Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Da Adamo a Pio IX (II)...
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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II

XXXII. Le luci si spengono; ruina il romano impero

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XXXII.

Le luci si spengono; ruina il romano impero

  <1> [169] Alla morte di sant'Ambrogio, sclamò il capitano Stilicone: “Or cade il romano impero”. Altre luci splendide erano cadute in occidente ed altre pure fiammanti in oriente. Rimaneva la stella di sant'Agostino e questa era vicina omai al suo tramonto. Sì poco dura la vita d'un uomo quaggiù! Sant'Agostino in Africa era facella splendente. I pagani, nel colmo di tante sciagure o di guerre o di calamità che toccavano, dolevansi con dire: “I malanni che opprimono sono castigo d'aver distrutti i simulacri delle divinità”. Ora sant'Agostino incaricò il sacerdote Orosio da Tarragona a disporre un Compendio di storia universale per dimostrare che le guerre sotto ai pagani furono continue, che per 700 anni non si chiuse il tempio di Giano, che in ogni anno per quattro secoli sostennero battaglie micidiali. Nel Cristianesimo le guerre sono meno continue e meno sanguinose.

  Agostino poi nei 22 libri della sua grandiosa opera La città di Dio mostra la vanità d'idolatria e l'origine e il progresso di due città, quella di Dio e quella del mondo. Prova che i pagani stessi in più riprese per riguardo ai cristiani furono risparmiati.

  Nell'Africa i donatisti menavano discordie infinite. Santo Agostino si adopera per adunare i vescovi ad una generale conferenza in Cartagine con la protezione di Marcellino, personaggio illustre inviato dallo imperatore Onorio. I cattolici [170] con ordine e tranquillità entrarono in Cartagine, gli altri in confusione e con clamore. Marcellino dispose che dei numerosi prelati riuniti solo pochi per l'una parte e per l'altra si presentassero in disputa. Parlavano diciotto per ogni lato, ritenendo la procura segnata dagli altri. Un donatista di Zura che non sapeva scrivere fu supplito da altro. Nel territorio di Algeri, occupato dai francesi nel 1838, erano allora 80 vescovi. Due giorni si impiegarono a disporre la conferenza. Si aprì nel giorno terzo e si prolungò fino a notte avanzata. I - 257 -donatisti non recarono che cavilli a sostegno della loro dottrina, e furono da sant'Agostino, da sant'Alipio e dagli altri vittoriosamente confutati. Fu ventilata la causa di Ceciliano, vescovo, dal quale i donatisti pretesero di separarsene. Finalmente non avendo più cosa a soggiungere, Marcellino li condannò al silenzio, a restituire le chiese occupate, a ritornare in grembo a Chiesa santa ovvero a provarne il castigo dell'esiglio. Turbe di donatisti ritornarono alla unità.

  Altri perfidiavano e scusavansi con dire: “Patiremo da martiri”. E Agostino soggiungeva: “Chi fa i martiri è la causa del soffrire”. Riprendevano i donatisti: “Alla fede si viene mercé la persuasione e non a mezzo della violenza”. E rispondeva sant'Agostino: “Gesù Cristo con Saulo non usò i fulmini del cielo?... E san Paolo non si appellò a Roma?... Gli stolti poi si devono anche costringere... e gli indocili riprendere...”. Aggiungevano ancora: “Se noi siamo eretici e bestemmiatori, perché dolendoci ci ricevete ancora in qualità di vescovi?...”. E rispondevano i nostri: “Perché anche Gesù Cristo tosto e nel suo stesso grado ricevé Pietro quando pianse il suo spergiuro”.

  I donatisti contumaci furono castigati. Sant'Agostino e gli altri lessero nelle proprie chiese gli atti [171] della conferenza. Si sapeva che gli scismatici mantenevano fra loro degli scellerati disposti a qualsiasi iniquità. Un Dioscoro, personaggio di alti natali, chiese confidentemente ad Agostino spiegazione di alcune massime della dottrina platonica. Rispose il santo dottore: “I platonici han bisogno di modificare poche cose per giungere al Cristianesimo. Mio caro Dioscoro, la cosa più necessaria è l'umiltà”.

  Nella casa del suo amico Alipio, Agostino aveva scorto santa Albina con molti del suo parentado lasciar Roma, distribuire il proprio ai poveri, donare la libertà ad ottomila schiavi e ritrarsi in Africa per vivere giorni esercitati in opere di zelo e di preghiera con Dio.

  2. In occidente le cose si volgevano in soqquadro sotto la condotta di quattro imperatori deboli: Onorio a Ravenna, Costantino nelle Gallie, Massimo nelle Spagne e Attalo che stava in riserbo. Molti fuggivano in Africa per avervi rifugio, ma il conte Eracliano si eresse ad imperatore e menò stragi di persone - 258 -e di sostanze e muoveva alla volta di Roma per soggiogarla, ma arrestato a Cartagine vi fu ucciso.

  Agostino con immensa carità si dava a soccorrere ed a confortare i languenti. Incontratosi in Demetriade, nobilissima fanciulla e ricchissima di Roma, che con cilizi e digiuni domava il suo corpo, fu lieto Agostino di assistere al voto solenne con cui ella si consacrò in castità a Gesù Cristo. Molte illustri zitelle ne seguirono l'esempio e il nome di Demetriade si rese celebre in oriente ed in occidente.

  In questo stesso tempo san Nilo da prefetto di Costantinopoli si era ritratto monaco piissimo sul Sinai, quando una banda di saraceni assalì lui ed i compagni, dei quali molti furono uccisi e alcuni venduti schiavi. Il figlio di san Nilo doveva essere [172] sacrificato al dio Sole, ma fu provvidenzialmente salvo e ritornò fra le braccia del padre. San Nilo fu poi ordinato sacerdote dal vescovo di Elusio.

  Sant'Agostino fu altresì consolato da scorgere che in Tolemaida il popolo, assalito il filosofo e poeta Sinesio, lo costrinsero ad accettare il vescovado. Teofilo177, vescovo di Alessandria, lo consacrò, benché riluttante sclamasse: “Meschinello me! Un vescovo deve portare tutti i peccati del popol suo... un vescovo dev'esser divino per virtù!...”. Dolevasi poi di dover esercitare il ministero vescovile e l'ufficio del governatore, mentre Dio aveva separati questi due uffici, chiamando sacro l'uno, politico l'altro. Congiungere la podestà civile coll'ufficio sacerdotale è voler tenere insieme due materie di genere differente e quasi incompatibili178. Ma gli rispondevano: “Un popolo che è tiranneggiato, dove riparerà se non in grembo alla protezion del suo vescovo?” Dolevasi parimenti che vescovi vagabondi lasciassero la propria Chiesa per venire in traccia di altre. Quando poi pe' suoi disordini fu obbligato <a> scomunicare certo Andronico, ne provò tal dolore per cui già stava per rinunziare al vescovado stesso.

- 259 -  Teofilo medesimo aveva cooperato ai patimenti di san Giovanni Grisostomo. Sinesio gliene scrisse ma non ne ebbe risposta. Teofilo morì lasciando poi la sede al nipote, che fu san Cirillo. Oreste, governatore, mosse guerra a Cirillo179, né volendo riconciliarsi, ottenne che 500 monaci del monte Nitria scendessero per motivo di pace, ma fu vano. Allora il popolo fu sopra certa Ipazia, filosofessa, che si reputava istigatrice di stolto proposito, e la fecero in brani. Di questa sedizione poco lagno se ne fece, perché gli alessandrini di sovente vi ritornavano.

  In Antiochia moriva il vescovo Porfirio e gli [173] succedeva sant'Alessandro, che noverò nel dittico180 dei santi Giovanni Grisostomo, e ottenne che fosse inscritto da Attico181 stesso a Costantinopoli.

  3. In questa città avveniva intanto cosa mirabile. Una Pulcheria, giovinetta a nove anni, con ricco donativo appendeva alla chiesa il voto di perpetua castità e poi tutta consacravasi all'educazione di Teodosio, il proprio fratellino d'anni 7 che doveva poi reggere l'impero. E ottenne che Teodosio crescesse alle lettere e alla pietà, al valor delle armi come al disimpegno del governo politico. Era piissimo. Non potendo esaudire un mal ardito frate, fu da questi scomunicato e l'imperatore non si diè pace finché, ritrovatolo, si riconciliò.

  A vent'anni ricevé dalla sorella per isposa certa Atenaide, di spirito eccellente, che era venuta da Atene per reclamare contro al testamento del padre, il quale istituì erede universale due figli, escludendone la figlia con questa clausola: “Atenaide perché avvenente e di buono spirito non ha bisogno che le si costituisca dote”. Pulcheria, scortala di animo egregio, invitolla al Battesimo che ricevé di buon animo; di poi fu data in isposa allo imperatore.

  4. Tutte queste cose rallegravano Agostino e la Chiesa in oriente; ma avvennero giorni di prova in una fierissima persecuzione - 260 -contro ai cristiani di Persia. Abda, vescovo nella città capitale, distrusse un tempio pagano sacro al fuoco. Il re volle obbligarlo a rifabbricare il tempio stesso. Ma non poteva prestarsi il vescovo ad erigere un altare a Satana. Per questo ne venne tal persecuzione che molti cristiani n'avevano scorticate le mani, il volto, scorticato il corpo tutto. Spesso venivano chiusi in certe fosse, legati dove erano adunati [174] greggie di ratti perché finissero a mangiare vivi quei miseri.

  Marsapore, principe della Persia, sostenne per tre anni tormenti invitti, finché morì circondato da prodigiosa luce. Ormisda182, di nobilissima famiglia, ripudiava con sdegno gli onori del re. Suene, non meno nobile, rispondeva: “Qual trattamento si conviene al servo che rinnega il padrone suo?...”. E Giacomo sostenne di essere tagliato a pezzi confessando alto il nome di Gesù Cristo. Molti fedeli ricoveravano negli Stati romani, ma Varane pretendeva che gli fossero rimandati. Rispondeva però Teodosio: “Non consegno gli innocenti al tormento”. E Varane movendogli guerra, Teodosio l'incontrò e lo disfece e ritenne settemila prigionieri. Questi pativano di stento, però Acacio vescovo adunò il prezzo dei vasi del tempio e l'offerì pel riscatto di tutti.

  5. Intanto una guerra perniciosa di dottrina disponeva in occidente certo Pelagio, bretone di origine. In confutar questa dottrina molto ebbe a distinguersi sant'Agostino.

  Pelagio si rese monaco laico e compose in Roma un Trattato della Trinità ed una Raccolta dei passi della Scrittura intorno alla morale, quando un Rufino, siro, recò certi principii di Origene che molto piacquero a Pelagio e li comunicò a Celestio. Insegnava Pelagio che non era distanza tra l'uomo e Dio nel paradiso terrestre, nel senso che la grazia era naturale ad Adamo. Aggiungeva essere eguale lo stato della legge di Mosè a quello del Vangelo e trovossi in ogni tempo uomini impeccabili, e i bambini non ereditare il peccato del primogenitore, e simili errori perniciosissimi, intorno ai quali ebbe a faticar tanto Agostino in contrap<p>orgli i libri Del merito e - 261 -della remission dei peccati. Ma Pelagio, che prima di darsi a intendere diffuse sottilmente l'error suo, ottenne poi che gli aderisse [175]Giovanni nella sede di Gerusalemme.

  Scrisse a sant'Agostino stesso per indurlo nell'errore ed alla vergine Demetriade. Agostino senza nominar Pelagio ne confutò l'eresia in altro trattato Della natura e della grazia. San Girolamo levò pur alta la voce, chiamando la novella dottrina superba al pari di Lucifero, e aiutò perché in Gerusalemme si adunasse una conferenza. Pelagio insultava Agostino e Orosio dolevasene, ma Giovanni soggiungeva: “Prendo io stesso la persona di Agostino”. Al quale replicò Orosio: “Se tu assumi il personaggio di Agostino, seguine dunque ancora le opinioni”.

  I pelagiani s'ebbero la peggio; i cristiani intanto vennero a muover festa nel luogo di Cafargamala, a 20 miglia da Gerusalemme, dove erasi scoperto il corpo di santo Stefano. La figura d'un eletto, Gamaliele, apparve ad un santo prete Luciano per mostrargli il sepolcro del protomartire. Era il 26 dicembre dell'anno 415. Nella moltitudine accorsa erano 73 infermi e questi furono guariti. Cinquecento quaranta giudei a vista di tanti prodigi convertironsi, e trassero <da> lungi le genti per ossequiare le reliquie del loro illustre protomartire. Santo Agostino nel suo libro Della città di Dio descrive di tre morti risuscitati e di due figli che, imprecati dalla madre, erano guariti da paralisi in tutto il corpo dopo avere in chiesa nelle ore delle sacre funzioni invocato l'aiuto di santo Stefano.

  Ma partiti da questa festa, i cristiani incontrarono minaccie e persecuzioni dagli eretici. San Girolamo n'ebbe assai e ricevé conforto dal papa sant'Innocenzo. Girolamo, benché d'indole veemente, suona tal nome che assai più vale di ogni elogio. Morì e fu sepolto nel suo monastero di Betlemme addì 30 settembre 420.

  Due concili, di Cartagine e di Milevi, avevan condannati i pelagiani. Ora nel 416 Giulio, vescovo [176] africano, ne recava le lettere sinodali a Roma al santo pontefice Innocenzo, che presto fu rapito ai vivi. Gli succedette Zosimo, di fermo proposito per richiamare la disciplina, ed alla morte di Zosimo in Roma si divisero in frazioni per Eulalio e per Bonifazio, finché - 262 -l'imperatore Onorio, ritrattando più che un decreto suo, fu obbligato a favorire le ragioni giuste di Bonifacio, personaggio di merito nello esercizio di studio e di umiltà.

  Lume di splendore alla Chiesa africana era la persona di Agostino, ma or disponevasi a partirsene. Aveva difesa l'esistenza del peccato originale e quella del libero arbitrio. Nella veemenza dello scrivere diede in qualche inesattezza che in ultimo attese a correggere in apposito libro. Il cardinale Mai nella sua Nuova biblioteca dei santi Padri discoprì dugento discorsi fino allora inediti di sant'Agostino. Son di vari argomenti intorno al Santissimo Sacramento ed alla b<eata> Vergine.

  Girolamo era morto a 91 anni, e Agostino non toccava che i 70, ma era sfinito. In Fussala erano discordie per l'elezion del vescovo. Agostino vi aveva deputato certo Antonio, che tosto si rese tiranno e fu uopo che il pontefice lo rimovesse e gli levasse l'esercizio della giurisdizione. Di questo come di colpa accoravasene Agostino e chiedeane umile perdono a tutti. Assunse in riparazione di governare ancor la Chiesa di Fussala, designò per suo successore il prete Eraclio183 e chiese con molta istanza al popolo che per cinque giorni nella settimana lo dispensassero da ricevere le udienze per attendere a' suoi lavori Della correzione e della grazia e Della predestinazione dei santi, non che Del dono della perseveranza.

  Agostino volgevasi a Bonifacio, il conte che governava l'Africa, e rallegravasi con lui. Intimo ad Ezio, il generalissimo dello esercito di Valentiniano, personaggio castissimo di costumi, molto [177] lasciava promettere allo Stato ed alla religione. Bonifazio voleva abdicare per ritirarsi in un monastero e Agostino ne lo dissuase. Quando, venuto come ambasciatore al re dei vandali in Ispagna, si invaghì di una figlia parente del re, era legato da voto di continenza. Bonifazio nondimeno si sposò a lei e venne in Africa, dove Placidia la regina gli ottenne promozioni di grado. Ciò spiacque ad Ezio, il quale per gelosia rappresentò che Bonifazio macchinava per farsi re d'Africa e poi padrone dell'impero. Il re, temendone, gli tolse il - 263 -comando e, non arrendendosi egli, fu dichiarato ribelle e gli furono inviati incontro tre eserciti che Bonifazio rapidamente sbaragliò, finché venne a patti con il re dei vandali. Questi erano pronti a discendere quando il re, scoperta la mala passione di Ezio, restituì Bonifazio nel grado primiero. Ma poco valse. I vandali, che già erano schierati in ordine di battaglia sospesero, ma non lasciarono di attentare ai danni delle regioni africane. In questo avvenimento prossima è segnata la caduta del romano impero in Africa e in oriente, come già Alarico avevala minacciata a Roma e nell'occidente.

  6. A Costantinopoli nel 398 si fe' udire un mugolio profondo. Improvvisamente la terra si sfascia, escono fiamme, il mare sollevasi ad innondare Costantinopoli e Calcedonia. Allora si vide lo spettacolo di due città che ardevano in mezzo alle acque. Le sciagure furono gravissime, i guasti quasi irreparabili. Tremuoti e disastri scossero Alessandria e Antiochia pure e più altre città dall'oriente, sicché al tutto pareva il mondo andare in sobbisso. Ad accrescere il terrore i nemici ed i barbari innondavano da ogni parte. I persiani minacciavano <di> farla finita col romano [178] impero e movevano schiere formidabili. In Africa i barbari ariani chiudevano le chiese, uccidevano i vescovi, incendiavano città. Ippona stessa e Cartagine caddero miseramente.

  7. In occidente i mali non erano meno gravi. Stilicone, barbaro, mirava ad essere imperatore scacciandone il debole Onorio. Ma più che Stilicone, Alarico, generale in capo delle truppe imperiali nell'Illirio, diceva: “Io mi sento una voce che mi ripete di continuo: Affretta verso Roma, saccheggia quella città... Roma è la città in ira al cielo”. E venne passando per la Gallia e convertendola in un vastissimo cimitero. I vescovi santi, Nicasio, Desiderio, Antidio offerivansi vittima a Dio per placare lo sdegno celeste. Il vescovo sant'Esuperio poté salvare la sua Tolosa, Marsiglia184 fu distrutta. Questo nugolo di barbari minacciavano pur l'impero nella Bretagna, onde quei popoli furono costretti <ad> eleggersi un re proprio.

- 264 -  Stilicone rodeva il cuor dell'Italia, finché convinto di tradimento fu appiccato in Ravenna. E il debole imperatore Onorio errava ramingo da Milano a Ravenna ed a Roma. Alarico percorse l'Italia, entrò in Roma. Vi trovò una fame che desolava con crudezza, una peste che infieriva spaventosamente. Alarico fattosi nel mezzo della città comandò: “Orsù, datemi cinquemila libbre d'oro, o la città sarà abbandonata al saccheggio”. I romani raccolsero il meglio dei tesori o pub<b>lici o privati. Fu venduta la statua del Valore che omai s'era partito dal petto dei romani.

  Dopo che a Roma, i barbari si rovesciarono sulla Spagna menandovi guasti eguali. Sovrat<t>utto accrebbero i mali, la peste e la fame che vi dominava<no>. Fu vista una madre che, l'un dopo l'altro squartati [179]tre figlioletti propri per mangiarne le carni, volgeva la mano a sacrificare ancora l'ultimo che le rimaneva. Il popolo fremente coprì di sassi la snaturata genitrice.

  Alarico progrediva in devastare i campi, in uccidere le persone. Il sangue scorreva a rivi pei campi. Ma si scorsero atti di virtù che alfine commosse quei feroci distruttori. Vescovi e sacerdoti accompagnati da cristiani intrepidi seguivano dappertutto dove erano fratelli a soccorrere. Domandò Alarico: “Questi non temono lo squarcio dei nostri ferri?” Risposero i vescovi: “Noi avressimo potuto scampare fuggendo, ma con qual cuore avremmo abbandonato tanti miseri? Scegliamo <di> morire coi fratelli nostri”. “Ebbene -- rispose Alarico -- i miei soldati ristoreranno il danno delle campagne manomesse; richiamate i fuggitivi alle loro terre, noi abiteremo soli nella regione dell'Andalusia”.

  L'imperatore Onorio per due volte venne meno alle condizioni firmate con Alarico e per due volte ancora vide Alarico ritornare alla città e darla al saccheggio. Disonorò persone, incendiò palagi, distrusse tempii. Lasciò due soli asili: il tempio di san Pietro e di san Paolo erano ricovero sicuro. In una chiesa fu trovata una vergine sacra che sciolta in lagrime custodiva un tesoro prezioso. “Che è questo?”, le fu domandato. Ed ella: “Sono i vasi sacri del tempio; toccateli, se vi basta il cuore”. I soldati ammirando tanto coraggio invitarono - 265 -la giovinetta a seguirli con il vasellame sacro e l'accompagnarono in trionfo al tempio di san Pietro. Due altre vergini furon trovate al monte Aventino, Marcella e Principia, che si struggevano presso gli altari santi. “Che fate voi qui?”, le domandarono. E quelle: “Morire per non essere profanate”. I soldati si provarono a scalfire col ferro i loro [180] colli minacciando <di> troncarne i capi. Le trovarono imperterrite. Meravigliati, le accompagnarono pure in trionfo ai tempii destinati al rifugio degl'innocenti.

  Alarico trasse seco una moltitudine dei schiavi e non risparmiò nemmeno Placidia, la sorella di Onorio. In passare saccheggiò Nola, distrusse Reggio. Andava all'isola di Sicilia, quando improvvisamente lo colse un male che lo rese cadavere. Era alla riva di un fiumicello. I suoi deviarono il corso a quelle acque e aperta una fossa nel letto asciutto vi seppellirono Alarico e richiamarono poi le onde a scorrervi sopra. Alcuni schiavi che videro il luogo del seppellimento furono uccisi perché non rivellassero la morte del formidabile condottiero. Un altro figlio dei barbari, Odoacre, si dispone a prendere il posto di Alarico e, disfatto intieramente l'impero romano, <a> denominarsi poi re d'Italia.

  L'impero romano scompare e nell'oriente e nell'occidente. Sola e civilizzatrice vera dei popoli rimane la Chiesa. Questa, che è la sposa immacolata di Gesù Cristo, vive, comanda e regna in perpetuo su questa terra, in eterno nel cielo.

Riflessi

1. Ultime fatiche di sant'Agostino. Conferenza contro ai donatisti.

2. Sotto i fiacchi imperatori Onorio, Costantino, Massimo e Attalo185 rovina omai l'impero. Santa Demetriade, san Sinesio.

- 266 -3. In Costantinopoli la giovinetta Pulcheria educa Teodosio per l'impero.

4. Persecuzioni contro ai cristiani di Persia.

5. Errori di Pelagio confutati da sant'Agostino. Avventure d'un capitano Bonifazio.

6. Rovinosi disastri a Costantinopoli.

7. Alarico più volte saccheggia Roma. Ruina omai l'impero in occidente ed in oriente.





p. 258
177 Originale: Timoteo; cfr. Rohrbacher IV, p. 380.



178 L'A. intendeva espungere dal testo la frase Coniungere la podestà [...] quasi incompatibili; cfr. Errata corrige.



p. 259
179 Originale: Oresto, governatore, mosse guerra a Sinesio; cfr. Rohrbacher IV, p. 384.



180 Originale: distico; cfr. Rohrbacher IV, p. 385.



181 Originale: Attino; cfr. Rohrbacher IV, p. 386.



p. 260
182 Originale: Ormisia; cfr. Rohrbacher IV, p. 391.



p. 262
183 Originale: Eralio; cfr. Rohrbacher IV, p. 453.



p. 263
184 Originale: Maniglia; cfr. Rohrbacher IV, p. 343.



p. 265
185 Originale: Abtalo; cfr. Rohrbacher IV, p. 375.



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