IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II XXXIV. Palma di trionfo |
1. [189] San Giovanni vide in cielo gli intrepidi che recavano in mano palme di trionfo. Vide Giovanni e rallegrossi vivamente nell'animo. Noi meschini ci confortiamo in sentire delle glorie di nostra madre Chiesa benedetta e dei trionfi dei fratelli nostri. Le palme di trionfo si acquistano in combattere forti contro gli avversari.
<2.> Altri ministri di Satana con i quali dovette lottare la Chiesa furono Pelagio, Celestio, che bestemmiavano non aver - 273 -l'uomo bisogno della grazia di Dio per giungere a salvezza. Il mondo cristiano inorridì novellamente. Pelagio e Celestio nascondevano il veleno di lor dottrine nello inviluppo di eloquio copioso.
I fatalisti guidati più tardi da Godescalco e gli eretici capitanati193 poi da Viclefo, da Giovanni Hus, da Lutero, da Giansenio, ricopiarono gli errori di Pelagio e di Celestio. Questi accreditavano loro dottrina falsando i libri di Origene e di Tertulliano e interpretando a capriccio la Scrittura e i Padri santi.
<3.> Contro tale invasione sorse Vincenzo di Lerino col suo Commonitorio sclamando: “Non credete a chi vi insegna cose nuove; guardate alla Scrittura, consultate i Padri, credete alla maggioranza, e in ispecie al più dei pii e sapienti; guardate alla fede di Pietro”.
Prudenzio scrisse tosto Della divinità, Dell'origine del peccato, Del combattimento dello spirito. Prospero dettò il poema Degli ingrati e Della predestinazione194.
[190] Mentre questi colla penna, altri scongiuravano il nemico coll'arma della preghiera.
Giacomo in oriente, discepolo di san Marone195 e maestro di Teodoreto, si cingeva di cilizii e passava suoi giorni sotto una capanna di paglia. San Baradato si allogò <in> una capanna di cilizii e poi <in> una gabbia entro cui giaceva rannicchiato. Quando poi gli comandarono di uscirne, si coprì tutta la persona con pelle d'animale, allo infuori delle labbra e delle nari che lasciò libere per respirare. Dimorava poi ginocchione, con le mani e con la testa erette all'alto. Interrogato rispondeva a tutte le domande con sapienza prodigiosa.
4. San Simeone di Cilicia udì le parole evangeliche: “Beati quelli che piangono... Beati i mondi di cuore...” e vi - 274 -attese per conseguirne felicità. Sentissi dire in visione: “Scava profonde le fondamenta della perfezione”. Ricevuto nel monastero di sant'Eliodoro, ne fu cacciato, perché non contento di mangiare una sol volta la settimana, si era stretto intorno una corda di palma e fatto infracidire la persona. Simeone venne al monte Telanissa e cominciò un digiuno di quaranta dì, che poi per più volte in ogni anno continuò finché visse. Facevasi disporre dieci pani e un vaso d'acqua, ma non ne assaggiava punto. La prima parte dei quaranta dì passavali ginocchione, la seconda in sedere, la terza in prostrarsi semivivo al suolo. Al quarantesimo giorno l'abate Basso accostavasi a bagnargli le labbra con aceto e poi porgevagli il Santissimo Sacramento. San Simeone si riaveva e allora chiudevasi in altra caverna, facendosi legare con catena lunga venti cubiti infissa nel masso.
Infermi e paralitici gli si accostavano ed egli guarivali. I popoli dall'Asia e dall'Europa traevano a lui ed egli, temendo di invanirsene, si involava sopra colonne che faceva erigere fino all'altezza [191] di 40 cubiti. Simeone a cielo scoperto dimorava là sul vertice in un pianerottolo di tre piedi di diametro chiuso con balaustrata. Quella colonna diveniva l'asilo di tutti i perseguitati. Popoli di oppressi venivano a supplicarlo e Simeone volgendosi ai tiranni con la potenza della sua parola convertivali. La semplice vista di quest'uomo ammirabile commoveva i cuori più duri. Eretici ariani o pelagiani, pubblici peccatori, scandalosi o vendicativi, ai piedi della colonna di Simeone gridavano misericordia e si abbracciavano per ottenere misericordia da Dio e dagli uomini. Il nome di Simeone si invocava ancor da lungi, la sua im<m>agine si affiggeva con rispetto sull'abituro dei contadini e degli operai. Quando venne a morte, un popolo di gente assisteva. Nei funerali trassero sì gran numero di vescovi e di principi, che al tutto parvero da Dio inspirati in affollarvisi. Seguivano a turbe le turbe dei monaci venuti da tutto l'Egitto e dalla Siria. Si incamminarono per molte miglia di viaggio finché, entrati in Antiochia, la salma di Simeone rinnovò miracoli maggiori di quelli <che> operò già in vita.
Teodoreto in Antiochia ne era testimonio oculare, e dall'aver - 275 -conversato con Simeone stilita molto traeva della sua austerità. Egli stesso ne scrisse in tre libri la vita.
Moriva anche san Cirillo dopo 32 anni di arcivescovado in Alessandria. Lasciò trattati Della Trinità, Della Incarnazione, Della fede. Lasciò lettere ed omelie, libri cinque contro Nestorio e dieci contro Giuliano. Contemporaneo a san Cirillo era sant'Isidoro, che lasciò molta copia di lettere piene di prudenza e di saggezza cristiana.
5. Sventuratamente a san Cirillo in Alessandria succedé Dioscoro, un lupo sotto forma di agnello, [192] che fino ad oggidì lasciò il mal fomite di disordini, di rovine disastrosissime.
In aiuto alla fede venne Eutiche, monaco di Costantinopoli, che scrivendo al pontefice dolevasi con dire: “Dappertutto invade il nestorianismo”. Ma egli medesimo cadde nell'errore opposto e pose fondamenta di altra eresia protestando che in Gesù Cristo è bensì una persona sola, ma anche una natura sola. Citato in concilio, Eutiche si mostrò ignorante, caparbio, insolente perfino. Pareva confessar la verità ma facevalo forzatamente, onde il sinodo pronunciò: “La fede forzata non è fede”. Eutiche fu condannato e con lui il monastero suo che per nove mesi mostrò ostinatezza, lasciando perfino che alcuni morissero annodati dalle censure.
Era pontefice sommo san Leone e in Roma otteneva autorità il vescovo san Pietro Grisologo. Eutiche fingendo ipocrisia scrisse all'uno e all'altro. Ma il vescovo san Flaviano, che aveva presieduto il concilio, espose lo stato delle cose a san Leone, all'imperator Teodosio, benché quest'ultimo, fiacco196, lasciasse poi cader l'impero in isfacelo.
Gli eretici son condannati, ma Dioscoro con vani pretesti condanna san Flaviano, che poi è costretto <a> difendersi nel concilio d'Efeso. Però Dioscoro vi venne con clamoroso accompagnamento di trombe e di soldati. Si impose al concilio, minacciò, né potendo trarre al suo partito Flaviano, maltrattollo sacrilegamente finché il santo vescovo spirò. Altri vescovi - 276 -furono pur esigliati. Alcuni poi che invero mostraronsi soverchiamente timidi ritornarono alle loro sedi. In più circostanze Flaviano si trovò quasi solo in sostener le ragioni della verità. Questa adunanza di Efeso fu poi chiamata latrocinio efesino.
San Leone scrisse all'imperator Teodosio come ad una donna, tanto quel sovrano erasi mostrato [193] dappoco, ed a Pulcheria imperatrice scrisse come ad un uomo, perché nel fatto mostrava cuor virile e reale intrepidezza. Venuti a Roma, il pontefice li accolse con maniere urbane, ma non mai adulatorie197. L'eunuco Crisafio, perfido e infinto ministro, guidava le sorti dell'impero quando, nel 450 Teodosio morendo in cader da cavallo, l'imperatrice fecelo appiccare.
Il pontefice san Leone inviò con altri Abondio, il santo vescovo di Como, ambasciatore a Costantinopoli, e ottenne che le cose della fede fossero rassodate, che gli eretici venissero condannati, che i vescovi innocenti fossero di subito ricondotti alle loro sedi.
Ma non cessando Dioscoro di tumultuare, fu adunato un concilio a Calcedonia, dove comparve lo stesso imperator Marciano, succeduto a Teodosio. Dioscoro, come è costume degli eretici, rifiutò di presentarsi, onde si elevò un grido unanime: “Anatema a Dioscoro! Anatema ai nemici di Flaviano”.
Dioscoro cacciato dalla sua sede, fu mandato in esiglio nella Paflagonia dove morì miseramente nel 454. Infelicemente pur spirava testé Nestorio con la lingua corrosa dai vermi.
Al Concilio di Calcedonia assistevano in parte i vescovi di Egitto. Questi per antica consuetudine solevano recar le decisioni dei concilii per mezzo dello arcivescovo di Alessandria, che in questo momento era condannato. Quei prelati egiziani allora piangendo sclamavano: “Createci un arcivescovo nuovo; rechi poi esso le risoluzioni del concilio, perché se ci recheremo soli, certamente ci ammazzeranno”. Il concilio ponderò attentamente e trovò di doverli accontentare.
- 277 - In questo concilio si vollero accordare ad Anatolio, vescovo di Costantinopoli, alcune prerogative, [194] ma il pontefice san Leone scrisse a Marciano che Anatolio dovesse confermarsi in sensi di maggior umiltà, che già molto aveva accondisceso in confermarlo vescovo di quella illustre metropoli. Con simile criterio scrisse pure allo stesso Anatolio.
6. Altra lotta si disponeva nella Persia. Il re Izdegerde ii si impose agli armeni dicendo: “Adorate Zoroastro a vece di Gesù Cristo; mandatemi poi i primati di vostra nazione a riferire, o voi morrete tutti”.
Il patriarca Giuseppe198 adunò tosto diciassette vescovi della sua giurisdizione, fedeli seguaci dei santi patriarchi Sahag e Mesrob, e con quelli giurò che sarebbe stato fedele a Gesù Cristo fino alla morte. Mandò pure gli ottimati, guidati da Vartano199, perché riferissero ad Izdegerde. Esposero dunque con franchezza le proprie convinzioni, e il re minacciò esterminio all'Armenia. Si trovò allora chi disse: “Per salvare la nazione fingete <di> approvare ciò che vi è proposto”. “Non sia mai ciò”, rispose Vartano. Ma vinto dalle lagrime di tanti, accondiscese e così ritornò coi suoi alla patria.
Quando i fedeli li incontrarono come rinnegati e traditori, Vartano si chiarì tuttavia cattolico e fu fatto generalissimo dell'armata armena, che si difese contro i maghi e contro l'esercito persiano. Se non che un Vasag200, fingendosi cristiano, introdusse i nemici e gli errori pagani nel cuor dell'Armenia. Avvedutisi Vartano e gli altri, giudicarono come novelli Maccabei: “Meglio morire che vedere i mali della patria nostra”. Combatterono disperatamente, e già ottenevano favore non poco, quando in alcuni entrò lo scoraggiamento; questi pochi disordinarono il nerbo dei combattenti. I miseri armeni ebbero perduta la libertà e con questa la fede.
Molti martiri si noverano in questa persecuzione [195]e fra gli altri nobilissimo è il patriarca Giuseppe. Molti, e fra questi - 278 -alcuni conti Mamigonii, sopportarono perfino a dieci anni le prove dei confessori di Cristo, finché furono restituiti alle loro terre.
Di tal guisa la Chiesa impegna le sue lotte e le dirige. E' scritto che le porte d'inferno non prevarranno mai contro di essa201. Quanto la Chiesa soffre, tanto guadagna, e quello che perde in questa regione, quello stesso e in copia maggiore l'acquista nel paese vicino. Ovunque e sempre è la Chiesa di Gesù Cristo che combatte e che trionfa.
1. Le palme di trionfo quanto gloriose.
2. Si ottengono pugnando contro gli avversari. Eretici Pelagio e Celestio.
3. Sorgon difensori i santi Prudenzio, Prospero, Giacomo.
4. San Simeone Stilita prodigio in tutto l'oriente.
5. Eresia di Dioscoro e di Eutiche. San Leone pontefice sommo.
6. Persecuzioni nella Persia; Vartano; il patriarca Giuseppe a capo di martiri illustri.