Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Da Adamo a Pio IX (II)...
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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II

LV. La Provvidenza

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LV.

La Provvidenza

  1. [386] Il pellegrino che s'incammina quaggiù mette i passi sicuri quando il suo pensiero è in Dio. Una turba di pellegrini sopraffatti da una bufera impetuosa si abbracciano gli uni agli altri, elevano la voce a chiamare, i gemiti a piangere, e ottengono che il cielo pietoso si plachi al di sopra delle lor teste minacciate.

  Pellegrina, la società cristiana si incammina quaggiù ed è sopraffatta da impetuosi nembi. Allora gridano: “Chi ci salva? Chi ci salva?” Sorge la voce di Pietro e grida con pietoso accento: “Domine, salva nos, perimus471. Gesù si sveglia dal creduto sonno, protende la destra sul cuore e dice ai flutti: “Acquietatevi” e tosto si fa tranquillità grande. I viaggiatori poi godono tanto più, quanto più minaccioso fu il pericolo.

  Nei casi prosperi od avversi della vita dirizziamo lo sguardo a Dio. Il Signore è provvidente. Bene spesso accade che dallo stesso male di persecuzione o di travaglio umano sappia cavarne un pro altissimo, il bene della società, la salvezza della sua Chiesa. Facciamoci a comprendere la verità di questo negli avvenimenti che scorgeremo accaduti in un periodo, benché breve, della storia ecclesiastica. Anzitutto poi - 447 -poniamo attenzione alla persona del pontefice ed al giudizio che di questi ne porgono personaggi di diverso sentire.

  2. Luitprando fu a Toledo di Spagna e poi a Pavia d'Italia e sedé ultimamente in Cremona. Erano in Italia ed a Roma partiti assai vivaci per [387] il governo degli italiani ovvero dei tedeschi. Luitprando poi, personaggio cortigiano, parziale, aveva per costume di plagiare il partito a cui si disposava, non frenando in ciò punto le passioni d'ira e di vanità. Or costui tolse a denigrare la persona e le opere dei pontefici; aiutò perché scrittori, o male informati ovvero di intenzione rea, dessero al periodo di tempo che scorse tra la fine del secolo nono ed il principio del secolo undecimo il titolo di secolo di ferro.

  Ma rispondiamo noi: dicasi pur di ferro, se per questo si intenda che il periodo di questi tempi, benché ruvido come ferro, nondimeno come ferro giovò utilmente a tutti gli usi della vita. In questo senso ci accordiamo, in altro non mai.

  Premettiamo altresì: cristiani avversi alla Sede apostolica censurano o la persona e le opere dei papi. Ma rispondiamo loro così: di dugento cinquantaquattro pontefici che si succederono fino a noi, ottanta furono o santi o martiri, gli altri per lo più insigni per merito e per perfezion di virtù. Solo se ne censura come dubbia la vita di otto o dieci pontefici, e come poco ben fondata si ha la virtù di soli tre pontefici. E questi pochi, benché censurati, mostrano virtù assai maggiori e vizii di gran lunga inferiori a quelli che già professarono imperatori che dal mondo hanno ottenuto il titolo di Grande.

  Sicché piuttosto che biasimare, non si dovrebbe ammirare la sublimità del solio pontificio, onorato da pontefici sempre o quasi sempre cospicui per santità? Appunto. Sì alta è la dignità o del pontificato o del sacerdozio che per ciò ogni neo in questo o in quello è abborrito come macchia pessima. Valga ciò di utilissima lezione a quei che riguardano d'infra gli amministrati ed a quelli che siedono presso l'altare per dirigere nelle vie della salute eterna.

  E i protestanti, anche loro [388] vengono innanzi a riprendere i nostri pontefici, loro che obbediscono ad un papa-re che predica: “Dio è l'autor del peccato; Gesù Cristo condanna- 448 - i suoi all'inferno; commettete pur peccati quanti vi talenta, ché basta credere che Dio è; le colpe onorano Dio”. Loro, i protestanti, censurano i nostri pontefici, loro protestanti che hanno per capi commovitori di guerre e distruggitori di società, un papa-re tiranno, una papessa imperiale, donna sanguinaria... Basti, basti. Premesso ciò a nostra soddisfazione, proseguiamo <a> dire.

  3. Nel periodo di tempo che trascorriamo furono mali, ma non quanti si dicono. Dio benedetto nella sua provvidenza si valse poi di questi o mali morali della società cristiana o sovrat<t>utto si valse delle sciagure esterne di barbari allo altissimo fine di suscitare ne' suoi fedeli il fervore che fu nei primi seguaci, quando videro Gesù Cristo risorto da morte.

  La Francia invero era sgovernata e scissa in piccoli regni. I vescovi s'adunano per dire: “Eleggiamo in nostro re il conte Bosone?...”. E gli scrivono: “Vi portereste voi in tutto secondo la legge evangelica, quando noi vi incoronassimo al governo della Francia?” Risponde il Bosone: “Indettate un generale digiuno di giorni tre e preghiamo che Dio faccia conoscere in ciò chiaramente la sua volontà. Per onore a Dio e per la salute del popolo io non ricuserò <di> portare un peso benché grave”. Quanta fede! Stefano v, pontefice sommo, riconosce non solo Bosone, ma dopo di lui e con lui il figlio dello stesso, Lodovico.

  Con questa massima di fede fu eletto ad una parte di regno nell'888 Odone duca di Parigi ed Arnolfo, ultimo rampollo della discendenza di Carlomagno, fu nominato al governo della Germania. Con questa massima e in questo stesso anno fu creato sotto Rodolfo il reame di Borgogna che sovrastava472 agli [389] svizzeri, ai Grigioni, al Vallese ed a Ginevra.

  Con questo principio di fede e in quest'anno Arnolfo aduna un concilio a Magonza e deplora: “Son causa le nostre iniquità e il non avervi riparato con sacre congregazioni, che le calamità si fanno pubbliche. Scherniti i sacerdoti, calpestati i monaci, le vergini sparse, le chiese distrutte; dobbiamo ora - 449 -studiare che hassi a fare da parte di un re cristiano”. Quale linguaggio! Si discorre così nei reami del secolo nostro?

  Portavasi comunemente una cappa con cappuccio; la cappa di san Martino custodivasi in oratorio detto chapelle, ove ora sorge la città di tal nome. Continuò Arnolfo: “Celebrino perintanto i sacerdoti nelle cappelle, e intanto attendano tutti a ristorare il tempio di Dio e con questo il tempio del nostro cuore”.

  Intanto un indegno era spogliato dell'anello o del pastorale; gli ebrei perché favorivano le aggressioni saracene si punivano473 gridando: “Se non puniamo i nemici della fede, dirà Dio che noi cooperiamo ai loro atti nefandi”.

  I vescovi ricordano ai parroci i propri doveri, che sono di curar la salute delle anime coll'esempio, colla parola, colla preghiera. Rammentasi che sieno mondi, che cantino le Ore sacre, che celebrino in ogni , che ai lavori del campo non dieno il tempo che è dovuto alle funzioni sacre. Se un moribondo ha perduta la favella e che diede prima segni di contrizione, non gli si neghi il viatico del Corpo di Gesù Cristo.

  Nel periodo che trascorriamo erano vizii di fragilità, ma la fede era dominante nei cuori. Gerfredo, diacono, viene accusato d'aver porto veleno al vescovo Adalgario; è un lutto universale e un grido che annunzia: “Sia punito il reo, o Dio ci castigherà tutti”. Si intimano procedure, si adunano congressi, a Roma stessa si istituisce [390] un tribunale a ciò. Ma Gerfredo non è riconosciuto in colpa. “Ne sia lode al Signore -- soggiunse il pontefice -- Intanto affrettate <a> pubblicare la innocenza del diacono, affinché cessi il tumulto nel popolo e lo scandalo nei fedeli”.

  Era voce che nella Inghilterra i vescovi si mostrassero indolenti a correggere i vizii. Il pontefice manda <a> dire che li scomunicherà tutti, e intanto elegge Plegmondo arcivescovo di Cantuaria, perché agisca in qualità di legato apostolico in quelle regioni.

  <4.> Lo stesso Arnolfo nell'anno 895 concorre per intimare - 450 -un generale digiuno e convoca concilio novellamente per ravvivare la regolare disciplina. Quando ode che in Roma una sedizione di ribelli insultano al Vicario di Gesù Cristo, il sangue sale alla fronte del re. Si affretta a Roma, l'assedia, la vince, ne trucida i più rei e con zelo troppo severo ne trascina molti incatenati nelle regioni gelate della sua Germania.

  In altre sedizioni Stefano vi è incarcerato e poi ucciso. Allora è un lutto universale. I capi del popolo si offrono a tutelare la sede del Vicario di Gesù Cristo e sclamano: “Il pontefice è arbitro nelle questioni religiose e nelle pendenze civili altresì”. Alla morte di un vescovo o del pontefice era invalso il reo costume di svaligiare la casa del defunto. Qualche volta in derubare la casa pontificia trascorsero perfino a derubare nella città e nei distretti circonvicini.

  I vescovi, i conti, i re adunano a Roma concili, a Ravenna congressi ecclesiastici, allo scopo di ravvivare i capitolari di Carlomagno e ordinare alla generale salute delle anime e dei corpi le ordinazioni civili e le religiose.

  Folco474 nella sede di Reims meritò in qualche punto che il pontefice ne lo rimproverasse. Rispose il Folco: “Mi duole che abbiate alzata la [391] voce contro di me. Non sono reo di ciò di cui mi accusate. Non credete alle deposizioni di gente malevola. Nondimeno accetto l'ammonizione vostra, perché al cospetto di Dio sono peccatore misero”.

  5. I monasteri offerivano spesso ricetto a peccatori dolenti che poi crescevano a molte virtù. Il monastero di San Gallo in Isvizzera fu semenzaio di personaggi illustri per dottrina e per pietà. Talvolta si segnalavano nelle stesse arti liberali, come Notchero e Tutilone. Quest'ultimo era pittore egregio in ritrarre le immagini sacre, era peritissimo in adornare le lettere maiuscole dei manoscritti. Di costui diceva Carlo il Grosso: “Pazzia che Tutilone sia monaco!”

  Folco di Reims in una sedizione rimase ucciso. Ratbodo, vescovo di Utrecht, ne mosse lamentoforte che commosse e atterrì tutti. Sant'Udalrico d'Augusta veniva a Roma in visita - 451 -del sepolcro di san Pietro. In partire diceva: “Mi consolo d'aver trovato santi non solo fra i morti, ma anche fra i vivi475.

  6. Altrove forse il male era d'assai, benché viva si mantenesse la fiaccola della fede. Erveo vescovo di Reims in aprire il suo sinodo del 909 lamentava: “Il mondo intiero è in preda allo spirito di malizia... Ognuno vive a grado dei propri capricci e però le morti improvvise sono sì frequenti, le città sono devastate, le campagne isterilite. E noi vescovi, che abbiamo il glorioso titolo di reggitori della Chiesa, miseri che non adempiamo punto i gravi obblighi che ci incombono!” Intanto alzava la voce contro le bestemmie di Fozio, e ad introdurre il buon lievito di santo esempio muove preghiera alla congregazione dei monaci di Clunì, perché espandendosi nel ritiro degli altri monasteri vi spargano il fermento della regolare osservanza.

  Così la fede, che qual scintilla cova sotto [392] la cenere del casolare di famiglia, quand'è eccitata riaccende il fuoco che rianima al mattino la vita dei membri della casa.

  A soffiare in quella favilla concorsero efficacemente gli stessi barbari. Ungari, carinzii, moravi, bulgari erano popoli divisi in tribù di cento mila che vivevano di pesca, di caccia, di frutta silvestri con poco vino o latte dei loro greggi. Dimorando in climi freddissimi, vestivano semplici pelli di fiere. Camminavano a cavallo ed a capegli rasi per non essere presi dai nemici. Crescevano robusti e disumani. Il cuor caldo di un avversario ucciso reputavanlo rimedio a molti mali e mangiavanlo con avidità. Costoro per cento anni sono e nella Francia e nella Italia il flagello di Dio. Accadde che più di un vescovo in combattere i barbari cadesse miseramente estinto.

  Arnolfo, re di Germania, si congiunse a Sventiboldo di Moravia ed incomincia la conversione di quei barbari. Erano i normanni, benché battezzati, leggeri ed incostanti. Spesso ricadevano- 452 - nei loro delitti. Domandarono i vescovi al pontefice: “Dobbiamo punirli severamente secondo i canoni?” “No -- rispose il papa -- perché con il loglio non si strappi anche il buon frumento476.

  Geroldo conte d'Aurillac porgeva piissimo esempio di preghiera, di penitenza, di soavità. Gli furon condotti delinquenti gravi perché fossero condannati a morte. Geroldo attese a convertirli. Come li vide ravveduti disse: “Già che avete a morire, vi daremo anzitutto a mangiare” e porse loro una mensa copiosa. Indi continuò: “Già che dovete essere impiccati, andate voi al bosco a tagliar quell'albero che meglio vi aggrada” e così li accommiatò perché fossero salvi.

  Nella Spagna il re Alfonso manda somme per riedificare il sepolcro di san Martino di Tours e pone studio a raccogliere le notizie della vita dei [393] santi e delle loro reliquie, per imitarne le belle virtù.

  Esempi cosiffatti commuovevano il cuor dei normanni. Spesso sclamavano: “Santa è la religione che fa gli uomini santi” e in dirlo invocavano il Battesimo di Gesù Cristo che salva.

  7. Francone477, arcivescovo di Roano, si presenta al fierissimo Rollone, condottiero dei normanni, e gli grida: “Ricordati che i potenti saranno più potentemente da Dio condannati478. Rollone479 si fa tremante e domanda: “Concedimi tre mesi a risolvere”. Dopo questo termine, nella Normandia si vede spettacolo carissimo. Rollone si dispone <a> mutar il nome in quello di Roberto, perché il duca di questo titolo lo accompagna al fonte battesimale. Il normanno Roberto in uscir dalle onde battesimali sclama: “Ho fatte iniquità assai, ma ora non più”. Chiamò al battesimo i suoi e intimò a tutti: “Quanto abbiam fatto di male in distruggere le chiese, in uccidere i cristiani, tanto adoperiamoci per riedificare i templi santi, per infervorare i fedeli fratelli alla virtù”. Fu promessa - 453 -verace. La Normandia divenne presto la più ferace provincia di Francia nella agricoltura; fu feracissima di cristiani prodi i quali, inspirando alla fede il coraggio naturale del popolo, aiutarono le nazioni d'Europa a fiaccare per sempre la potenza dei musulmani fra noi. Intanto che questi combattevano, sacerdoti di fervore chiudevansi in celle da cui guardavano alla chiesa e pregavano in solitudine di giorno e di notte.

  In Altheim della Rezia si adunano concili a ciò. Nella Germania stava per morire Corrado re. Essendo prossimo all'agonia, chiama a sé il fratello Eberardo e sì gli parla: “Perdoniamoci, perché omai è scritto che ognuno ha da morire”. Eberardo piangendo si abbraccia a Corrado che prosegue: “Fratel mio, a te converrebbe il regno [394] e tu saresti prode in governare, ma in questi turbini niuno meglio di Enrico può procacciare la salute al paese”. Eberardo depone il giuramento nelle mani di Corrado, che tosto spira. Eberardo gli chiude gli occhi e affrettandosi ad Enrico gli annunzia: “Tu sei il mio imperatore”. Enrico dicevasi Uccellatore perché quando potevalo divertivasi alla caccia.

  8. Frequentemente i saraceni ancora invadevano nella Italia e nella Francia. I vescovi Dulcidio ed Ermogio, caduti schiavi, furono condotti a Cordova. Ermogio ottenne che a sua vece fosse tradotto il nipote Pelagio, che pervenuto fu coronato della palma del martire nel 925.

  Gli stessi saraceni si erano attruppati alle rive del Garigliano per sommettere tutta l'Italia meridionale. Il pontefice Giovanni assume in persona il comando delle soldatesche raccolte nella Italia. Giovanni sa imprimere a tutti i movimenti unità, energia, prontezza. Appiccò una battaglia che divenne sanguinosa, ma finalmente i saraceni si volsero in rapida fuga. Giovanni li precipitò sì che giammai osarono ancora di attentarsi nel territorio nostro. I romani si affrettarono allo incontro del pontefice magnanimo. E quando il duca di Spoleto, Alberico, con Marozia, rodendosi di invidia, attentavano all'onore ed alla vita del pontefice, il popolo si strinse intorno al papa applaudendogli con giubilo vivissimo. Non avevano termine in sclamare: “Per te siamo salvi! Lode a Dio che per il suo pontefice ci ha liberati!”

- 454 -  Mirabile cosa! Tutto il mondo tien il guardo rivolto alla persona del pontefice, e questi è sì gran personaggio che ben si merita la riverenza e la fiducia del mondo intiero. Come si spiega tale avvenimento?... Viene dalla fede e dalla grazia celeste che più fulgida splende nella mente, più efficace opera nel cuore del Vicario di Gesù Cristo... [395] E' la vita di Gesù Cristo che si espande a fortificare la vita de' suoi fedeli.

  Adorabile è la provvidenza dello Altissimo che scherza nell'orbe terraqueo. Conchiudo come ho incominciato: nei casi prosperi o negli avversi di questa misera vita, abbiamo confidenza nel cielo. La provvidenza del Signore vi è forse mancata in qualche della vita vostra?

Riflessi

1. Il pellegrino quaggiù s'affida alla Provvidenza.

2. Il Medio evo non è secolo di ferro, ma lo è di fede.

3. La fede regola i troni e governa i regni e modera i costumi.

4. I torti che si fanno al pontefice sono insulti resi all'umanità.

5. I monasteri sono ritiro per lo studio e per la virtù.

6. Dove è il mal vizio, la facella di fede e il castigo dei barbari rialzano il costume.

7. Francone480 arresta i normanni.

8. Il pontefice Giovanni assume in persona la difesa d'Italia contro ai saraceni.





p. 446
471 Mt 8, 25.



p. 448
472 Originale: sovrastano.



p. 449
473 Originale: puniscono.



p. 450
474 Originale: Foleo, ripetuto nel capitolo; cfr. Rohrbacher VI, p. 758.



p. 451
475 In Rohrbacher VI, p. 787, l'episodio qui riassunto (Sant'Udalrico [...] fra i vivi».) è riferito ad Adalberone vescovo di Augusta invece che a sant'Udalrico.



p. 452
476 Mt 13, 29.



477 Originale: Framone; cfr. Rohrbacher VI, p. 801.



478 Sap 6, 6.



479 Originale: Rullone; cfr. Rohrbacher VI, p. 801.



p. 454
480 Originale: Eramone; cfr. nota 477.



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