Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Il pane dell'anima (I corso)
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IL PANE DELL'ANIMA PRIMO CORSO DI OMELIE DOMENICALI ESPOSTE IN UNA MASSIMA SCRITTURALE

<Evangelio della> domenica decima prima dopo Pentecoste Le saette di un cacciatore valente

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<Evangelio della> domenica decima prima

dopo Pentecoste

Le saette di un cacciatore valente

  1. [295]Mirabili sono le industrie di un cacciatore valente. Egli non esce alla foresta se non per riportare qualche cacciagione. Per sorprendere poi o l'augello sulle panie ovvero la fiera con i dardi, ne distingue con sicurezza i luoghi più acconci, e quando è il momento mena i colpi con polso franco. Intanto le prede gli cadono ai piedi.

  Felicissimo cacciatore delle anime è il nostro divin salvatore Gesù Cristo. Egli si affretta in traccia di anime a salvare e le raggiunge con l'arte del suo divino amore. Anche qui attendiamo al discorso dell'odierno Evangelo.

  "Gesù, partito dal paese di Tiro, venne per Sidone verso al mare di Galilea. Allora gli condussero innanzi un sordo e muto e lo pregarono di imporgli le mani. Gesù, [296]trattolo in disparte, misegli un dito nelle orecchie e della saliva sulla lingua, quindi alzati gli occhi al cielo, diede un sospiro e gli disse: Effeta, che significa: Apriti. Incontinente le orecchie si apersero, la lingua si sciolse ed egli parlava distintamente. Gesù proibì a quegli di dirne di ciò con chicches<s>ia, ma ad onta del divieto eglino vieppiù si affrettavano di pubblicare il fatto, e pieni di stupore come erano non cessarono di sclamare: Egli ha fatto bene ogni cosa,

- 333 -diede l'udito ai sordi, la favella ai muti" (San Marco cap<itolo> 7)87.

  Gesù si incammina nelle sue peregrinazioni in traccia delle> anime a salvare. Qui gli si presenta un meschinello sordo e muto, ed egli adopera subito un miracolo della sua potenza e della sua bontà infinita e d'un tratto guarisce un infelice. Questi gli cade ginocchione dinanzi e con lui una turba di gente che prodiga magnifiche lodi di riconoscenza a lui e si offre quasi in atto di seguirlo per sempre.

  Eccolo questo divino cacciatore. Egli con un tratto solo di un'arte santa trae innumerevoli anime a seguirlo. In questo luogo per guadagnare anime adopera la soavità e la potenza di un miracolo pietoso; altra [297]volta userà la sferza di un castigo per <far> ravvedere un disobbediente o la ferita di un dardo per arrestare i fuggenti. Sempre però ottiene l'intento mercé lo zelo di un cuore caritativo. "Le tue saette -- confessava di sé il reale Salmista -- si infissero in me e tu hai fermata su di me la mano tua"88. Eccole le industrie di un santo cacciatore di anime. Dimoriamo a considerarle perché sono ammirabili.

  2. Iddio ferisce con i suoi dardi a fine di salvare. Per intendere questa verità poniamo innanzi una similitudine. Un padrone ha più <di> un polledro vispo e che li lascia nel più bello della state trascorrere in pasture su per i pascoli saporiti del monte. Intanto i discoli impinguano e ricalcitrano e sfuggono a tutta possa dal padrone. Ma già s'approssima la stagione delle borrasche, la rigida vernata. Gli animali, se si lasciassero ancora su quei vertici, cadrebbero per fame ovvero che il rigore di una lunga notte li farebbe intirizzire. Per questo il buon proprietario fa circondare gli avventurati animali, li sospinge entro un chiuso e poi viene addosso e loro appone in collo un laccio, una briglia [298]alla bocca, ed indi sferzate di staffile e trafitture di pungiglione, finché ritornino mansueti come agnelli. Ed ecco che in breve il padrone

- 334 -chiama alla stalla i suoi polledri e che dalla stalla li aggioga sotto al carro. Allora ritornano animali carissimi perché sono utili alla casa, e ricevono poi altrettanto di buoni trattamenti quanto ne sostennero di mali quando scapestrati ricalcitravano tanto.

  Figuriamoci che l'eguale condotta sia obbligato il Signore ad adoperare verso ai più di noi. È compassione paragonare il cristiano al giumento, ma se Iddio lo raggiunge fuggitivo con la sferza delle sue tribolazioni, usa certamente un tratto di misericordia pietosissima. Che sarebbe avvenuto di quello sciagurato Davide in quel suo lezzo di colpa? Che sarebbe stato di Adamo e di Eva?... Che di tutti quelli che fuggivano così rapidi dalla presenza di Dio nel Vecchio Testamento e poi che furono richiamati? Appunto, il Signore li ridusse così come un cacciatore con dardo la sua preda, come un padrone il suo polledro con la sferza.

  Dardi sono quei patimenti di povertà che toccano ad uno che decade da alto stato. [299]Dardi sono quelle malattie repentine e tormentose che toccano al giovinastro che scorreva sul suo polledro, niente meno sbrigliato che quell'animale indocile. Sferze del Signore sono quei patimenti di spirito, quelle malinconie profonde che desolano ancora il cuore di un robusto. E quelle minute persecuzioni di un avversario e quei disturbi di una persona molesta sono pungiglioni che dirigono rettamente sulla via i passi di chi troppo voleva trascorrere al largo delle voglie di sue passioni pretenziose.

  Sicché la più alta misericordia che il Signore ci può fare è di inseguirci col pungolo delle sue sferzate, di arrestarci colle ferite de' suoi dardi. Crediamolo tutti: di questa non è misericordia migliore che Dio ottimo ci possa usare.

  3. Il Signore per mezzo di un dardo di povertà e di ingiusta persecuzione chiamò a sé più vivamente Francesco d'Assisi. Quando poi questi gli aderì più di cuore, allora Iddio impresse nelle membra di Francesco il segno e i patimenti delle piaghe benedette tollerate da Gesù sul legno della croce. Per imprimergli sul corpo di Francesco quelle sacre stim<m>ate, Iddio operò un [300]prodigio di bontà, quale appena si legge che usasse a' suoi apostoli diletti. Francesco poi, quando sentì

- 335 -sul suo corpo gli spasimi di quelle sofferenze, riceveva altresì da alto grazia poderosa per unirsi sempre più al suo crocifisso Signore. Il poverello di Assisi allora si offeriva a Dio come il servitorello che spontaneo si presenta al suo signore legato nelle mani, legato nei piedi, per dirgli: "Quanto sono, voglio esser tutto vostro, o padrone mio buono".

  Vi porgo altre similitudini. Ad un cacciatore è specialmente cara una preda quando gli è costata molta fatica. E quell'ottimo padre del prodigo, chi mi sa dire la gioia che ne concepì quando, dopo sì lungo sospirare, vide entrargli in casa il figliuolo che già aveva pianto perduto? Così voi genitori solete amare maggiormente quei figli che più vi costarono cure di sollecitudine e di sacrificio.

  Ebbene credetelo: così al Signore sono carissime quelle anime per aver le quali dovette scoccar dardi acuti e fare profonde ferite per arrestarli. Io non vi posso dire quanto gli fu caro Saulo persecutore, convertito in Paolo apostolo. Io non vi so dire quanto amasse un Cipriano, un Agostino, un Girolamo, pervertitori,[301] dopo che feriti caddero penitenti ai piedi di Gesù Cristo. Questo lo so certo, che giammai si provarono per isfuggirgli ancora e gli aderirono poi sempre con affetto divoto di figli amanti, di vittime salve omai.

  E questa è l'alta consolazione che infine deve innondare il cuor nostro: sapere che finalmente le tribulazioni sono segno che Dio non ci lascerà più mai e che noi non ci staccheremo mai più da lui. Che vi sembra?... Ringraziamo senza posa il Signore, se scorgiamo che egli sia venuto a ferirci con i suoi dardi o continui a pungerci con le sue sferze. Questo è segno che Dio ci ama.

  4. In momento di tribulazione noi diciamo: "Sopporterei quella povertà, ma è troppo disastrosa, perché oltre essere povero sono ammalato, e per il dippiù d'essere ammalato, ha gente che non mi crede e mi insulta. Or chi può vivere con feritagrave?". Appunto, appunto, se la ferita fosse stata leggera, noi saremmo ancor fuggiti lontano.

  Oh che ferita si richiede per arrestare un vanaglorioso, che ferita per richiamare un interessato avaro! Che se [302]dippiù sia immerso nel fango di molte brutture, allora per farlo rientrare- 336 - bisogna fargli sentir prima il peso delle sue ignominie e le ferite di tante piaghe di malattia putrida. Che pietà sarebbe quella del medico che, venuto a curare l'infermo, ferisse nella piaga, ma non quanto basta a guarirlo? Anzi è medico valente come è cacciator gagliardo quegli che, con un tratto o di lancetta o di dardo, ottiene il suo intento di salvare l'infermo o di guadagnarsi una pingue preda.

  Agostino che seppe poi stimare il valore di queste ferite sclamava con forte animo: "Signore, a me non duole che premiate colla mano. Hic ure, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas, bruciate pur la piaga, tagliate e non perdonate, purché in eterno io sia perdonato". Teresa di Gesù che alla sua volta conosceva il pregio altissimo delle tribulazioni diceva: "Patire o morire, anzi sostenere e non morire". E così le anime che ben comprendono la pietà altissima che è nei misteri delle tribulazioni imitano il costume apostolico di domandare al Signore la grazia di patire per la gloria del suo nome. Ed il Signore, che non la cede a nessuno [303]in generosità, manda poi le sue grazie di consolazione, nelle quali il tribolato prova in sé l'ardor dell'Apostolo che diceva: "Soprabbondo di gaudio nel genere molteplice delle mie tribulazioni"89.

  Ritorniamo al fatto dell'odierno Evangelio. Il divin Salvatore con il dardo amorevole di una predicazione trasse le genti a sé, con la ferita dolce di un discorso aprì la bocca a quel muto, aprì l'udito di quel sordo. Muti siamo noi, quando non confessiamo sinceramente le colpe nostre. Ah che mutolezza funesta quella di chi tace avvertitamente un peccato in Confessione! Sordi siamo noi quando non ascoltiamo la voce del Signore. Che sordità maligna quella di chi muove ogni sorta di rumori intorno a sé per non sentire! In questo stato vuolsi che Dio mandi ferite di dardi, tuoni di saette. Se Iddio non adopera così, guai a noi!

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Riflessi

  1. Le saette di un cacciatore valente.

  2. Le saette di tribulazione ci salvano.

  3. E ci fanno poi star sempre uniti a Dio.

  4. Ma bisogna che le saette facciano ferite assai profonde.





p. 333
87 Mc 7, 31-37.



88 Sal 38(38), 3.



p. 336
89 2 Cor 7, 4.



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