 75 lire in argento; mi userebbe la carità di ricoverarmi? ». Rispose don Guanella: « Ben volentieri; il peculio poi a cui allude se lo tenga per i suoi minuti bisogni ». E rimase con noi circa sette anni e ne edificò tutti colla sua condotta santa, e ne consolò col suo carattere straordinariamente affabile e allegro e coraggioso sempre come un atleta. Don Giorgio ci parlava spesso dell’America e di Chicago, e noi intentissimi ad ascoltarlo e ad invidiarne la sorte avuta. Che quel po’ di carità usata a don Giorgio ci abbia meritato la grazia d’inviare un drappello di missionarie in aiuto ai figli ed ai malati ed ai vecchi dei nostri italiani? Non si osa nemmeno asserirlo, ma sappiamo che il Signore è tanto buono...
Questo è certo: che don Guanella valicò già il mare per divozione ai luoghi di Terra Santa e per iscoprire se mai la divina Provvidenza aprisse la via per una fondazione. Poi si sa che l’arcivescovo di Chicago avea espresso al nostro carissimo commendator ingegnere Leonori il desiderio di aver delle suore strapazzone, le quali soccorressero ai più urgenti bisogni dei figli abbandonati e dei vecchi poveri dei nostri italiani in Chicago. Parimenti è vero che il Santo Padre nel primo anno tenne sospeso il suo consiglio e nel secondo e terzo anno ne incoraggiò alla partenza.
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Finché fu davvero provvidenziale l’incontro nostro in Roma con il p‹adre› Vittorio Gregori della Congregazione di san Carlo fondata dal compianto vescovo Scalabrini, già collega di studio a don Guanella. P‹adre› Gregori era in atto di ripartire per Boston e divenne amico e guida fedelissima nel viaggio che lo stesso d‹on› Guanella intraprese per conoscere i bisogni dei nostri italiani nelle varie città di New York, di Brooklyn, di Boston, di Baltimora, di Washington, di St. Louis, di Cincinnati, di Buffalo, di Utica, di Chicago dove l’esimio arcivescovo si mostrò più d’ogni altro interessato per le opere di asilo e ricovero di d‹on› Guanella a prò dei figli e dei vecchi poveri dei nostri connazionali viventi in quelle regioni.
Fu vera provvidenza che la prima fondazione si aprisse di preferenza in Chicago, città che si adagia suglimmensi laghi di Michigan consacrati e benedetti dalle cure e dalle fatiche del nostro carissimo ospite d‹on› Giorgio Steinhauser. Quell’illustre mons‹ignor› arcivescovo accettò con piena fiducia la proposta del m‹olto› r‹everendo› p‹adre› Gambera, parroco della chiesa dell’Addolorata, di valersi delle suore nostre della Provvidenza per fondare un asilo con scuola di lavoro e oratorio festivo, e disporre così la via all’apertura d’un’opera maggiore di ricovero di cronici, di vecchi e d’abbandonati, secondo il desiderio di sua eccellenza e dello stesso presidente dell’Illinois, di cui fa parte Chicago. Il m‹olto› r‹everendo› p‹adre› Gambera con l’aiuto di sua eccellenza preparò i locali necessari all’uopo, e si adattarono perciò ampli e sontuosi nei due basamenti della stessa chiesa parrocchiale e in una casa che si trovò di fronte.
Bisognava provvedere il personale da inviarsi. Due suore del Ricovero Pio X a San Pancrazio [94] in Roma già da parecchi mesi si addestravano, sotto la guida delle due sorelle del comm‹endatore› Leonori, nei primi elementi della lingua inglese. A Como, trovandosi radunato per gli Esercizii spirituali un numeroso stuolo di suore, si disse loro: « Quali di voi si sentono di rendersi missionarie americane? ». Molte ne stesero domanda, quattro ne furono scelte; alcune poi diedero in pianto dirotto e furono acquetate solo quando si promise loro di assumerle per un’altra spedizione.
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Fu un risveglio di fede e di carità in tutta la congregazione delle Figlie di santa Maria della Provvidenza ed anche in quella dei Servi della Carità. Si ordinarono speciali preghiere in ogni casa, mentre gli eccellentissimi presuli di Como e di Milano benedicevano le partenti. Anche sua eccellenza mons‹ignor› Tommaso Trussoni arcivescovo di Cosenza, circondato da uno stuolo di sacerdoti, parenti e conterranei, nella chiesa di santa Maria alla Binda benediceva e incoraggiava. Così le quattro di Como raggiunsero le due che attendevano a Roma. Il Santo Padre fece loro dirigere parole di alto conforto e volle pure regalarle di una preziosa medaglia d’argento.
Il carissimo e benemerito comm‹endatore› Leonori, applicato alla sorveglianza ed alla direzione dei lavori del santuario di Pompei, ivi ci attendeva la vigilia della partenza da Napoli e don Guanella vi si portò a tempo con le suore. Le suore dell’ospizio di Ferentino incontrarono le consorelle sino ad Anagni, accompagnandole sino a Ferentino, e fu uno spettacolo di commozione e di gara ineffabile.
La sera, a Pompei, incontrammo i fratelli ingegneri Leonori, che ci presentarono a mons‹ignor› Silj ed ai venerandi coniugi il comm‹endatore› Bartolo Longo e la contessa ‹De› Fusco. Il signor conte si degnò d’intrattenersi con noi a lungo discorrendo della storia del santuario, dell’erezione del nuovo grandioso campanile in istile della facciata, della costruzione d’un altare a santa Cecilia. E non avea fine nel raccontarci delle grazie della Madonna del Rosario, dell’opera zelante di ben venticinque confessori che nelle maggiori solennità vi si prestano a ricevere la Confessione sacramentale dei numerosissimi fedeli accorsi. Si mostrò informato delle opere nostre, a cui applaudì con quell’esuberanza di entusiasmo che è proprio di questa gente meridionale. Vero tipo di napoletano di fede, il commendator Bartolo Longo ci tenne attenti per un’ora intiera e nel mattino seguente scese ancora a congratularsi con le nostre suore che si disponevano per la partenza. Offrì poi ospitalità ed assistenza particolare a mons‹ignor› Tommaso Trussoni, che seppe si sarebbe soffermato a visitare il santuario di Pompei e la tomba di sant’Alfonso de’ Liguori nella vicina Pagani nell’andata alla sua sede di Cosenza.
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Ed ecco un altro insperato e provvidenziale incontro. Le suore avean sentito dolore nel partire senza la benedizione dell’eminentissimo loro protettore, il cardinal Domenico Ferrata, così prodigo verso loro di cure e di attenzioni squisite. Ed ecco che a Pompei si ode d’un tratto la voce: « Il cardinal Ferrata! Il cardinal Ferrata! ». Era difatti l’eminentissimo che giungeva allora allora dal Congresso eucaristico di Malta a cui avea presieduto in rappresentanza del santo padre Pio X. Ascoltammo tutti la santa Messa ch’egli celebrò nel santuario e l’attendemmo per esserne benedetti. Il signor cardinale ben due volte rivolse parole di sorpresa, di commozione, di viva fiducia allo stuolo delle partenti, e invitò don Luigi ad una prossima visita in Roma. Furono così appagati i comuni desiderii. Suor Rosa Bertolini, che fu messa a capo della nuova spedizione, uscì in questa esclamazione: « Siamo tutte tanto contente e tutte scorgiamo in questo viaggio così chiari i disegni della Provvidenza, che noi ci reputiamo le creature più felici benché tanto indegne, e se per caso in questo momento ne venisse l’obbedienza d’interrompere il viaggio, essa ci riuscirebbe di grave sacrificio ». Durante il viaggio e nei momenti più solenni di distacco non si osservò in nessuna alcun segno di turbamento, non una lagrima ne solcò le gote. Una di loro ne provò subita commozione, ma tosto soggiunse: « Ciò è debolezza e viltà, ne devo chieder venia alle consorelle per il malo esempio che do loro ».
Entrate finalmente, in Napoli, nel magnifico vascello Ivernia e disposti i bagagli in due cabine, dopo che le ebbi rassegnate alla custodia dell’incomparabile Aristide Leonori, esse si prostrarono per esserne tuttavia benedette. Sclamarono: « Ci assolva tutte assieme e porti via tutti i nostri peccati ». Ne rimasero commossi anche tutti i forastieri presenti. Poi don Guanella e il sig‹nor› ing‹egnere› Pio Leonori lasciarono il bastimento, per restituirsi questi a Roma e portarsi don Guanella in Calabria dov’era atteso.
Nelle case delle due congregazioni si fanno suppliche per il prospero viaggio. Le fortunate e noi tutti ci troviamo prostrati in ispirito ai piedi della gran Vergine del Rosario, perché su di noi l’Immacolata continui quella protezione ch’ella manifesta nei prodigi della sua bontà a Valle di Pompei.
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II
Da Napoli a Reggio di Calabria - Le ricchezze del suolo calabrese - Stato economico, religioso, morale della popolazione - Usanze calabresi - La fede della Calabria - I santuari della Madonna in Aspromonte e di san Francesco di Paola - Descrizione di Laureana di Borrello - La fede e la carità [95] dei coniugi Lacquaniti - Il nuovo asilo di Laureana - Bisogno d’una scuola di lavoro e d’un ricovero - Desiderio d’un ricovero di vecchi ad Oppido Mamertina - Il calabrese è uomo di fede e di cuore - Fiducia nella divina Provvidenza.
In Calabria per via di terra si va in treno da Napoli - Battipaglia - Agropoli - Sapri - Paola - Sant’Eufemia - Nicotera - Rosarno - Villa San Giovanni, fino a Reggio. Per via più lunga di mare si penetra da Messina per lo stretto a Reggio.
La Calabria si divide nelle tre provincie di Reggio, di Cosenza e di Catanzaro. La regione è estesissima. Il suolo è coperto da immense foreste di faggio, dove ultimamente una società milanese esercita un largo traffico di legno e di carbone. Vi sono estesissime pianure coperte d’oliveti che producono olii sopraffini. Gli agrumi pure vi crescono abbondantissimi. Non mancano i frumenti, i fieni, i vini prelibati. La terra produce spontaneamente; se vi si aggiungesse la mano dell’uomo e la coltura razionale, la produzione si moltiplicherebbe. Il clima vi è buono; vi si succedono monti, colli, piani, con amena varietà. Da Laureana e da più altri punti si vedono i vertici dell’Aspromonte, sempre coperti di neve. Si allevano greggi numerosi di pecore e di capre ed anche di maiali, quando erano meno diradate le fitte foreste di querce.
I paesi vi sono distanti e non molto popolati. Parecchi lavoratori si portano per ragioni di guadagno negli Stati Uniti d’America ed altrove. Rimangono a casa i meno operosi. Il calabrese è d’ingegno naturalmente forte, amantissimo della sua terra vulcanica; ama con l’ardore del fuoco che gli bolle sotto i piedi. All’estero non la dura a lungo, perché soffre troppo di nostalgia. È popolo rude quello di Calabria, è scarso di iniziative, è povero. Si divide praticamente in due classi: quella dei così detti galantuomini, che vivono di rendita per quanto - 858 -esigua, non lavorano ed hanno attorno molta servitù, e quella dei paesani, la maggior parte, che vivono poveramente nei loro costumi primitivi di patriarcale semplicità.
Quando un neonato divien membro nuovo d’una famiglia, si recano dei regali alla madre. Al giovane che aspira a fidanzarsi si fa giungere in mano, per mezzo d’un terzo, il regalo d’un fazzoletto. Quando uno muore, se ne gettano dalla finestra tutte le medicine; se il morto è celibe, lo si veste d’un abito bianco e gli si mette in mano una palma. I parenti del morto si nutrono per tre giorni delle vivande che portano loro amici e vicini. Il lutto dura tre anni nei figli e le vedove portano il lutto per tutta la vita.
All’avvicinarsi delle grandi feste un drappello d’incaricati, vestiti da pellegrini e in varie foggie, s’aggirano a raccogliere denaro e doni per potere nel solenne far risuonar l’aria di canti e suoni musicali e spari di mortaretti e squillar continuo di campane e addobbare sfarzosamente la chiesa. Il Natale si celebra col canto di pastorali lunghissime, accompagnato da strumenti di corda e dalle indispensabili pive. Il Capodanno e l’Epifania si fanno auguri alle case dei galantuomini. A mezza Quaresima una vecchia donna, con sega e corda nella destra, è accompagnata per il paese e si grida: « Andiamo a serrare la vecchia ». Nella Settimana santa al canto gregoriano si mescolano i canti delle migliori opere artistiche, adattandoli alla salmodia ed agl’inni sacri del tempo. Il Giovedì, Venerdì e Sabato santo si rappresentano al vivo i misteri della santa Cena e della passione di Gesù Cristo. Chi rappresenta il divin Salvatore è sottoposto agli sputi, alle ingiurie ed anche alle battiture, mentre uomini penitenti si flagellano pure aspramente recitando salmi penitenziali. In Laureana di Borrello il mistero della Risurrezione è celebrato con grande pompa e copia di personaggi rappresentanti il Cristo risorto, la Vergine santissima, san Giovanni, ecc‹etera›, così da richiamare in folla i popoli vicini ed eccitarli a grida ora di pianto, ora di gioia inesprimibile. La festa dell’Ascensione nelle famiglie si usa il latte, in quella di san Martino si assaggiano i vini; la festa di san Giuseppe è detta dei conviti, perché s’imbandisce il pranzo a tre poveri. Nel giorno dei Morti si fa l’elemosina ai poveri, come pure nel primo lunedì - 859 -d’ogni mese. In queste circostanze si celebrano pure sante Messe pei defunti.
In tutte queste festività vi è dell’esagerazione e talora della superstizione, ma in generale vi domina una notaviva di soprannaturale che consola e solleva il cuore dell’uomo al cielo. La donna vi è specialmente attratta. Molte figlie di galantuomini si consacrano a Dio in celibato cristiano e passano i giorni della vita divisi tra le cure della famiglia e il lungo pregare dinnanzi ai santi tabernacoli.
In generale le chiese sono mal tenute; talvolta poi nella campagna si vedono chiese prive anche di pavimento, specialmente dopo le funeste rovine del terremoto. Non mancano santuarii insigni: quello della Madonna in Aspromonte è frequentatissimo dai pellegrini che vi vengono in viaggi lunghi parecchi giorni, e quello di san Francesco di Paola, il santo popolare della Calabria. In talune chiese, che non si lasciarono spogliare dagli avidi ebrei, si trovano paramenti sacri di broccato preziosissimi, come nella chiesa patrizia dei gentilissimi coniugi Nicolò Lacquaniti e Mariannina Grillo.
Ed eccoci a parlare di questo paese di Laureana [96] di Borrello, così chiamato perché l’attuale Laureana è costrutta sull’antica città di Borrello distrutta dal terremoto.
Così è descritta: « È posta dirimpetto al mar Tirreno sopra un ameno poggio elevato sul livello del mare m. 274, facente parte della catena degli Appennini, che a guisa d’ampia curva circondano, meno che da ponente, il fertile ed esteso bacino della piana il quale, alla sua volta, si spazia per ottanta leghe di lunghezza e per sessanta di larghezza dal monte Vibonese al piè d’Aspromonte e dal Caulone al litorale di Gioia Tauro. Il poggio, a ridosso del quale giace Laureana, occupa il punto quasi mediano della curva suddetta, donde si domina il vasto sottoposto piano. Il panorama, che si dispiega all’osservatore che spinge lo sguardo dal magnifico viale, ombreggiato d’acacie, che si svolge innanzi al convento degli ex frati conventuali, è svariato, maestoso, incantevole! A settentrione l’estremo orizzonte vien limitato dai monti del Nicastrese con le loro cime ondulate e con la loro tinta di un ceruleo opaco; più in qua vedesi la città di Monteleone, che mollemente s’adagia sulla china - 860 -d’un monte isolato, distaccato dalla catena degli Appennini, la continuazione del quale nella parte più elevata prende il nome di Monteporo, e nella pendice orientale vedesi popolata da innumerevoli villaggi, detti comunemente Quartieri. A mezzodì un’estesa pianura, coperta d’ulivi e d’aranceti, e fra quella rigogliosa vegetazione il biancheggiar delle borgate e dei villaggi della piana; più giù la gran massa d’Aspromonte, vestito di selvaggia boscaglia, e il monte Sant’Elia, che quasi minaccioso sta sopra Palmi e che, digradando in tre colossali scaglioni, fa vedere in isfondo il nevoso Mongibello e gli altri monti della Sicilia e va a bagnarsi nel golfo di Gioia Tauro. Ed infine a ponente, sorvolando con lo sguardo, la verdeggiante pianura bagnata dal Mesima e dal Metauro, che come argentei nastri vi serpeggiano in mille guise, e chiusa a sud-ovest dai monti di Palmi ed a nord-ovest dalla costa meridionale di Monteporo (sulla cui china ripida e pietrosa giace Nicotera), offresi il mar Tirreno con la sua vaghissima tinta azzurra ed in fondo, come per terminare questo artistico quadro, sorgono le isole Eolie, vetuste reliquie d’un continente che non è più, fra le quali primeggia lo Stromboli, sul cui cratere aleggia quasi continuamente un pennacchio di fumo » 44.
I sunnominati coniugi personalmente e per mezzo di personaggi e di prelati s’indirizzarono alla Casa della d‹ivina› Provvidenza per avere delle suore alla direzione d’un asilo che voleano inaugurare a Laureana, loro patria, a ricordo dell’unico figlio Domenico, morto nel collegio salesiano di Messina nell’ultimo terremoto. E non potendo essere esauditi, si recarono in persona dal Santo Padre, di a Milano e a Como. Fu così che si dovettero accontentare e nel 28 del dicembre passato, - 861 -con festa di parenti e d’amici e con loro grande gioia, inaugurarono l’asilo che ora prospera ed è argomento di orgoglio e di gioia per questi laureanesi. Si fanno voti che all’asilo si possa aggiungere scuola di lavoro e fors’anche un ricovero che questo municipio sarebbe disposto ad appoggiare.
La sorella della consorte Lacquaniti, Beatrice Grillo, signorina di alti sensi di fede e di carità, figlia di genitori ugualmente fervidi nella pratica delle virtù cristiane, da tre anni ella pure insiste per la fondazione di un ricovero per vecchi in Oppido Mamertina, che non dista molto da Laureana di Borrello.
La Calabria è terra vergine e non vi difettano gli appoggi per istituzioni di carità. Si comprende da molti come queste istituzioni, dove si esercitano le opere di misericordia, sono le più utili in sé e le più opportune per combattere gli errori del tempo. La famiglia Lacquaniti, modello di virtù e di pratica cristiana, in ciò si distingue e non è difficile che abbia a suscitare degli emuli. I calabresi, come si è detto, sono di cuore e di fede.
Così la divina Provvidenza ci assista e diriga le umili opere che in essa confidano.
Laureana di Borrello, 7 maggio 1913.
Sac‹erdote› Luigi Guanella




p. 852
40
Originale: materna; cfr. Notiziario, p. 138.


41
Originale: stato dell’Illinois, e propriamente da Genoa City; cfr. nota 30 a p. 762 e nota 12 a p. 810. Il secondo toponimo è stato corretto anche nel capoverso successivo.


p. 853
42
Il sacerdote Gabriele Momo rimase presso la colonia italiana di Genoa fino al 1882; cfr. lettera a Pietro Antonio Buzzetti, Pianello del Lario, 17 luglio 1882 (E 778).


43
Cfr. Sap 8, 1.


p. 860
44
Questa descrizione geografica, assente nell’autografo, riprende con minime differenze Giovanni Battista Marzano, Cenno storico intorno a Laureana di Borrello, pp. 7-9, pubblicato postumo all’inizio del 1915 a Laureana di Borrello (rist. anast.: Bologna 1989) a cura dei figli dell’autore, insigne studioso locale di storia ed etnologia, nato nel 1842 e morto nel 1902; di questo brano non è stata reperita una fonte edita anteriore alla redazione dell’articolo, per cui si può ipotizzare sia stato utilizzato del materiale preparatorio per la pubblicazione del citato Cenno storico.


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