Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Il pane dell'anima (II corso)
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IL PANE DELL'ANIMA SECONDO CORSO DI MASSIME SCRITTURALI ESPOSTE NELLE SPIEGAZIONI EVANGELICHE

Evangelio della domenica terza di Quaresima Gli schiavi nel Cristianesimo

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Evangelio della domenica terza

di Quaresima

Gli schiavi nel Cristianesimo

  1. [134]Si fanno tanti sforzi dagli uomini per acquistare aura di libertà, e si avviluppano sempre più fra le catene della schiavitù. Sembra ciò impossibile, ma è vero. Libero è l'uomo quando è giunto a scacciare da sé l'ignoranza dei pregiudizii, libero è quando sia giunto a sciogliere il proprio cuore dal legame di tante ree passioni. Però attendono a questo lavoro gli uomini amanti della libertà? Pensatelo: non fanno che leggere principii contrarii alla verità, non usano ascoltare altre massime che quelle che conducono al pervertimento dei costumi. Per questo si fanno schiavi dell'errore nella mente, si

- 474 -fanno schiavi del vizio nel cuore. Ascoltiamo ciò che ne insegna l'odierno Evangelo.

  Gesù Cristo era venuto <a> dissipare gli errori della schiavitù di mente. Operava miracoli, spiegava una dottrina celeste. In questo momento guarisce un meschinello muto e ossesso dal demonio. Non operò [135]forse un prodigio di potenza e di misericordia divina? Ma gli altri sus<s>urravano che in ciò si faceva aiutare da Belzebù, principe dei demoni. Quale infamia! Nondimeno il divin Salvatore con pazienza invitta si faceva a ribattere le stolte asserzioni. Prendeva ad ammonire contro agli sforzi iniqui che il demonio fa per rovinare gli uomini, ed a guardarsene. Ma non sappiamo se quelli si ravvedessero punto. Una donna si trovò fra la turba di gente. Questa, di mente retta, di cuore virtuoso, uscì in accenti di lode verso al Salvatore e disse: "Beato il seno che vi ha portato e il petto che vi ha allattato!". E Gesù di risposta: "Anzi beati quelli che ascoltano la parola di Dio e che la custodiscono"63.

  Abbiamo innanzi un'anima immune dalla colpa di errore e del vizio, epperciò libera. Abbiamo più altri allacciati dalla iniquità di errore e dal vizio del peccato, epperciò allacciati da più catene di schiavitù. Eccoli ancora oggidì gli schiavi nel Cristianesimo. Tutti quelli che fanno il peccato, sono schiavi del peccato64. Ce ne avverte l'apostolo san Giovanni. E noi attendiamo a considerare l'obbrobrio di questa servitù, [136]perché invero la schiavitù del peccato è schiavitù quanto vile altrettanto dannosa.

  2. Per intendere il giogo iniquo di una schiavitù ignominiosa, poniamo attenzione ad un fatto non raro <ad> accadere sotto ai nostri occhi. Abbiamo due fratelli i quali attendono alla mercatura, ma l'uno è intelligente, solerte e schivo di ogni compagnia e vizio reo. Questo esce di buon mattino, dirige i suoi negozi, tratta con politezza con le persone, è onorato per il suo contegno giusto ed è caro a tutti per tutte quelle doti

- 475 -di onestà e di civile tratto che sono proprie di un valentuomo garbato, di un cristiano esemplare.

  Tutt'altri è il fratello. Questi attende come il primo al negoziare, ma al mattino non ha mai incominciamento da levarsi, perché di sera raro è che non si corichi ben cotto dal vino. Ha perduto la memoria delle cose, epperciò vien meno alla parola data. Dimora volontieri a tutte le osterie e dissipa le sue entrate. Pone il piè perfino nei postriboli e perde il suo onore. Non vuol mai por freno alla sua lingua troppo mordente e intanto si accatta molte brighe. Scorgetelo alla via od alla piazza, alla casa propria od a [137]quella d'altri: egli è un miserabile che non sa che si dice, è uno stolto che proferisce discorsi insani, è spesse volte un cattivo, epperciò è una spina fitta negli occhi di tutti. Potete credere che costui possa avanzarsi una fortuna? Anzi, perde affatto quella che per caso già possedeva. Eccolo, eccolo già pezzente che s'addormenta per le vie, istupidito dal vizio, che commette sciocchezze. Eccolo, è un Sansone al quale furono tagliati i capegli: adesso è fatto zimbello a tutti. Ei difendersi non sa, aiutarsi non può.

  Che è il cristiano vizioso? È uno schiavo avvinto da tante catene più obbrobriose, come i vincoli che avvingono lo spirito sono più vili e più pericolosi che quelli che stringono il corpo. Eccolo lo schiavo del peccato. È vero ciò che ne scrive san Giovanni: "Ognuno che fa il peccato è servo del peccato".

  3. Valeriano era già imperatore glorioso di Roma. Egli reputavasi quasi un dio onnipotente su questa terra. Mosse dunque guerra contro a Sapore, re della Persia, e <questi> già gli appariva innanzi a mo' di vinto e di umiliato. Ma si appose malamente. Valeriano non vinse ma fu disfatto e gli toccò poi servire al vincitore avversario. [138]Allora Sapore teneva come servo Valeriano accanto a sé e quando voleva montare in sella faceva piegare il collo da Valeriano per servirsi di staffa. Ecco che gli costò all'imperator di Roma essere stato vinto dal sovrano di Persia!

  E noi quando ci lasciamo vincere da una passione vile o di superbia o di interesse o di sensualità, ecco che noi la perdiamo- 476 - incontro ad un avversario vile di iniquità e che così ci costituiamo vinti miserabili. E poi ditemi che quei signori del libero pensiero non sono schiavi. E poi ditemi che quei disordinati, i quali a qualsiasi costo di giustizia o di onestà vogliono godere, ditemi che anche questi non sono legati da molte catene. Sono schiavi miserabili, perché sonosi lasciati vincere da tiranni dominatori, i disordinati appetiti.

  4. La schiavitù si fa più obbrobriosa quando uno abbia contratto l'abito della colpa. Fa pietà un soldato che l'ha ceduta una volta all'avversario, ma fa maggior compassione quando la dia vinta molte volte, e più quando la dia vinta senza impugnar l'armi tampoco65. Uh che [139]vile! Veramente che il traditore merita di essere custodito in una carcere ben tetra. E gli abituati alla colpa sono quelli che subito la cedono a Satanasso. Gli abituati alla colpa sono quelli che vili obbediscono d'un tratto a tutte le ree voglie delle passioni. Ah sciagurati, che all'appressarsi del tentatore nemmeno sanno impugnare un'arma di orazione ovvero uno scudo di mortificazione cristiana!

  Il soldato romano Muzio Scevola per giungere a ferire gli inimici della patria, che venivano da Etruria, operò prodigi di valore. Questo gli valse per gettare lo sgomento in tutto l'esercito ed egli intanto si appressò al capitano. Ma pervenuto grondante di sudore e di sangue, il soldato, a vece di ferire a morte il comandante, uccise in fallo l'aiutante. Quando se n'avvide, Muzio si dolse e in segno di alto rincrescimento si tagliò la destra con la sinistra mano dicendo: "Va, che sei indegna ancora di aderire ad un braccio che in dare il colpo ha commessoenorme sbaglio". Un soldato valoroso ecco come resiste, eccolo come si ha fermezza di proposito. Non così gli ignobili, i quali lasciansi vincere da ogni assalto di tentazione. Questi [140]sono i vili schiavi venduti ad ogni tristo demonio di voluttà.

  5. Che cosa ponno i miseri ancora attendersi di bene quaggiù? Hanno perduto tutto e non hanno speranza di possedere- 477 - ancora un neo di utile. Hanno perduto tutto. Figuratevi gli ebrei nella loro capitale Gerusalemme. Erano onorati dai popoli di tutto il mondo. Erano in molto godimento perché nella loro terra scorrevano il latte ed il miele. Prosperavano vieppiù perché avevano la Legge santa, i profeti inspirati, il tempio e la reggia. Ma quando furono trascinati schiavi in Babilonia, allora in un momento perdettero tutto. Perderono il trono, perderono la nazionalità, perderono le case e le sostanze proprie. Sovrat<t>utto toccava loro di gemere con alto guaio, perché il tiranno premeva sempre più con il calcagno sui loro colli ed essi ancora ignoravano se sarebbero stati liberati un .

  Tuttavia schiavi più miserabili assai sono quelli del peccato. Questi han perduto ogni ben dell'anima ed hanno incontrato ogni peggior danno, il rimorso della coscienza e la vista dello inferno che già si spalanca sotto ai loro piedi. [141]Hanno perduto ogni bene del corpo, mentre il peccato è entrato come favilla di incendio a struggere quel poco ben di fortuna che ancora rimaneva. Ed hanno incontrato ogni peggior danno universale, perché il peccato ingenera la morte. Vedeteli gli iniqui servi, come sono già affilati in viso, strutti nella persona, accasciantisi sotto al peso della persona, e camminar curvi anzi tempo, per mettere quandoches<s>ia il piè nella fossa. E poi ditemi che il peccato rende liberi gli uomini. Li fa schiavi miseri.

  Anzi, ha ancor questa differenza misera fra gli schiavi di catena e gli schiavi della colpa. Quei di catena ponno aver legate le mani, ma non il cuore. Ponno ad ogni modo sperare di riuscir liberi un . Ma questi della colpa hanno legato ancora il cuore e sono oppressi sotto al peso degli abiti rei così malamente che peggio non potrebbero. Finché stanno sotto al dominio delle passioni è impossibile che acquistino un passo per la libertà. E poi ditemi che la schiavitù del peccato non è schiavitù dannosissima.

  Paolino da Nola era venuto servo in mano dei barbari. Era vescovo, era giovine, era ben istruito. Ed egli posesi <a> servire [142]con tutta attenzione al suo tiranno. Un servizio così accurato gli meritò trattamenti gentili, finché un bel

- 478 -dissegli il sovrano: "Chi siete voi?". E Paolino: "Sono un vescovo d'Italia". "Ebbene -- soggiunse il re -- ritornate alla patria ed alla sede vostra. Io ve ne libertà". Paolino servo riacquistò dunque mediante un servigio esatto il dono della libertà, ma gli schiavi della colpa quanto più servono, più sono stretti da catene dure, finché ne rimangano infrante le membra, e l'anima che si precipita a dannazione eterna. Guai a noi, guai a noi se amiamo la iniquità! Chi fa il peccato si fa servo del peccato.

Riflessi

  1. Gli schiavi nel Cristianesimo sono i peccatori.

  2. Sono schiavi perché obbediscono agli appetiti sfrenati della sensualità.

  3. Al momento della lotta si lasciano vincere.

  4. Cadono vili per abito, come il soldato che si vinto senza impugnar tampoco l'armi.

  5. Schiavi cosiffatti son poi privi di ogni bene e colmi di molto male.





p. 474
63 Cfr. Lc 11, 14-28.



64 Gv 8, 34.



p. 476
65 Nell'originale: l'armi che è tampoco.



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