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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II XXXIX. La filosofia cristiana |
1. [229] Platone, il più istruito e il più retto dei filosofi pagani, disse quanto poté in bene della grandezza di Dio e della virtù a praticarsi dall'uomo. Tomaso d'Aquino, il più sapiente ed il più inspirato dei filosofi cristiani, scrisse egregiamente di Dio e di Gesù Cristo, del Cristianesimo pellegrino in terra ovvero del cristiano beato nel paradiso.
La vera filosofia è quella che congiunge l'uomo con Dio. La filosofia cristiana che intimamente unisce la creatura al suo Creatore, questa è filosofia perfetta. E' la filosofia recata da cielo in terra da Gesù Cristo, filosofo e dottore delle genti. Non dite dunque male giammai delle massime insegnate da Gesù Cristo; non dite male giammai delle pratiche che insinua Gesù Cristo e con esso la sua sposa immacolata, Chiesa santa. Confortiamoci in questo proposito con ripassare un tratto della storia della Chiesa.
2. Benedetto, di nobile casato, nacque circa l'anno 480, in quel di Subiaco. Fu a Roma per studiare, ma inorridendo ai pericoli del mondo ritornò in Subiaco251 e si chiuse in una caverna e per anni tre non vide la luce del sole. Molta gente quando se n'avvide trasse poi a lui, ed egli nascondevasi addentro nella solitudine. Quando il demonio venne a tentarlo rappresentandogli una figura di peccato, Benedetto s'avvolse di subito fra le spine e ne uscì insanguinato.
[230] Accadde altresì che alcuni venissero per dirgli: “Ricevine sotto la tua direzione”. Egli acconsentì, ma parendo a quelli che Benedetto fosse molto severo, si trovò chi tentò - 309 -<di> avvelenarlo, ma il sant'uomo, fatto il segno <della croce>252 sul vaso che gli venne presentato, fecelo infrangere.
Vennero altri, fra' quali san Mauro e san Placido. Benedetto attese con l'aiuto di questi ad adunar uomini da poterne riempire dodici monasteri allo intorno. Il demonio ruggendo di rabbia appariva a Benedetto per ispaventarlo. Accadde perfino che con maligne arti impedisse l'erezione di un monastero. Benedetto allora faceva ricorso con aggiungere il digiuno alla preghiera, alla limosina, e con ciò otteneva vittoria. Non poche volte operava prodigi ammirabili, onde le turbe si affrettavano in folla per ascoltare e vedere.
I monaci sono i veri filosofi. Essi dicono: “Vogliamo ridercene delle ricchezze, dei godimenti e delle superbie della vita, che sono vanità di vanità”. In dirlo si incamminano poi alla sequela dei Consigli di Gesù Cristo.
Benedetto riceveva a tutte le età quelli che si presentavano, dicendo: “Il Signore mi invia egli stesso questi fratelli diletti”. E per accertarsene che tutti fossero da Dio guidati, sottoponevali per un anno di noviziato a diverse prove. I poveri ricevevali con special dilezione, i ricchi poi dovevano anzitutto donare ai poveri del monastero o della città. I più anziani erano chiamati nonni per dirli rispettabili ed erano con speciale affetto ossequiati dai giovani.
Non ricevevano o lettere o doni da veruno. Dovevano poi di tempo in tempo esporre al superiore nettamente i sentimenti del proprio cuore. I disubbidienti separavansi da mensa e dalla preghiera pub<b>lica. [231] Gli incorreggibili si licenziavano. Voleva altresì Benedetto che negli affari di importanza si interrogassero non solo i più anziani, ma anche i più giovani. I monaci erano guidati da un abate che sotto di sé aveva un priore e parecchi decani.
San Benedetto proponevasi di iniziare i suoi alla pratica delle virtù ordinarie. Chi desiderava perfezionarsi ne cercasse le regole nelle Conferenze di Cassiano, nelle Vite dei Padri e nella Regola di san Basilio.
- 310 - Benedetto era ottimo filosofo in esigere che i suoi religiosi non possedessero cosa veruna di proprio; non un libro, nemmeno una veste, perché la robba è sempre motivo di litigio. Causa di litigio sono i godimenti253 e la superbia della vita. Benedetto a prevenire ogni disordine imponeva il castigo corporale con lavoro assiduo al campo, alle arti, alle lettere senza distinzione di grado o di trattamento.
I benedettini da filosofi eccellenti hanno illuminato le menti degli europei e con il sudore delle loro fronti salvatili dalla fame.
3. Sant'Equizio negli Abruzzi teneva dietro a san Benedetto con edificare altri monasteri. Precedeva con tale esempio di povertà che a taluni pareva eccessiva. Ma Equizio e con la parola e con l'esempio predicava e convertiva.
Come san Benedetto e sant'Equizio nella Italia, molti personaggi illustri seguivano nella Gallia il filosofare cristiano. San Remigio con la pratica della povertà e della purezza evangelica convertì alla fede popoli intieri di pagani.
Invitato ad un concilio, tutti i vescovi cattolici levaronsi in piedi al suo arrivo. Un vescovo ariano che in odio alla fede ricusò <di> prestare ossequio divenne mutolo. Riacquistò poi la favella quando, umiliandosi, Remigio ebbe pregato per lui. San Remigio [232]passava alla patria celeste nel 533, lasciando la propria sede al discepolo san Teodorico254 che, nato da un ladrone, fu prevenuto da tanta grazia che giovinetto ancora in passare presso a luoghi di peccato piangeva dirottamente.
Certo Leonardo volgeva la mano a togliere un alveare dall'arnia dell'abate Eusichio. Questi se n'avvide e tacque.
Quando poi scorse che Leonardo s'accostava per sottrarne una seconda, gridogli con bontà: “Amico, ti basti un'arnia; lasciami la seconda per i miei fratelli”. Leonardo si diede a seguire - 311 -Eusichio e crebbe in tanta perfezione da raggiungere poscia l'onore degli altari255.
San Leone256 vide rapirsi nella schiavitù il proprio compagno Attalo. Leone dolentissimo consegnossi in vendita al barbaro, del quale si guadagnò in due anni pienamente la fiducia. Quando dopo aver servito in un convito solenne, di nottetempo fuggì con Attalo, in seguito257 a pericoli prodigiosamente scampati giunse fra' suoi.
San Quinziano vescovo si distingueva per sapienza e per virtù. San Gallo poi, discepolo di Quinziano e zio di san Gregorio di Tours, dolevasi altamente che in dar le fiamme ad un tempio idolatra non avesse potuto morir martire.
San Nicezio, vescovo di Treveri, era forte come sant'Ambrogio. Teodeberto, che aveva con tanti scandali profanato il santuario della famiglia, si presentò al santo sacrificio. Il vescovo rivoltosi al popolo disse: “Noi non proseguiremo la celebrazione sacra finché dal tempio non si partano gli scomunicati e gli incestuosi”. Il re tremò e partissi.
Sant'Avito continuava suoi prodigi e vedeva chiaramente nell'avvenire.
Penitente, la regina Clotilde venne al sepolcro [233] di san Martino; penitente, il giovane Clodoaldo venne al santo solitario Severino.
Una eletta di vescovi santi sederono nel secondo concilio di Orleans in cui si fissa<ro>no regole per tutelare la elezion dei vescovi e per assicurare i beni delle chiese. In altro concilio, a Clermont, i galli divisi in tre regni sono minacciati nella vita e nei beni. Trepidanti vengono ai padri del concilio e questi scrivendo a Teodeberto re ottengono che i popoli sieno salvi omai.
- 312 - San Medardo da Salenci258, giovinetto, donava già la veste avuta in dono ad un poverello. Anni di poi essendo morto sant'Eleuterio vescovo di Tournai259, Medardo per consiglio del re e del popolo fu ob<b>ligato a succedergli. Il re Clotario trasportò con pompa a Soissons il corpo di sant'Eleuterio. In passare le catene caddero dalle braccia di prigionieri avvinti. Clotario promise <di> construrre ivi un monastero al quale Medardo attese per la direzione260.
Santa Radegonda, la regina, esercitavasi in molta austerità. Di notte usciva per visitare gli ammalati nei pub<b>lici ospedali. Sotto alle vesti reali portava un aspro cilizio. Voleva consacrarsi in servizio a Dio come diaconessa. San Medardo si opponeva per non contraddire a Clotario, ma ella soggiunge al vescovo: “Se tu più indugi a consecrarmi a Dio, farai vedere che più temi gli uomini che Dio stesso”. In seguito attese con più viva cura a santificarsi. Avuta in dono una reliquia di santa Croce, si applicò a rigore di vitto e di abitazione. Santa Radegonda, di reale famiglia, imitava santa Clotilde e san Clodoaldo, di eguale schiatta.
Sant'Ebrulfo, grande di corte del re Childeberto, datosi a vita monastica, visse prosperamente fino a 120 anni. San Senna261, suo discepolo, giunse pure [234] ad estrema vecchiezza. Altri maggiorenti nel regno, donando il proprio ai poveri e consegrandosi a Dio, ottenevano che in una boscaglia solitaria si erigessero conventi e lì accanto che si alzassero più altre abitazioni da costruire poi intiere città.
Sant'Agapito, pontefice sommo, fu da Giustiniano invitato a recarsi a Costantinopoli per accomodare più cose intorno alla fede ed alla disciplina. Vi andò Agapito, e in toccare Costantinopoli - 313 -guarì un infermo, per cui incontrandolo applaudivano tutti del popolo.
Agapito trattò dunque con Giustiniano e non potendo questi indurre il papa a' suoi voleri, lo minacciò dello esiglio. Rispose il santo pontefice: “Io, povero peccatore, desiderai venire a Giustiniano come ad un cristianissimo imperatore ed ecco che io trovo un Diocleziano. Ma io non ho paura delle tue minaccie”. Antimo, patriarca di Costantinopoli, rifiutavasi di porgere la sua confession di fede ed era causa del dissidio tra il pontefice ed il re.
Vescovi dell'oriente, in presentar lor memoriale contro Severo, chiamavano il pontefice sant'Agapito il padre dei padri, il patriarca universale. L'esarca Mariano dei monaci d'oriente presenta un memoriale contro le adunanze dei monaci acefali, settatori di Eutiche e di Dioscoro. Sant'Agapito intimò per tutto questo un concilio, ma improvvisamente morì addì 17 aprile 536. Ai funerali intervennero cori di vescovi, turbe di sacerdoti e tutta la popolazione della città. Le moltitudini si affollarono fin sopra ai tetti. Non mai vescovo o imperatore ebbe simili onori. Da Costantinopoli il corpo fu di poi trasferito a Roma, dove la festa si fece assai più splendida ancora nella chiesa di san Pietro principe degli apostoli, suo predecessore.
4. [235] Sant'Ottato aveva detto: “San Pietro solo ebbe le chiavi del regno de' cieli per comunicarle agli altri pastori”. E sant'Agostino: “A noi ha confidato le sue pecorelle, confidandole a Pietro”.
In oriente erano usurpazioni di sedi importantissime e in conseguenza venivano scismi e mali assai gravi. In Tessalonica Doroteo promette <di> convenire ad un concilio, e intanto alla vigilia grida allo incontro dello stesso, battezza d'un tratto due mila di loro, eccita il popolo a sedizioni e fa succedere massacri. Doroteo scusandosene al pontefice, allora sant'Ormisda, scrive lettere di alto encomio alla dignità pontificia, di sommessione da parte propria. Il pontefice non vi crede e risponde con lettera di alta discrezione, e intanto invia suoi legati perché con l'imperator Giustino trattino di questo e di più cose gravissime per la Chiesa d'oriente.
- 314 - Le massime e le pratiche della cristiana filosofia erano altamente temute dagli ariani in Africa. San Fulgenzio, che scrivendo Della fede ortodossa confondeva gli ariani, fu dal re Trasamondo richiamato dall'esiglio a Cartagine per conferire sulla fede. Fulgenzio accorse e non tardò a predicare in privato e dinanzi al pub<b>lico e operare molti miracoli in confermazione della fede. I cartaginesi, che l'avevano incontrato con tripudio vivissimo, or seguivano in vivo gaudio e versavano lagrime di consolazione in vedere ed ascoltare il santo.
Gli ariani poi non è a dire quanto se ne corrucciassero. Circondarono Trasamondo e l'indussero a <far> ritornare all'esiglio san Fulgenzio. Relegato nella Sardegna fondò monasteri. Scrisse lettere sulla verginità, sopra l'umiltà e sull'orazione. Scrisse [236] pure un Trattato della Incarnazione e della grazia, finché, morto Trasamondo nel 523 e successovi Ilderico262, san Fulgenzio come gli altri vescovi esigliati ritornò, rinnovando in Cartagine feste di applauso sempre più vivo. A ristorare i mali della Chiesa, adunò un concilio a Bizacena dove sentendo di sé bassamente volle che presiedesse il vescovo Quodvultdeus. Altro concilio generale <Bonifazio>263 convocò in Cartagine. L'Africa cristiana si ristorò dalle gravi persecuzioni sofferte e per un periodo di tempo praticò tranquillamente la propria fede.
5. Patimenti crudi e la morte stessa ebbero invece a tollerare in questo momento i popoli dell'Arabia. Dunaano264, re di quella nazione, per incoraggiare alla persecuzione Almondar, re dei giudei, scrive dicendo: “Io ho già fatto uccidere il principe Areta con la moglie e con le figlie sue e con 340 che come lui furono ostinati a confessare la propria fede”. Conchiudeva poi con dire: “Che rimane ai cristiani or che il loro Cristo è perseguitato dai romani, dai persiani e dagli omeriti?” Sappiamo poi che, martirizzato pel primo Areta, vecchio venerando di 95 anni, una turba di cristiani si spinse sopra il suo corpo e ne baciò il sangue - 315 -che scorreva gridando: “Anche a noi sia data la corona del martirio!”
Il re <Dunaano>265 sedeva sopra un trono. Un figlioletto di madre cristiana corre alle ginocchia del sovrano e lo saluta dolcemente. “Mi ami tu?”, disse il tiranno. E il giovinetto: “V'amo perché ora tutti ci incamminiamo al cielo. Non sei tu cristiano?” E conoscendo che il re non lo era punto, il fanciullo staccavasene dicendo: “I nemici di Cristo vanno allo inferno, lasciami correre a mia madre”. Il re colmavalo di carezze, ma il giovinetto mordevane le mani e batteva alle ginocchia del sovrano [237]gridando: “Lasciami affrettare alla madre mia”. Questa gli gridava per l'ultima volta: “Addio, figliuol diletto” e intanto piegava il collo al carnefice. Il fanciullo fu trattenuto, e morendo il tiranno fu educato finché divenne consigliere di Stato e ambasciatore alla corte di Giustiniano.
In questa persecuzione a confortare i fedeli erano i vescovi san Simeone e san Giacomo. Più lungi predicava nella città di Ninive il vescovo sant'Isacco, ma non essendo ascoltato disse: “Che faccio io qui?” e ritornò al deserto. Giosuè Stilita scrisse Storia delle calamità sopravvenute ad Edessa, ad Amida e a tutta la Mesopotamia. Più tardi in Ninive Giovanni e Saba perseverando in digiuno ed in predicazione si resero illustri nella città266.
6. Nell'anno 525 disastri gravissimi avvennero di innondazioni, di terremoti, di incendii in Mesopotamia, nella Cilicia, nell'Epiro e nella Grecia, a Corinto, in Antiochia. Nel 526 un incendio si apprese alla chiesa di santo Stefano. Nessuno poté scoprire come le fiamme siensi appiccate; i vortici poi si estesero con tanta violenza alla città da rimanerne quasi per intiero consumata. Antiochia con questo disastro per la quinta volta rimaneva distrutta. L'imperator Giustino a ripararne i danni mandava ai prieghi del vescovo Eufrasio duemila libbre d'oro.
Ma poco stante altro disastro ridusse la città in un mucchio - 316 -di rovine e di cenere. Addì 29 maggio, all'ora del mezzogiorno, la terra con fortissime scosse rovesciò gli edifizii della parte occidentale e poi d'altre parti. Un vento impetuoso portò le fiamme dei comignoli che ardevano, intanto che una fornace sotterranea che bollir facea il suolo della città esalava infiammati [238]vapori. Le ceneri ardenti e le faville trasportate in aria dal turbine ricadevano in pioggie di fuoco e accendevano i tetti delle case, mentre un altro incendio le consumava di sotto. La basilica innalzata da Costantino resistette per due giorni alla violenza del fuoco che divorava tutti gli edifizi d'attorno, finché avvolta essa pure dalle fiamme e come calcinata cadde con orribile scroscio. Sì repentino e inopinato fu quel disastro che ben pochi salvar si poterono con la fuga; i più perirono schiacciati dal cader degli edifici, altri furon consumati dal fuoco e, cosa ancor più miseranda, tra gli sciagurati che in gran turba correvano smarriti per le vie e per le piazze, molti si incontrarono in assassini, che insieme colla vita loro strappavano i poveri avanzi del proprio avere. Fra questi ladroni era perfino gente del palazzo reale.
In capo a venti e fin trenta giorni, furon tratti di sotto alle macerie uomini che ancor vivevano, e alcuni dei quali spirarono appena recati all'aria. Questo tremuoto, che fu il quinto dopo la fondazione di Antiochia e il più funesto di tutti, durò sei giorni interi colla stessa violenza, poi si rinnovò di tratto in tratto, benché con minor forza, sei mesi appresso. A quando a quando le scosse si sentirono per sette leghe intorno ad Antiochia. Dafne267 e Seleucia furono interamente distrutte.
L'imperator Giustino per alto duolo si vestì a gramaglie e mandò in più riprese cinquanta milioni di libbre d'oro, un bilion di lire nostre, per rifare la sventurata città. Il patriarca Eufrasio sepolto vivo per un dì fe' udire i suoi gemiti, ma non si poté liberare. Si dice che gli antiocheni, abbandonata la massima e la pratica della filosofia cristiana, la pensavano da epicurei e come tali che si procacciassero sovrattutto i godimenti terreni.
- 317 - [239] Giustino morì poi nel 527 facendosi succedere da Giustiniano. Questi era molto istruito nelle arti di architettura e nelle scienze di giurisprudenza e di teologia. In tempo quaresimale viveva con molta austerità. Per tanto zelo commendevole di Giustiniano, Grete re degli eruli venne con i suoi a Costantinopoli e ricevette il santo Battesimo. Imitarono questo esempio i popoli del Tauro.
7. Giustiniano eresse monumenti copiosi e rialzò Palmira, la città edificata da Salomone nel deserto e distrutta poi da Nabucco.
Giustiniano compilò pure tutte le leggi passate in libri che chiamò Digesto <o> Pandette e Istituzioni. Il codice dello imperatore incomincia con la invocazione: “In nomine Domini <nostri> Iesu Christi”. Le leggi giustiniane sono certamente lodevoli ma non perfette in tutte le parti. Permettono il divorzio e la schiavitù. Egli stesso Giustiniano diè il malo esempio di sposarsi ad una Teodora, donna da teatro, cagionando con ciò non poca dissolutezza anche fra i cortigiani. Di che avvedendosene, attribuiva poi a castighi del cielo le pestilenze che desolavano l'impero e i tremuoti che scossero molte città e sovrat<t>utto Antiochia.
Come nel 526, addì 15 nov<embre> 528 si suscitò in Antiochia per causa ancora ignota un incendio e un terremoto orribile. Alla levata del sole l'aria rintronò ad un tratto d'uno spaventevole muggito e la terra fu scossa per più d'un ora, sì che i nuovi edifizi furono atterrati con le mura della città. Vi perirono quattro mila ottocento persone. Nel verno crudissimo che seguì, i tapinelli rimasti vivi venivano a piè nudi calcando la neve e gridando pietà. Quando un sant'uomo venne <a> dire che sulle porte scrivessero: “Cristo è con noi”, ciò valeva a placare l'ira del cielo. Seleucia e Laodicea furono anche sepolte con ottomila abitanti. Soli stettero i templi cattolici. [240] Gli antiocheni chiamarono la propria città Teopoli268, che vuol dire “città di Dio”.
Tre anni di poi, nel 531, una pestilenza che disertò quasi - 318 -tutto il mondo conosciuto durò per lo spazio di cinquant'anni. Infieriva in estate e in ogni altra stagione, sorprendeva un paese e non altro vicino, questa famiglia e non quella di prospetto. Quando sembrava partita, ritornava per mietere chi ancor restava. Alcuni perdevan la ragione, altri rimanevano assopiti, i giovinotti erano specialmente presi.
In Costantinopoli avvenne pur cosa strana e deplorevole. Erano due partiti, dei cerulei, coi quali stava l'imperatore, e dei verdi, pei quali parteggiava la regina. Or stando al circo cominciarono ad insultarsi e poi a ferirsi disperatamente. Alcuni capi furono appiccati ed altri fuggirono e ripararono al tempio. I faziosi entrarono e consumarono sacrilegi e uccisioni. I soldati accorrevano ed erano tempestati dai cittadini con sassate che piovevan dai tetti. Questi, mal soffrendo, vennero ai massacri ed agli incendi. Consumò la cattedrale di santa Sofia, parte del palazzo imperiale, i bagni e più altri edifizi. Triboniano, principale ministro di Giustiniano, era specialmente in odio perché vendeva la giustizia. Si mostrò dunque al popolo in atto supplichevole ma le turbe incrudelivano; allora uscì Belisario che con forte nerbo di soldati uccise trentamila di loro e spense nel sangue la sedizione.
8. Intrighi si movevano a Roma per eleggere Dioscoro al confronto del pontefice Bonifazio. Questi, per impedire che alla <sua> morte non avvenissero scandali, elesse a succedergli Vigilio, ma un concilio disapprovò e Bonifazio, ben scorgendo che con questo ledeva la libertà della Chiesa, consumò il decreto disposto.
[241] Il patriarca di Costantinopoli insisteva in arrogarsi giurisdizione di crear vescovi in oriente e nell'Illirio, e Bonifazio per opporvisi adunò un concilio. In altri concilii Bonifazio dispose che i par<r>oci si allevassero de' cherici, che questi consecrati non potessero essere tolti da altro vescovo. In questo fatto è una creazione prima dei seminari istituiti poi dal Tridentino. Bonifazio morì nel 531. In seguito a intrighi di fazioni, gli succedé Giovanni, al quale Giustiniano mandò la profession di fede che inserì nel codice suo.
Giustiniano, non sapendo mai contenersi nel giusto mezzo <e non conoscendo abbastanza lo spirito della religione e della - 319 -Chiesa cattolica, che non è di convertire colla forza materiale>269, ordinò che entro tre mesi tutti gli ariani ed i pagani si convertissero al Battesimo, pena la confisca dei beni e la taglia sul capo a chi resisteva. Alcuni si battezzarono, altri finsero <di> credere, molti fuggirono, i frigi si bruciarono a vicenda per disperazione. I samaritani in numero di 50 mila si ribellarono sotto la condotta del ladrone Giuliano, ma Teodoro li incontrò e ne uccise venti mila e disperse gli altri e proibì di aprire sinagoghe. San Saba monaco venne e in pro dei cristiani ottenne soccorsi e l'erezione di chiese e di ospedali.
Quistioni gravissime insorgevano per la Chiesa di Alessandria. Giustiniano provossi ad accomodare le pendenze, ma non ottenne.
9. In occidente Teodorico invitava il pontefice Giovanni a recarsi a Costantinopoli per trattare più affari e la restituzion delle chiese in mano agli ariani. Rispose Giovanni: “Farò tutto, ma non questo”. Il pontefice fu incontrato con cerei accesi 12 miglia fuori Costantinopoli. Al limitare della città guarì un cieco.
Sotto Teodorico molti si facevano oppressori [242] tirannici. Boezio erane spiacente e svelava i tradimenti. Per questo fu accusato al re il quale, chiusolo nel castello di Calvenziano appo Pavia, fecelo morire di spada. Boezio fu un vero modello di cittadino romano e di cristiano fervido. Scrisse il massimo filosofo Delle due nature e d'una persona in Gesù Cristo, Della Trinità, Consolazioni della filosofia. Boezio è il Platone cristiano che colla ragione si innalza alla perfetta morale della fede. Con questo intendimento scrisse l'Introduzione di Porfirio alla filosofia di Aristotile, Interpretazioni di Aristotile, <ne tradusse> Analitici, Argomenti fallaci; <compose>270 un opuscolo sull'uno e sull'unità. Morì il 23 ottobre 524. Luitprando e Ottone gli eressero monumenti. Altri lo chiamarono santo <e recentemente ne fu infatti approvato il culto religioso>271.
- 320 - Simmaco, suocero di Boezio e come lui amico e consigliero al pontefice, fu per la stessa ragione accusato a Teodorico che lo decapitò a Ravenna. Galla, la figlia di Simmaco, è onorata sugli altari. Nel 526 fece pur perire in carcere il pontefice Giovanni, che con pompa massima fu poi trasferito a Roma.
Poco stante Teodorico nella testa d'un pesce recatogli a mensa parve vedere una furia vendicatrice. Ne prese alto spavento e colto da orrendo mal di petto parve crepare nel mezzo, come già l'eretico Ario.
10. La Chiesa di G<esù> C<risto>, mentre era così tribolata dai cattivi, consolavanla i buoni in molte parti. Nella <Gran> Bretagna272 san Davide monaco e taumaturgo e vescovo di Menevia273 fu maestro di molti santi e morì nel 544. San Dubrizio adunò intorno a sé un migliaio di discepoli, fra i quali fu<rono> san Sansone, san Teliau, e fu da san Germano consacrato274 vescovo di Landaff. [243] Si ha memoria che in quel luogo ventimila santi, ossia religiosi, furono sepolti.
Illustravano il paese di Galles san Daniele vescovo, san Cadoc275, figlio di san Gondelio.
Sant'Iltuto ebbe a discepoli san Davide, san Gilda, san Sansone, san Maglorio. Seguono san Malo, san Brieuc, san Paolo, san Meen. Nella Scozia son celebri in questo tempo san Kentigerno <detto> san Mungo, san Finiano, san Patrizio, san Catmaele, san Cormac, sant'Enna, san Nennia, san Tigenarco, sant'Albeo che, avuta in dono l'isola di Arran, fu popolata e detta l'Arran dei santi276. Santa Brigida fondò in Irlanda molti monasteri. Figli di Bragano, principe di Galles, sono san Canoc e santa Keina.
- 321 - Tutti questi sono i principi del regno del Signore, sono i filosofi veraci nella umana società. Rallegriamoci nella vera filosofia che allieta e salva.
1. La filosofia cristiana congiunge l'uomo con Dio.
2. Il patriarca san Benedetto.
3. Sant'Equizio, san Leone, san Quinziano, san Nicezio, sant'Avito, san Medardo, santa Radegonda, sant'Agapito pontefice.
4. Sant'Ottato277; san Fulgenzio fatica contro gli ariani.
5. Persecuzioni nell'Arabia. San Simeone e san Giacomo, sant'Isacco, Giosuè Stilita.
7. Giustiniano e sue leggi.
8. Intrighi a Roma per l'elezion del pontefice. Leggi di Giustiniano contro la idolatria.
9. Teodorico. Boezio e Simmaco.
10. Santi personaggi vengono in soccorso alle tribolazioni della cristiana società.