Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Da Adamo a Pio IX (II)...
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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II

LI. Le prove in oriente ed in occidente

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LI.

Le prove in oriente ed in occidente

  1. [338] La vita di questo mondo è una milizia continua.

Bisogna armeggiare col mondo, col demonio, colla carne. Nel combattimento si trovano tutti, ma in esso ha di quelli che pugnano da intrepidi e di quelli che cadono da vili.

  Scarsa era la fede nei cristiani di oriente in questo periodo del secolo ottavo, più viva era nei cristiani di occidente; però nelle battaglie altre prove diedero quei di oriente da quelli di occidente. Facciamoci tosto a vedere in questo fatto.

  Inferma era l'anima o degli imperatori o di molta parte di Cristianità in oriente. Quando uno è infermiccio, come è cadente da ogni lato!...

  Salem, zio del califfo Almansor406, devoto musulmano, dissegli al nipote pontefice e re: “I cristiani son da esterminare. Con i cristiani anche gli ebrei son da segnare con marca d'infamia”. Furono dunque tutti bollati con ferro rovente. In questa terribile prova alcuni furono costanti e si ingagliardirono, altri vennero meno. Oh, se tutti avessero avuta fede!   Il profeta Daniele, veduti nelle quattro bestie i quattro regni della terra, disse: “La quarta bestia con 10 corna lasciava spuntare sull'ultimo altro corno che, piccolo dapprima, si fece poi gigante e mosse guerra ai santi e li vinse407. Quest'ultimo corno è il regno di Maometto che, abbattuti i persi, vince i greci e sommette gli spagnuoli.

  [339] Ai tempi di Carlomagno Aroun-Al-Raschid408 da Bagdad espande un torrente di corruzione e di barbarie. Abderamo per 32 anni continua le disertazioni e fra gli altri copre di piaghe il regno di Spagna.

  2. In Costantinopoli il trono degli imperatori è divenuto come un ammazzatoio. Irene ha finito con far uccidere il figlio - 405 -per regnare imperatrice. Ma Niceforo l'assale, l'incarcera, fa avvelenare Niceta e si dichiara imperatore. Irene vicina a morte sclamava: “Or mi ricordo i gravi mali cagionati alla Chiesa”.

  Niceforo, superbo della porpora ottenuta, scrive al califfo Aroun: “Una delle due: versatemi cioè un tributo di danaro, o la spada mia viene a posare sul vostro capo”. Rispose il califfo: “A Niceforo, cane dei romani. Verrò io stesso in persona a recarti la risposta”. Viene dunque con poderosa armata. Niceforo, sbigottito, sclama: “Pagherollo io stesso un tributo a te... Ritirati, te ne prego”.

  Niceforo non protesta <a> sfogar la superbia col califfo, ma sfoga la sua libidine con matrimonii incestuosi che vuol far approvare dal patriarca san Tarasio. Ma questi risponde: “Piuttosto morrò”. San Teodoro e san Platone, monaci di Studio, si oppongono pure con fermezza e, scrivendone al pontefice Leone, supplicano: “Tu che hai per modello Cristo salvaci, o noi periamo”.

  In Costantinopoli erano scostumatissimi gli eretici pauliciani. Giovani sfrenati, portavano l'insegna di abbominevoli delitti. Niceforo si accompagnava a questi in tutte le dissolutezze.

  Perdé ignominiosamente in battaglia coi bulgari, ed ei se ne scusò con bugie nella capitale. Vollero detronizzarlo, ma con promettere e piangere si mantenne al posto suo.

  Nell'anno 811 ei fu costretto <a> difendersi contro ai bulgari novellamente. Egli accozzò una sbirraglia [340] di soldati sguerniti e li incontrò. D'un momento i bulgari li fecero entrare in un chiuso disposto loro e così con agio ne fecero di Niceforo e dei suoi un macello orrendo. Staurazio figlio gli succede, ma muore ben presto. Il popolo vi elegge Michele, che invero avrebbe condotto il popolo a prosperità, ma nella guerra contro ai bulgari è tradito da Leone che si proclama imperatore. Michele si ritrae in un monastero. Gli iconoclasti pregavano sulla tomba del Copronimo: “Imperatore, levati su o lo Stato e la Chiesa perisce”. Spargevano poi voci che dal tumulo s'era mostrato e che Michele, devoto delle immagini, s'avesse a rovinare.

- 406 -  I bulgari furono alle mura di Costantinopoli e trasportarono in buon numero cristiani schiavi e lo stesso patriarca Emanuello, il quale converte molti di loro alla fede, ma alfine vi è egli stesso trucidato.

  Leone imperatore sarebbe stato di vasto ingegno, ma era eretico rabbioso e così crudo che per ogni legger fallo faceva tagliare le orecchie, il naso, il capo a chic<c>hessia e mostrarlo in pubblica piazza della capitale.

  Una giovane fattucchiera gli disse: “Se tu perseguiti le immagini, governerai per anni 72”. Altro mago, Teodoto, che si faceva credere un novello Antonio del deserto, e un Giovanni Gram<m>atico, capzioso personaggio, e un Costantino Casamato409, ipocrita finissimo, rovinarono affatto l'animo di Leone. Il quale col patriarca san Niceforo a principio si infinse, poi dissegli: “Aduniamo concilio per vedere il da farsi intorno alle immagini sacre”. Rispose Niceforo: “San Paolo scrisse che la fede è commessa alla guida dei pastori e dei dottori, non allo arbitrio degli imperatori. Io non verrò a quella [341] conferenza tua in cui ben conosco che vuoi esercitare pressione tirannica”.

  Leone nondimeno adunò l'assemblea, bestemmiò quanto seppe egli ed i suoi. La notte seguente mandò per istrappar Niceforo dal tempio di santa Sofia. Già si avevano atterrate con furiosi colpi le porte, quando il popolo accorse. Il giorno seguente, a sera, fu portato in lettiga per ucciderlo nella pubblica piazza, ma non avendo potuto, lo rilegarono in un convento. Niceforo aveva detto: “Io non ricuso di lavorare per la fede, ma posciaché l'imperatore ha <qualcosa> contro di me, io rinuncio alla sede”.

  Leone ne fu contento, e venuto dinanzi al popolo disse: “Niceforo vi ha abbandonato. Dobbiamo ora eleggere un novello pastore. Non vi pare di scegliere Giovanni Lecanomante?410... Ovvero scegliete Teodoto?” Il primo era un facinoroso, questo secondo un ignorante dissoluto. Fu nominato - 407 -Teodoto, e così d'un tratto la sede del patriarca divenne ridotto delle crapule, dei giuochi, dei disonesti parlari.

  I monaci di Costantinopoli elevarono alta la voce. Vennero a Leone con lettera di disapprovazione, ma questi li bastonò e calpestolli. Traendo poi il piè dal collo di quei monaci, disse: “E' decreto mio che le immagini sieno distrutte”. Tolse poi a scrivere: “Condanno allo esiglio Michele vescovo di Sinnada, Eutimio metropolita di Sardi, Emiliano vescovo di Cizico, Niceta abate di San Sergio e Niceta patrizio”. Furono dunque relegati e chiusi in anguste e schifose carceri, nelle quali a stento facevano penetrare un pane ammuffito e poca acqua putrida. Quando mandarono <a> dir loro: “Comunicate almeno una volta col patriarca e siete salvi”, parve loro di aderire e s'accostarono, ma l'abate Niceta, scorto in questo un atto di qualche apostasia, ritrattò altamente il mal commesso. [342]

  Onde due volte fu flagellato e sì aspramente, che lo scoppio delle frustate udivasi da lungi, e Niceta si ebbe le carni infracidite. Ma non venne meno. Scriveva al pontefice san Pasquale: “Deh, porgimi almeno il fervor delle tue preghiere”. I cristiani più zelanti ritraevano a Roma sotto la protezion del pontefice. I più rimanevano. A questi guardando, san Niceta scriveva con alto duolo: “Quei vescovi e sacerdoti, monaci e secolari son tutti senza vigore. Chi ha perduto affatto la fede; chi, quantunque la conservi, non lascia di comunicare con gli eretici411.

  San Teodoro, dopo aver per tre anni sofferto tormenti atroci, moriva denunziando i popoli al giudizio di Dio.

  Nell'anno 819 accaddero tremuoti spaventosi, calori intollerabili, siccità, peste, fame, sommosse popolari e sedizioni nelle quali emergeva il capopopolo Michele. Questi da Leone fu condannato al taglio della testa la notte di Pasqua. Chiese per ultima grazia Michele: “Lasciatemi almeno che mi confessi nella chiesa”. Gli fu accordato. Michele andò nelle ore - 408 -del mattino per tempissimo, quando Leone si trovò in coro con i suoi. Or Michele si avventò sopra l'imperatore. Leone impugnando la croce difendevasi come una belva, ma Michele lo trucidò con cento colpi. Nessuno dei cortigiani mosse a difendere Leone, il quale perì lasciando il trono a Michele.

  Questi era stato allevato da donna ebrea fra muli e cavalli. Si abbandonò alle dissolutezze. Si incapricciò di stringer nodo sacrilego con Eufrosina e diessi a perseguitare immagini ed esulare vescovi e sfogarsi nelle crapule. Lasciò che i saraceni, venendo, prendessero possesso per due secoli di Sicilia, di Candia, di Dalmazia. In udirne la nuova, scherzava con dire: “E' un sollievo per me; se mi si danno pochi sollievi cosiffatti ne [343] sarò sollevato intieramente”. Morì nel<l'>829 lasciando il figlio Teofilo, che convertiva la giustizia in sevizie, il coraggio in temerità. Chiamato Michele Sincello, rinomato pittore, divertivasi in straziarlo. Metodio, vecchio venerando, custodivalo in carcere, temendo non lo balzasse dal trono con presentarsi al popolo.

  3. Come fra' greci deboli nella fede, così fra i turchi infedeli si moltiplicano i delitti.

  Ad Aroun-Al-Raschid era succeduto il figlio Amyn che dovette inviare molte spedizioni militari. Ma all'annunzio che i suoi eserciti pericolavano, rispondeva: “Non mi disturbate or che son per dare lo scaccomatto al mio avversario nel giuoco!” Ovvero trovandosi alla pesca, soggiungeva: “Lasciatemi divertire, ché il mio liberto n'ha pescato due pesci ed io un solo”. Gli fu troncata la testa. Il fratello Mamoun412 salì al trono e l'insanguinò di carnificine. La morale dell'assassinio predicavala un Babek della Persia, che percorrendo fe' trucidare 250 mila uomini, onde Mamoun restituisce il califfato ai discendenti di Alì. Si accalorarono dispute religiose fra quelli di color bleu e quelli di color nero sulla credenza che il Corano sia eterno, increato e della stessa sostanza di Dio. In Bagdad fu eretto a giudicar le liti un tribunale che rovinò il fiore delle famiglie musulmane.

- 409 -  Mamoun favoriva i dotti e per questo appare uno dei più illustri califfi. Era pazzo dello studio di geometria. Accadde che uno schiavo greco dicesse: “Io so sciogliere problemi che i tuoi più dotti non potrebbero”. Provollo. Di poi disse: “Onde apprendesti?” E questi: “Dal mio maestro a Costantinopoli”. Replicò Mamoun: “Fallo venire, te ne prego”. Scrisse in persona a Leone imperatore più volte esibendogli ingenti somme di danaro, ma [344] Leone rispondeva: “Quando l'imperator greco ha piegato al volere del sovrano saraceno?”

  Anche Teofilo, imperatore, in Costantinopoli erigeva alberi d'oro sui rami dei quali stavano uccelli d'oro a canticchiare, ed al piede leoni pur d'oro a ruggire. Teofilo alla sua volta mandò sue ambasciate al califfo, dicendo: “Che bisogno ha l'imperator greco del re saraceno?...”.

  L'imperator greco movendo venne a saccheggiar Sozopetra, doviziosa capitale musulmana. Ma il califfo con altro esercito lo respinge e viene fino ad Amorio413, fioritissima città d'Asia e patria di Teofilo. La distrugge uccidendo 70 mila uomini e conducendone schiavi 30.000. Allora Teofilo manda duemilaquattrocento libbre d'oro dicendo: “Te ne prego, rendimi gli schiavi”. Ma il califfo soggiunge: “Mi costò assai più fiaccare la superbia del Teofilo”. Questi si consumava di livore. Chiamò a sé il cognato Teofobo e disse: “Tu non sei più Teofobo” e gli tagliò la testa. Di poi disse: “Io non son più Teofilo” e morì. Era l'anno 842.

  <4.> Migliore spirito di fede era nell'occidente, epperò nelle prove di combattimento avvennero migliori fatti come vedremo tosto.

  Carlomagno moriva nell'814, ma non periva egualmente l'opera sua. Egli aveva adunato i popoli di Francia, di Spagna, d'Italia, di Germania sotto un reame solo, lasciando a ciascun popolo le legislazioni proprie. Conservavali strettamente congiunti al centro di unità e di salvezza, il romano pontefice.

  Il figlio che gli succedette fu detto Lodovico il Pio. Ebbe - 410 -affetto alla fede; cominciò da correggere taluni abusi della corte e delle sorelle principesse in fatto di costume. Adunò tosto i primati del regno con i vescovi per reprimere non pochi abusi nei ministri della giustizia, e fin qui operò saviamente e si accaparrò la benevolenza del [345] popolo. Chiamò in aiuto del governo Lotario, primogenito, al quale diede la Baviera, e Pipino, al quale diede Aquitania, ed il nipote Bernardo, al quale affidò il regno d'Italia. Lodovico riceveva di cuore gli spagnuoli, che a riparare dalle enormità dei saraceni facevano a lui ricorso. Riceveva con affetto le ambasciate di Leone che venivano per scambiarsi pegni di pace.

  Ma Lodovico ebbe la sciagura di esser peritoso e titubante troppo. Non seppe scegliere buoni ministri e per questo capitò male. Adalardo, Vala, Bernardo erano parenti, ed egli dubitò <che> non forse pretendessero al trono. Carlomagno avevaseli ministri fedelissimi e Lodovico li ripudiò. Questi si ritrassero al monastero e furono poi personaggi di santissima vita.

  Nell'anno 816 morì papa san Leone iii, che da venti anni governava la Chiesa. Si ha per la prima volta che i vetri delle finestre nella chiesa di san Giovanni in Laterano furono da lui fatti pingere a colore. In abbellimenti delle chiese di Roma si ha che spese 800 libbre d'oro da once 12, e 21 mila d'argento.

  Stefano iv, che gli successe, partecipò a Lodovico il suo esaltamento e promise <di> visitarlo in Aquisgrana. L'imperatore ne fu lietissimo e mandò Bernardo, re d'Italia, che l'accompagnasse. Vennegli incontro con trionfo. Pregarono a lungo assieme e poi si convitarono l'un l'altro a mensa. Trattarono con sollecitudine degli interessi della Chiesa e studiarono modo di condurre il clero alla virtù ed alla scienza propria del monaco provetto.

  In questo momento Lodovico rinnova il proposito di difesa e di patrocinio alla Chiesa, e dichiara essere proprio della Santa Sede il territorio che allora si estendeva da Roma a Napoli ed a [346] Sicilia, da Roma a Toscana ed a Corsica e Sardegna.

  In Aquisgrana diè pure una costituzione che giurò in persona e che fece altresì giurare dai primati dell'impero e dai - 411 -vescovi. In questa divideva il regno fra i suoi tre figli e determinava che Lotario, il maggiore, avesse il titolo di imperatore, che tutelasse i minori fratelli che ritenevano il titolo di re. Questi una volta in ogni anno conferivano di presenza col fratello Lotario per sentirne il consiglio nelle imprese di massima importanza. Quando un d'essi, morendo, lasciasse più figli legittimi, il popolo a maggioranza di voti sceglierebbe fra questi il proprio sovrano.

  Dalle memorie di questo tempo emerge che i monaci per iscarsezza d'olio potevano spesse volte usar dello strutto nei giorni di digiuno. Dei monasteri altri pagavano un tributo in danaro, altri un tributo di servizio; gli ultimi porgevano tributo di preghiere.

  Il monastero di Fulda era <stato> fondato da san Bonifazio, che morto addì 5 giugno 755 fu ivi sepolto. Ratgaro414 che succedé di poi, obbligava i monaci a fatiche durissime di costruzione e deviavali dalla regola. Molti, dolendosene, riparavano in altri conventi nei quali la regola era meglio osservata. Chi poi rimase, instò presso all'imperatore il quale, esigliato Ratgaro, vi fece eleggere Eigilo e poi Rabano Mauro, che scrisse Delle istituzioni dei chierici. Anche in questo Lodovico operava saggiamente.

  Ma Bernardo, nipote e re d'Italia, geloso dell'onore e della potenza di Lotario, si ribellò a Lodovico, il quale pose impegno ad acquietarlo e mandò in esiglio i principali cospiratori. Vennero intanto disastri di fame, di peste, di scorrerie dei normanni barbari. Lodovico, reputando ciò un castigo [347]del cielo, richiamò tutti i ribelli e li abbracciò. Attese a favorire i monasteri. Regalò Benedetto d'Aniano415, che in tre tomi scrisse Codice delle regole monastiche e Concordia delle stesse. In Sassonia aiutò perché fosse eretta la nuova Corbia, monastero insigne dal quale come da Fulda uscirono missionari e personaggi intrepidi.

- 412 -  Nell'anno 822 in Attignì adunò in generale assemblea la nazione per togliere molti abusi e nei laici e nel clero, ma non valse a farsi obbedire. In altra assemblea di Nimega nell'821 rinnovò il giuramento della costituzione dei vilzi416.

  Lodovico <si> incontrò pessimamente in Giuditta, donna bavarese che egli si sposò in seconde nozze. N'ebbe anche un figlio, Carlo detto poi il Calvo. Disse allora Giuditta: “Questo figlio non avrà un territorio a governare come gli altri?” E tanto instò che il buon Lodovico ruppe i patti della costituzione e gli assegnò Alemagna, Rezia e parte di Borgogna.

  5. Ciò spiacque tanto a Bernardo, che già tramava alla vita di Lodovico. Ed i figli armati essi stessi si trovano di fronte al padre nelle pianure di Compiègne. Il monaco Vala inorridì e gemette dicendo: “Ahimé, che il regno di Carlomagno si sfascia!” E si affrettò gridando: “Morrò io, ma si salvi l'impero”. Il pontefice incoraggiò pure l'intrepido Vala, il quale venne e tanto fece e tanto disse che alla meglio ricompose le parti.

  Più volte ancora i figli mossero lamenti. Nell'832 poi Lodovico mosse contro Lotario in Alsazia, ma l'arcivescovo di Lione scrisse a Lodovico intimandogli: “Che fai, o imperatore? Così tu condanni a rovina eterna l'anima tua?...”. Il pontefice Gregorio scrisse pure con severità ai vescovi che parteggiavano per Lodovico. Ebbone poi con altri [348] vescovi gridarono: “Lodovico è reo di sacrilegio e di omicidio; è reo di scandalo ed è causa di bestemmie e di spergiuri nello impero. Lodovico deponga le vestimenta regali e indossi l'abito di penitenza”. Lodovico non attese di esser convinto reo, accettò quella pena benché ingiusta e vi soddisfece. Ma il popolo tumultuò. I figli di lui, tratti a compassione, muovono in armi per restituire il padre sul suo trono. Il monaco Vala si inframmette con vantaggio, e intanto con generale applauso - 413 -Lodovico si abbraccia ai figli per due volte, si presenta alla Chiesa per essere riconciliato, e infine riceve dai vescovi la corona imperiale. Il Vala per tanti buoni servigi incontrò pericoli e calunnie non poche. Però avvenuto il ripristinamento del sovrano, si ritirò nel convento di Bobbio in Lombardia.

  In questi avvenimenti è da notar cosa di alta meraviglia. Clodoveo per assicurare il trono ai figli faceva trucidare i parenti. Nel secolo xviii vedremo la Convenzione nazionale uccidere l'innocente Luigi xvi, la moglie, i figli. Lodovico, più pio di tutti, anche in momento di grave scissura procura che non sia sparsa una goccia di sangue e vi riesce.

  Il profeta Isaia alludendo al governo di Roma diceva: “Sarà negli ultimi giorni fondato il monte della casa del Signore sopra la cima di tutti i monti... Correranno tutte le genti... perocché da Sionne verrà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore... Delle spade loro ne farà vomeri e falci delle lor lame; non alzerà la spada popolo contro popolo, né si eserciteranno più a combattere417.

  Lodovico poneva attenzione agli uomini di sapere e di retto volere per elevarli da condizione mediocre. Vestiva modesto ed era detto il padre dei poveri.

  Nell'adunanza di Thionville si giudicò i vescovi [349] ché sottoposero Lodovico a penitenza. Ebbone, il promotore, doveva essere deposto; il pontefice ne fece rimostranza e Lodovico fu contento che rinunciasse spontaneamente. Anni di poi con plauso fu tuttavia restituito alla sede. In altra adunanza ivi dell'anno 836 Lodovico si abbraccia con più vivo affetto ai figli e li esorta <a> rispettare i beni delle chiese, dicendo: “Questo è di Dio e de' suoi santi”.

  Nell'840, fatta la Pasqua in Aquisgrana, intimò un'assemblea nazionale in Vormazia per assestare il regno prima di morire. Ma nel viaggio fu colto da grave malattia. Visse ancora quaranta e in questo periodo di tempo in ogni giorno volle confessarsi, in ogni giorno comunicarsi. In questo spazio non prese altro cibo che l'eucaristico. Conservava sul - 414 -petto la reliquia di santa croce. Nell'ultimo momento, disse: “Via di qua”, accennando alle tentazioni diaboliche. Di poi levò lo sguardo in alto e spirò. Aveva 64 anni di età, 27 di impero. Fu seppellito a Metz e poi nel monastero di Kemptem con la salma di sant'Arnolfo suo antenato418.

  Lodovico commise dei falli nel suo governo, ma fu personaggio di fede. La pietà scampollo da gravi mali. Meglio in occidente che in oriente, quando uno si trova nello esercizio del battagliare cristiano.

Riflessi

1. I cristiani nel loro campo di battaglia. Debolezza di fede nei principi d'oriente.

2. Niceforo, Leone. Esiglio e patimenti dei monaci di Costantinopoli.

3. Delitti fra turchi. Morte di Teofilo imperatore.

4. Difetti e virtù di Lodovico. Egli giura la costituzione.

5. Gare tra i figli419 di Lodovico e morte di quest'ultimo.





p. 404
406 Originale: Amansor; cfr. Rohrbacher VI, p. 93.



407 Cfr. Dn 7, 20.



408 Originale: Aroun-Al-Rat-schid; cfr. Rohrbacher VI, p. 185.



p. 406
409 Originale: Casamati; cfr. Rohrbacher VI, p. 323.



410 Originale: Lecanomonte; cfr. Rohrbacher VI, p. 329.



p. 407
411 In Rohrbacher VI, pp. 334-335, gli episodi qui riassunti (Onde due volte [...] comunicare con gli eretici».) sono riferiti a san Teodoro studita che all'abate san Niceta».



p. 408
412 Originale: Mamout; cfr. Rohrbacher VI, p. 403.



p. 409
413 Originale: Armonio; cfr. Rohrbacher VI, p. 405.



p. 411
414 Originale: Ratzaro; cfr. Rohrbacher VI, p. 313.



415 Originale: Assiano; cfr. Rohrbacher VI, p. 310.



p. 412
416 Diversamente in Rohrbacher VI, pp. 321-322: «Nell'assemblea di Nimega, tenuta l'anno 821, confermò Lodovico e fe' giurar di nuovo da tutti i grandi ivi presenti l'atto di divisione dei propri Stati [...] Nello stesso anno 823, in un'assemblea nazionale a Francoforte, l'imperator Lodovico pose termine pacificamente a una rivoluzione appo i vilzi».



p. 413
417 Is 2, 2-4.



p. 414
418 Diversamente in Rohrbacher VI, p. 415: «[Lodovico] venne con gran solennità seppellito vicino alla buona sua madre Ildegarda nella chiesa di sant'Arnolfo suo antenato. Posteriormente amendue que' corpi furono trasferiti nel monadstero di Kemptem».



419 Originale: fratelli.



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