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IL PANE DELL'ANIMA SECONDO CORSO DI MASSIME SCRITTURALI ESPOSTE NELLE SPIEGAZIONI EVANGELICHE <Evangelio della> domenica di Settuagesima Una serpe divoratrice |
di Settuagesima
Una serpe divoratrice
1. [97]Il divin Salvatore in un eccesso di amore si rivolse un giorno a' suoi discepoli, e per mezzo di essi a tutti noi e ci disse: "Quando abbisognate di qualche favore da me, ponetevi a pregare e dite: Padre nostro che siete nei cieli, sia santificato il nome vostro", con quel che segue. Noi ne profittiamo bene spesso e genuflessi dinanzi a lui diciamo: "Vogliamo essere vostri, o Signore, desideriamo lavorare per voi a
- 453 -gara... dateci l'aiuto vostro e il da vivere in ogni dì, sì per l'anima che per il corpo". Discorso giustissimo!
Ma intanto, ah come spesso smentiamo con l'opera e con l'affetto quello che diciamo con le parole! Perché se un fratello più che noi fa fortuna per il corpo, subito ce ne doliamo. Se un fratello più che noi ha intelligenza di mente e forza di volontà, subito ce ne attristiamo. Son dunque così infermi gli uomini? Lo sono così, lo sono così. Già a' suoi tempi diceva il divin Salvatore <che> il regno de' cieli [98]è simile ad uomo il quale esce di buon mattino e poi ad ora terza e poi ad ora sesta e ad ora nona. Finalmente esce anche all'undecima ora e quanti trova operai, tutti manda <a> lavorare nella sua vigna. E calata la sera dona a tutti la mercede che ebbe pattuita coi primi. Questi se ne dolgono. Ma Gesù: "A voi -- disse -- non diedi ciò che fu l'accordo? Dunque io non sono padrone di dare ad altri quel che mi aggrada del fatto mio?"51.
Pazza invidia, che ancora non sei morta dopo più che mille anni che il divin Salvatore ti ha condannata! Vive ancora la stolta nel cuore degli uomini e divora nel loro mezzo, quasi vipera che rode le viscere per uscire di carcere. Stoltissima invidia, tu che a guisa di un nido di vipere spargi intorno la bava del tuo veleno, noi ti riproviamo. Ce ne avvisa l'apostolo san Giacomo: "Dove è lo zelo amaro e la contesa, ivi è l'incostanza ed ogni prava opera"52.
2. Scorgiamo quella serpe venefica che è l'invidia. Viveva a Roma la scuola accreditata degli artisti, protetta dai pontefici sommi. [99]Fiorivano in quella scuola due ingegni maschi, il Michelangelo Buonar<r>oti e Raffael<l>o d'Urbino. Il Raffaello con la scuola sua non poco invidiavano il Michelangelo. Sforzavasi per nascondere la propria inquietudine, ma non si può a lungo tenere ascosa una vipera che si nutre in seno! Per questo l'urbinate talvolta usciva in motti di disapprovazione,
- 454 -tal altra ridevasi dei lavori del celebre artista e non tardò ad uscire in aperto conflitto di parole.
Parve più prudente il Michelangelo, ma intanto provvide a far cosa che confuse tutti gli avversari. Scolpì dunque la statua di Bacco in sollazzo con un satiro. Le troncò il braccio destro e poi insudiciatala la seppellì in certo luogo dove sapeva che in breve avrebbero escavato per fabbricarvi. Fu dunque ritrovata la statua e portatala dinanzi ai maestri sommi, gli avversari del Buonar<r>oti, questi ben tosto presero a lodarne il pregio di antichità e levarne al cielo il merito del lavoro. Allora Michelangelo tolse fuori il braccio troncato, mostrò nel piano della base il suo nome che vi era nascosto e disse: "Mi piace che una parola di encomio l'abbiate serbata anche per un lavoro mio". [100]Tristissima malizia, la quale è cattiva per cagionare malanno per sé e danno per altrui senza verun prò!
3. Osservateli gli invidiosi. Camminano in atteggiamento di cani che non abbaiano, ma perché sono rabbiosi e aspettano di mordere senza che l'uom s'avveda. I fratelli di Giuseppe oh come con rabbia invidiavano a quel loro fratello! Ma dissimulavano finché, venuta l'occasione, gettaronlo in una cisterna e poi per pietà di Ruben lo vendettero ai mercatanti di Egitto. Gli invidiosi altra volta appariscono a modo di quei cenciosi infinti, i quali si coprono con l'ammanto di indigenza e di bontà per cavare un'elemosina pingue per sé.
Quando il divin Salvatore era nella casa del fariseo, la Maddalena genuflessa implorava il perdon delle proprie colpe da Gesù e intanto gli versava a' piedi un unguento assai prezioso. Giuda che era presente sentivasi spezzare il cuore. Dopo un momento rompe il silenzio ed esce a dire: "Pazzia, pazzia! Un unguento così prezioso! Potevasi vendere e ricavarne trecento denari per dare ai poverelli". Pietosissimo Giuda! Per trenta denari [101]allo indomani vendé il suo divin Salvatore e in questo momento si mostra premuroso per gli indigenti meschini. Voleva, l'ingordo, tutto quel valore per sé. Così gli invidiosi sanno infingersi con lodare alcuno con un discorso a fine di denigrarlo con più altri. Così si ha che fece quel lupaccio, il quale si finse amorevole con la pecorina, ma per ingoiarsela in due bocconi. Esaminiamo il cuor nostro, o fratelli,
- 455 -e se troviamo che entro vi si annidi il capo di una serpe iniqua, strappiamola con violenza per non morire.
4. Sono delle serpi maligne chiamate aspidi le quali, vedute, fanno perdere il senso del vedere e <si> adoperano perché il corpo s'addormenti per essere da quelle morsicato con agio. Tristissima invidia, la quale mentre oscura l'intelletto indura il cuore per la vita del bene e lo rende atto ad ogni opera cattiva.
La più trista invidia che si manifestò nel mondo fu quella di Satanasso. Il Lucifero in scorgere che Adamo ed Eva, cavati dal fango, erano destinati a prendere in cielo il posto di lui e dei compagni perduto, rodevasi di rabbia e tanto si adoperò finché tradusse i nostri primogenitori [102]in quello abisso di mali che peggiore non avrebbe potuto. Per la invidia di vedere un fratello migliore di sé, Caino uccide l'innocente fratello. E Saulle che non avrebbe dovuto a Davide, che gli aveva salvato il trono e la vita? Pure, sentendo che il popolo dopo la morte del Golia sclamava: "Saulle ne uccise mille e Davide diecimila!", tosto pensò fra sé: "Che gli manca ancora perché Davide sia eguale al re? Non gli rimane che il soglio". E in dirlo cocevagli tanto l'animo che finalmente più volte e in più modi tramò alla vita dell'innocente Davide.
Se voi trovate una serpe in tempo di crudo verno, intirizzita dal freddo, e che per compassione la riscaldiate nel vostro seno, essa vi morde spietatamente e vi fa morire. Tristissima invidia, la quale non risparmia nemmeno i propri benefattori, benché insigni. Filippo re di Macedonia ed il figlio Alessandro il Grande si sdegnavano, sapete quando? Indignavansi tutte le volte che scorgevano avere un capitano loro ottenute vittorie eguali alle proprie nella sconfitta dei comuni avversari.
5. Sciocchi, sciocchi! Gli invidiosi nemmeno più conoscono il proprio bene. Se [103]sono cristiani, abborrono il bene del corpo, odiano il bene dell'anima propria. L'invidia, che è? Proprio proprio è somigliante a quelle malattie che covano la putredine nell'interno, presso alle ossa. Difficile è curare siffatte malattie, ma è ancor possibile con l'aiuto di medico valente e con esser disposto a molto sacrificio di patimenti.
- 456 - Se noi scorgiamo di avere indosso nelle viscere veleno così esiziale, scacciamolo. I mezzi sono molteplici. Anzitutto giova considerare l'orror del male. Quando una piaga si bada che è fetidissima, la si abborre di cuore. L'invidia, quando è giunta al colmo di malizia, è un peccato contro lo Spirito Santo. Che fetidissima piaga è dessa mai!... Poi facciamoci a curarla con raccomandarci a Dio e con usarle quell'altre cure che meglio si addicono: pensar bene e di cuore delle persone verso alle quali ci sentiamo tentati di invidia; parlarne in bene ogni volta che ne viene occasione; finalmente esibire loro53 tutti quei buoni tratti di affetto e di buon servigio. Questo è quanto vale a curare una piaga così suicida e così pericolosa come in sé è la invidia. Facciamo prò di questo che abbiamo inteso e avremo reso [104]a noi l'importante cura d'aver liberato il cuore nostro da una serpe ingegnosissima per dar morte a noi, sottilissima per cagionarla a più altri.
1. L'invidia è serpe pestifera. Chi il crederebbe che in una famiglia di cristiani vi si dovesse annidare?
2. Ma si insinua, benché sulle prime cerchi <di> starsi nascosa. 3. Intanto accieca l'intelletto.
5. Produce malattia di cancrena che guarirla tuttavia è malagevole impresa, benché sia ancor possibile.