Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Deposizione C. Guanella
Lettura del testo

Deposizione sulla serva di Dio Caterina Guanella (1910)

Temperanza

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Temperanza
XCVIII. So che la Serva di Dio, di carattere sanguigno sensibilissimo, molto soffriva ma molto si annegava, tanto che si era resa come morta a se stessa. In casa e fuori le dicevano: « Ma come fai ad essere sempre morta così? Non senti niente? ». Rispondeva: « Sì, sì, sento, sento anche troppo: sapeste come mi rodo dentro e come sono cattiva! Ma cerco di contenermi, perché mancare di pazienza è un momento. Non vorrei gravarmi la coscienza per le cose e per le persone di questo mondo ». Quindi in lei era sempre il pensiero di rendere bene per male 24.
XCIX. So che la Serva di Dio amava il canto, come già dissi. Una volta, nel carnevale, in famiglia si faceva una cena modesta. So che la Serva di Dio, suggerita dalla madre, diceva a me ed ai fratelli minori: « Noi andiamo a dormire », e ci teneva nascosta la circostanza di quella cena. In Savogno, nella casa vicina alla parrocchia, casa detta Mazzoletta, per una nottata in carnevale si divertiva la gioventù in ballonzare un po’ e - 559 -mangiare. Il mattino seguente portavano elemosina di una Messa ed Officio al curato, dicendo: « Questo per una Messa ed Officio per i nostri [XVI-5] poveri morti, caso mai avessimo fatto qualche cosa di male in questa notte ». Il curato rifiutò dopo qualche anno di accettare l’elemosina. Allora la Serva di Dio mi diceva: « Povera gente! Certamente che sono da disapprovare, ma povera gente! D’altra parte, quasi non si saprebbe che dire. Loro forse crederanno di non fare gran male. Forse si poteva ancora ricevere l’elemosina della Messa e dell’Ufficio ». Il suo conversare abborriva da ogni discorso e divertimento mondano.
C.So che la Serva di Dio mortificò sempre il corpo coi lavori. Giungeva spossata e carica di strame, di fieno che portava dagli alti monti, specie nella stagione estiva, come si disse che lavorava anche nelle ore di riposo. Quanto al mangiare, spesso digiunava sino al mezzogiorno per compiere le sue divozioni. A pranzo ed a cena si contentava di polenta e formaggio, ovvero di castagne secche bollite, di patate semplicemente bollite. Quando era sola disponeva certa farina cotta, detta melons, piatto meschino che durava parecchi giorni senza prendere l’acido. Diceva poi anche a me, studente di filosofia e di teologia: « Tu che sei spesse volte solo e che ti dispiace il cucinare e non vuoi perdere tempo per le tue letture, fa come faccio io ». Invero io mi provava, ma non poteva reggerla. So poi che alla Serva di Dio questa grossezza [XVI-6] di cibo e scarsezza producevano dolori di capo, indigestioni, spossatezza di membra, mali nervosi che la rendevano insonne e malorata per molti riguardi. Nascondeva i suoi malanni o tutt’al più diceva: « Soffro, ma perché io sono troppo delicata ». La vidi più volte in ottobre e novembre camminare scalza e senza zoccoli sul terreno brinato per la strada di una ventina di minuti da Fraciscio a Gualdera. Io e la mamma garrivamo la Serva di Dio, ma essa rispondeva: « Faccio così per assuefarmi a tutto: si soffre in principio e poi il corpo si riscalda, poi si sa che un po’ di penitenza bisogna farla ». Per sé era sensibile al caldo e al freddo e perciò chi la vedeva, anche nei massimi ­rigori di ghiaccio e di nevi invernali, passare da Fraciscio a Campodolcino e Gallivaggio bagnata e durarla da summo mane - 560 -a mezzogiorno, erano di parere che senza un aiuto straordinario della grazia ciò non si sarebbe potuto fare da veruno e durarla senz’ammalarsi e morire.
CI. So che parecchi anni, e anche durante l’inverno, non risiedendo il cappellano a Fraciscio, la Serva di Dio superava le difficoltà del freddo, della neve, del ghiaccio, dell’oscurità per discendere da Fraciscio a Campodolcino ogni giorno infallantemente. A Campodolcino arrivava anche mezz’ora prima dell’avemaria e allora si fermava davanti all’ossario, non [XVI-7] essendo aperta la chiesa, ed ivi pregava per i morti. Calzava al solito scarpe basse. La strada, appena mulattiera, d’inverno era coperta di neve portata dalla tormenta. In certi tratti, sotto un leggier strato di neve, vi era del ghiaccio vivo, per cui era grave il pericolo di cadute, di lussazioni. Raro è che una donna anche di giorno pratichi quella discesa da sola; gli uomini, poi, amano le scarpe di ramponi di ferro, chiamati grappelli. Ma, che io mi sappia, la Serva di Dio non ne usò mai. Ebbene, la Serva di Dio faceva tale discesa da sola, di notte, nessuno discendendo in feriali d’inverno alla chiesa. La divota pratica della Serva di Dio era nota ai compaesani, i quali dicevano: « La Caterina ha il suo angelo custode particolare: è un fatto meraviglioso. Noi non sappiamo come possa continuare quella benedetta creatura ». Interrogata, rispondeva: « A dire la verità, io mi segno all’uscire di casa e poi continuo a pregare e poi, per la gran pratica, io vado e vengo con tutta facilità, quasi senz’avvedermi ». La nipote Maria Sterlocchi, poi, mi riferisce che, dovendo passare davanti la casa parrocchiale, quei di dentro ne marcavano il passo. Allora la Serva di Dio camminava in punta di piedi e poi per non essere avvisata dell’ora intempestiva del mattino, in ultimo si era risolta di scendere a picco quasi, per certo sentiero detto il Moladino, con aumento di fatica e di pericolo. A quelle altezze (Fraciscio a circa 1300 m, [XVI-8] Campodolcino a circa 1100 m) il termometro discende a 15 gradi centigradi sotto zero ordinariamente, quindi si può immaginare come la Serva di Dio giungesse colle vesti congelate a Campodolcino. La Serva di Dio restava in tale stato per ore parecchie in chiesa e per lo più senza sdigiunarsi e senza entrare in ­nessuna casa; benché il parroco nipote colla sorella Maria la - 561 -­invitassero, ritornava a Fraciscio verso mezzodì. Interrogata, la Serva di Dio rispondeva: « Io proprio non sento il bisogno di mangiare, né di riscaldarmi: non farei che perdere il tempo e farlo perdere agli altri ».
Per me, teste, pratico perché nativo del luogo e informato delle circostanze, l’esercizio suddetto continuato per parecchie invernate sino alla morte è tale fatto da riputarlo non solamente eroico ma anche meraviglioso e straordinario affatto. Di questo sentimento erano pure le persone di senno che ne osservavano i passi.
CII. So che la Serva di Dio osservava i digiuni della Chiesa con scrupoloso rigore tutti, ma specialmente quelli della Quaresima. In questi ultimi aggiungeva la mortificazione di non bere vino giammai e diceva poi alle sorelle ed alle amiche: « Guardiamo poi di non rompere la Quaresima in quest’anno. Io per me non verrei nemmeno alla fiera di San Giuseppe in Chiavenna, perché v’è quel benedetto nostro cognato [XVI-9] Guglielmo (Sterlocchi) il quale, non lo farà con cattiva intenzione, ma ci aspetta al suo crotto e ci tira dentro per farci bere. Oh che stizza! Io faccio anche la screanzata e scappo via indignata, perché rompere la Quaresima è una gran pazzia ». La Settimana santa la voleva passare con polenta ed acqua, senza companatico, e diceva: « Anche quel buon barbone di muratore era un buon cristiano, muratore forastiero di vallIntelvi che lavorava in casa nella Settimana santa fa così. Si stenta a fargli bere un po’ di siero. Eppure vedete come fa girare quella cazzuola a rab­boccare 25 i muri della casa ». Noi di famiglia osservavamo con sorpresa tale fatto, ma ben conoscendo la pietà della Serva di Dio si diceva: « Lasciamola fare: la Caterina non si sa come faccia, ma bisogna lasciarla fare e si vede che il Signore l’aiuta ».
Da giovinetta ricordo che la Serva di Dio per sfamarsi voleva contentarsi dei pomi di terra cotti, come si dice, sotto l’acqua. Sentiva il bisogno di nutrirsi con qualche abbondanza e il faceva con questo solo cibo. Probabilmente le gravavano di notte lo stomaco, onde al mattino raccontava i sogni strani e - 562 -l’immobilità di persona da cui di tempo in tempo era sorpresa. In questo io non vedevo intemperanza di sorta, ma piuttosto un effetto di debolezza cagionato da cibo poco nutriente.




p. 558
24
Cfr. Rm 12, 21.


p. 561
25
Originale: riboccare.


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