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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO II LIX. Nel Mille |
LIX.
Nel Mille
1. [423] Volgiamo al principio dell'anno millesimo dopo la nascita di Gesù Cristo salvatore. Nel Mille ritroviamo quello che a stento cercheremmo oggidì: personaggi illustri per santità e nel popolo cristiano un fervor di fede ammirabile. Un - 479 -popolo è grande quando con i suoi vescovi e con i suoi principi attende all'alto per imitare le virtù dell'Onnipotente che ci ha creati.
A principio del secolo decimo s'hanno esempi carissimi.
Troviamo innanzi a tutti il pontefice sommo, guida suprema in Israello, che volge l'occhio suo alle quattro parti del mondo e riceve il saluto di tanti suoi figli, fa udire la voce amorevole de' suoi comandi e ne è prontamente obbedito. Il pontefice riceve i popoli barbari, che presi dalla soavità de' suoi modi gli vengono riverenti ai piedi.
Abbracciatili, li riconduce alla mensa della cristiana carità e li fa sedere nel santuario della cristiana civiltà, che eleva in alto le menti, che conduce i cuori a contentezza, i corpi a prosperità.
Gli ungari in questo esordire del secolo decimo mutano le spade in vomeri539 e temperano colla religione il proprio ardore per la guerra. Roberto, figlio di Ugo, conduce in moglie Berta, cugina propria. I vescovi sembrano consentire, ma il pontefice solleva la sua autorevol voce e Roberto inchinandosi sclama: “Ho peccato... Imponetemi la penitenza che ai colpevoli si addice”.
2. [424] I conventi di Francia tolleravano nel proprio recinto il torpore della tiepidezza. Il pontefice si appella alla generosità de' suoi figli intrepidi e domanda: “Chi porge aiuto per risollevare fratelli cadenti?” San Maiolo nella Francia risponde sollecito: “Eccomi presente”; Burcardo, personaggio illustre e pio, l'accompagna. Entrano nei monasteri e domandano: “Quali di voi intendono seguir la vera regola?” Quei monaci in parte ammutoliscono, e a questi vengono aperte le porte perché n'escano pure al mondo; altri poi il salutano con affetto, gridando: “Vieni e ci salva” e questi si stringono intorno al santo come figli devoti al padre amante. Odone, conte di Chartres, tiene lo stesso discorso nel monastero di Marmoutier540 e chiama tredici monaci di Clunì a ristorarvi la - 480 -monastica disciplina. Si fa monaco egli stesso e porge altrui esempio di raro fervore.
Enrico, duca di Borgogna, veste pure la cocolla e, invocato l'aiuto di san Maiolo, chiama ancor egli i monaci di Clunì e riforma il convento di san Germano di Auxerre. Guglielmo, abate di San Benigno di Digione, da Italia541 passa a Clunì e bussando alle porte di quel monastero domanda: “Fratelli, datemi la pace”. Vi è ricevuto e attende perché i conventi addivengano scuola di sacro ammaestramento, guida a quei del clero e del popolo che aspirano alla sapienza della salute. Guglielmo iv, conte di Poitiers, seguì pure l'esempio degli illustri sopracitati.
Abbone, abate di Fleurì, approfondisce lo studio delle sette arti liberali. Riceve con allegrezza contumelie per amor di Gesù Cristo.
3. Era opinione di alcuni che nel Mille venisse omai la fine del mondo. Abbone con la guida degli Evangeli santi e dei libri dell'Apocalisse e di Daniele rassicura i cristiani fratelli.
Odoramno, monaco e storico illustre nella Francia[425], riferisce che alle istanze del popolo il metropolitano proponeva il vescovo di una sede vacante, il re acconsentiva, i grandi e i piccoli del popolo poi applaudivano. Il pontefice attendeva sovrat<t>utto alla elezion dei metropoliti. Di Giovanni xv si ha che <per> il primo canonizzò i personaggi illustri che nel Cristianesimo si distinsero con atti eroici di virtù.
In Roma era un Crescenzio, patrizio potente e tirannico, il quale disponeva a capriccio della città e dello stesso palazzo pontificio. Il pontefice espose la cosa ad Ottone di Germania, il quale venendo punì di subito l'arrogante sacrilego. Ma partitosi Ottone, Crescenzio ritornò alle insolenze così malamente, che il pontefice, allora Gregorio v, fu obbligato <a> riparare a Toscana e poi a Pavia dove, adunato un concilio, scomunicò il ribelle. Ottone, in udire, affidò il governo di Germania alla - 481 -propria zia santa Matilde, badessa di monastero, e venne in Italia e a Roma, dove avuto542 nelle mani Crescenzio, acciecollo avanti ascoltarne Gregorio, temendo <che> non forse il pontefice gli perdonasse altra volta i misfatti suoi.
Stando Ottone in Roma, disse: “Adalberto, vescovo di Praga, non essendo ascoltato da' suoi, ritornò al convento, ma con qual cuore si lasciano abbandonati dal pastore i cristiani di Praga?” Intanto sollecitò più volte a voce e per iscritto. Si adunarono in conferenza i cardinali e consentendo pure il sommo pontefice, chiamato Adalberto, dissero: “Meglio è che tu ritorni alla tua sede”. Sant'Adalberto sentissi uno strappo al cuore e si incamminò cercando aita in tutti i santuari di Francia per i quali studiossi di passare. Ma pervenuto presso a Praga, intese che per odio al proprio pastore avevano condotto i fratelli di Adalberto avanti al santo altare e mozzato loro il capo; Adalberto torse il cammino e venne a predicare [426] con alcuni compagni nella Prussia. I barbari l'assalgono, trucidano qualche compagno e rivolti ad Adalberto sclamano: “Fuggi, o ti trapassiamo con questo ferro”. Adalberto si trasse alquanto da quelli e disse ai compagni: “Noi muteremo quest'abito ecclesiastico che questi non possono patire. Vestiremo da barbari noi stessi, lavoreremo per vivere, e intanto faremo un po' di bene a questi miseri”. Si accinse a quest'altra impresa, ma riconosciuto da altri barbari vien ferito con sette dardi. Gli spiccano poi il capo e il portano in trionfo per le città di loro nazione.
A Montecassino un abate Mansone543 aveva disordinata quella santa comunità. Rientra san Nilo e geme come un pio pellicano. I monaci gli si stringono intorno ed egli sospira: “Pietà di me che sono un peccatore meschino!” Conoscendo poi che a Roma verso a Giovanni, antipapa sciagurato, usavano maltrattamenti assai, egli accorse gridando: “Cessate, che in parlargli io vo' provare di ravvederlo”. Non ascoltarono gli altri e Nilo replicò: “Vi ho pregati in nome di Dio; or non - 482 -temete che il Signore punisca la crudeltà vostra?” San Nilo gridava con cuore piangente a tutti: “Salvate l'anima vostra!” Venuto ad Ottone imperatore, gli intimò alto: “Una cosa sola è necessaria, salvarsi l'anima”.
In Francia era Roberto che viveva scandalosamente con donna non sua. Il pontefice eleva alta la sua voce e grida: “Scomunicate Roberto se tosto non cessa dallo scandalezzare i sudditi”. Sentivasi in cuore un vivo contrasto Roberto; intanto i suoi l'abbandonarono sclamando: “Noi abborriamo da uno scomunicato dal Vicario di Gesù Cristo”. Roberto gridò poi misericordia per il suo fallo e l'ottenne. Egli fu semplice e divenne buono. Vegliava le intere notti di Natale, di Pasqua, di Pentecoste. Donava il vitto a trecento poveri in ogni [427] dì. Cingeva il cilizio, nel Giovedì santo lavava i piedi a 160 poveri. Accadde che un meschinello nascondendosi di poi sotto la mensa togliesse un gioiello dal manto reale. Rispose Roberto: “Il poveretto ha tolto ciò di cui abbisognava”. E attentando questi a strappargli altro ornamento, aggiunse: “Amico, basti fin qui; questo per altro che di te n'abbia maggior bisogno”.
Adoperavasi quanto sapeva per la mondezza dei sacri templi e per arricchire i vasi del Santissimo Sacramento. Ornò specialmente di chiese la città di Orleans, nella quale era nato. Compose un inno, O constantia martyrum, che accompagnava con armonia musicale.
Nell'anno 999 Roberto si reca ad ossequiare Gerberto, il primo tra i vescovi francesi che ottenne il pal<l>io544 pontificio. Compatì pure al dolore di Ottone che perdé in questo periodo di tempo le parenti santa Matilde e sant'Adelaide. Di quest'ultima sant'Odilone545 tolse a scriverne la vita.
4. In Aquisgrana si adunò un concilio per conferire intorno ai bisogni della Chiesa e dello Stato. In questa circostanza fu aperto il sepolcro di Carlomagno. Non gli si prestò culto come a santo, ma i vescovi ed i conti presenti ne giubilarono- 483 - altamente nell'animo. Ottone mandò a Boleslao, duca di Polonia, in dono la sedia di Carlomagno e questi gli rimandò di riscontro un tesoro grandissimo, il braccio destro di sant'Adalberto. Ottone in eccesso di gioia edificò subito un tempio insigne per riporvi quella reliquia santa.
Nel Mille Ottone ripassò poi le Alpi e fondò a Ravenna un monastero. Essendo in Roma, fu visitato da san Bernwardo, vescovo di Hildesheim.
Ottone iii compié la sua carriera mortale ed ebbe a successore un eroe ed un santo, Enrico, nipote di altro Enrico che fu fratello ad Ottone i. [428] San Volfgango546 vescovo di Ratisbona gli aveva predetto sei anni addietro la sua ascensione al trono.
5. Un santo ed un eroe ebbe pure l'Ungheria nel re Stefano, che si sposò a Gisela, sorella di sant'Enrico. Stefano per far prosperare la fede cominciò da mettersi in pace con tutti i vicini. Fabbricò poi monasteri, eresse vescovadi, costituì un metropolita a Strigonia. Il pontefice Silvestro mandò da Roma corone che tuttodì si conserva<no> ad onore per cingere il diadema ai sovrani. Stefano e la imperatrice Gisela furono con plauso universale incoronati dallo arcivescovo metropolita.
L'imperatore con zelo crescente si applicò alle opere di gloria di Dio. Beneficò chiese e monasteri. Diede alle abbazie terre e famiglie di servi. Tenerissimo della Vergine Madre di Dio, volle che nel regno suo il nome di Maria fosse venerato con speciale divozione dai sudditi suoi. Profuse tesori per il decoro dei vasi sacri nell'uso dei sacrosanti misteri. Eresse conventi in Gerusalemme, templi a Costantinopoli, collegiate a Roma. Era santo Stefano magnifico ed ammirabile, sì che i pellegrini i quali volgevansi in visita ai luoghi di Terra Santa, lasciata la via più comoda di mare, si attenevano a quella di terra per vedere Stefano e riceverne un sorriso od udirne una parola. I forastieri colmavali di favori e di beneficenze.
Stefano, valoroso in guerra, respinge gli assalti della Transilvania e la incorporò nel suo regno proprio. Legislatore - 484 -ottimo altresì, Stefano emise in 55 articoli un codice semplice e assennato per insinuare a tutti i doveri che legano i sudditi a Dio, alla Chiesa, al sovrano.
Dieci articoli dispose per il figlio sant'Emerico, e sono i più savi ammonimenti che si trovino per ben governare uno [429] Stato. Santo Stefano così parla: “Chi non è cattolico non aspiri alla dignità reale. Un re sia amante de' suoi sudditi, onori il pontefice ed i vescovi, perché è scritto: Non vogliate metter le mani sui miei preti547... Se non ti avrà ascoltato, dillo alla Chiesa548. Il re sia fedele, valoroso, pronto; sia umile in se stesso per goder la fiducia degli altri principi. Sia poi paziente e giusto. E procuri che si accompagnino religione ed industria a prosperare lo Stato. Un buon re sia personaggio di consiglio. Imiti549 poi quanto è possibile i saggi esempi degli antenati. Finalmente un buon re dev'essere uomo d'orazione e di prudenza, per dirigere alla sapienza dell'alto le sue opere e porre accordo ambito fra le virtù”.
6. Un re santo ed eroico viveva pure nella Inghilterra a principio di questo decimo secolo. Fu sant'Edoardo, che dalla propria matrigna fu crudelmente ucciso per surrogarvi Etelredo, fratello che giammai ottenne l'amore de' suoi sudditi. Questi furono involti in un castigo di contagio nei bestiami, di dissenteria nelle persone. I danesi scesero in orde spaventose a devastare. Etelredo per allontanarli diè tributo di denaro, ma questo non fu espediente utile perché richiamò altre invasioni più disastrose.
Un personaggio veniva in soccorso delle umane miserie. Fu sant'Elfego, vescovo di Cantorberì, che dato fondo al suo ricchissimo patrimonio si faceva presso ai ricchi del regno sclamando: “I fratelli muoiono di fame; vi regge il cuore di lasciarli perire?” E dato mano ai tesori delle chiese, li sparse ai più languenti dicendo: “I templi vivi dello Spirito Santo sono i primi a soccorrere”.
- 485 - [430] Sant'Elfego da 22 anni reggeva la sede di Winchester quando, morendo, san Dunstano lo designò a suo successore.
Elfego fu sollecito <ad> adunare concili e chiamare in aiuto i conti del regno per assestare le cose civili e le ecclesiastiche.
I danesi, invadendo poi altra volta Cantorberì, minacciavano di mettere ogni cosa a soqquadro. In questo frangente Elfego si poneva come muro di fortezza là dove il pericolo era maggiore e gridava: “Uccidete me, ma risparmiate i miei fratelli!” I fedeli sbigottiti ripararono in numero alla chiesa. I danesi la circondarono con cataste di legne e appiccandovi poi il fuoco la ridussero a un mucchio di cenere facendovi perire entro ben settemila persone. Elfego incarcerato sostenne per sette anni i patimenti di una prigionia durissima. In questo frattempo un morbo distruggitore entra nelle truppe degli avversari. I barbari chiedono perdono dei molti danni cagionati e domandano un tributo per ritornare ai propri paesi. Elfego leva alta la sua voce e grida: “In nome di Dio, in nome della patria, in nome di tanti fratelli che languono, il denaro serbiamolo per le chiese spoglie, per i tapini che muoiono di stenti”. Gli soggiunsero i suoi: “Facendo così voi morrete”. Ed Elfego: “Muoia io pure e sia salvo il paese”.
I danesi trascinarono dunque in cattività sant'Elfego e lo tormentarono con mali di agonia prolissa. Finché un cristiano cresimato testé dal santo vescovo lo trapassò con un fendente gemendo in dire: “Mi strazia l'animo l'angoscia di questo martire; meglio è che lo invii più sollecito al cielo”. Era il Sabato santo dell'anno 1012. I barbari disponevano per gettarne nel fiume il corpo, ma i novelli convertiti vennero <con> armata mano per rivendicarlo. I cristiani di Londra con prezzo costosissimo ne riscattarono la salma, mentre che le navi danesi ritornate in mare in numero di 160 [431] furono affogate negli abissi, e oltre un numero di 60 si infransero negli scogli.
Seguace ed imitatore di sant'Elfego fu Leofrico, abate di Sant'Albano, e Godrico, abate di Croiland, i quali nelle innondazioni dei barbari condotti da Svenone operano prodigi di carità in diffondere tesori di soccorso ed in ricoverare presso di sé le donne ed i fanciulli più abbandonati. Svenone, - 486 -condottiero danese, minacciava <di> farsi padrone di tutta l'isola inglese, quando venne proclamato re Canuto. Questi, inviati i nipoti al fratello sant'Olao di Svezia, dispone che un re santo ritorni nel governo di questa nazione.
7. Canuto ossevando la religione divenne mite e amante de' suoi. Tolto il proprio diadema, lo collocò per ornamento sulla croce di Gesù Cristo e intanto, visitando più spesso gli sventurati di Inghilterra, dispose cura attenta a salvarli contro le invasioni dei barbari ed erigere templi, monasteri, ricoveri per ogni genere di mendicità.
Nella Spagna <a>i cristiani di quest'epoca toccarono da parte dei saraceni sconfitte strepitose, che poi ammendarono con più strepitoso trionfo. Bermondo invero per lo spazio di dodici anni si rese indegno perseguitando vescovi e cristiani. Diede altresì lo scandalo disgustoso a tutti di ripudiare la propria moglie per vivere d'incesto. Intanto venne a patir di gotta, e stando così, i saraceni parevano farla finita sulla Spagna. Allora Bermondo, collegatosi con il re Garzia di Navarra e <con il conte> di Castiglia550, venne contro agl'infedeli con sì furioso impeto che il loro condottiero Almansor551, perduti 70 mila fanti e 40 mila cavalli, morì egli stesso di duolo.
I saraceni, divisi già in due sette, di sonniti552 o maomettani puri, e di schiiti seguaci di Alì, seguendo nel Mille la filosofia greca, si partirono in più altre sette, che poi furono dannosissime [432] anche allo Stato. La setta dei drusi era dominante fra le molte. Abou-Nediah spirò fra atroci tormenti per sostener l'onore di questa nuova religione553.
Il califfo Hakem fu un prodigio di incostanza e di crudeltà. Fingeva <di> proteggere or questa ed or quella classe di cristiani o di ebrei ovvero di setta saracena, e poi li trafiggeva con ferro rovente. Diceva che l'anima di Alì si era - 487 -incarnata nella sua e che egli era l'onnipotente. Comandava a capriccio di vendere o di ritenere qualche qualità di merce. Voleva <che> non si vendessero uve fresche ovvero secche, non miele, e distrusse di uve duemila 840 casse, di miele 5 mila botti.
Faceva chiudere in chiesa donne cristiane e poi murando le porte costringevale a morire di fame. Poco di poi (1017) restituì ai cristiani la libertà di culto. Allora in una settimana sei mila cristiani, che per salvar la vita dissero <di> abbracciare il Corano, ritornarono alla fede. Hakem spargeva la sua dottrina sovrat<t>utto fra la gente ignorante dei monti. Sosteneva poi che l'anima di Adamo era passata in Alì e poi nei discendenti propri e in sé.
Otto secoli di poi, cioè nel 1841, la luce del dì vedrà in Francia un personaggio per altro ignobile, certo Enfantin, che si proclama dio del mondo e compendio della divinità.
8. Gli ebrei intanto per odio ai cristiani distrussero la chiesa della Risurrezione, a mezzo di Hakem califfo di Babilonia o dell'attuale Cairo. Il principale autore di tanto disastro fu bruciato vivo. Sant'Enrico di Germania cacciò da Magonza tutti gli ebrei. La Chiesa di Gerusalemme poi, scrivendo alla Chiesa di Roma, salutavala554 Chiesa universale la quale comanda agli scettri dei reami, banderaia e compagna nella pugna contro agli inimici della croce... Il pontefice, allora Silvestro ii, [433] con buon esito corrisponde allo invito, quando con la destrezza della politica, quando con la forza delle armi. Nell'anno 1648 accadde che, ristorandosi la chiesa di san Giovanni Laterano, si scoprisse entro avello marmoreo intiero il corpo di papa Silvestro che poi a contatto dell'aria presto si disciolse in polvere.
Nell'anno millesimo dell'era cristiana si noverano altri personaggi illustri. San Froilano555 si trasse nel deserto e adunò intorno a sé dugento monaci. Sant'Attilano fu uno dei primi - 488 -seguaci suoi e fu poi vescovo di Zamora556, mentre Froilano fu indetto alla sede di Leone.
San Nilo appressandosi a Roma diceva: “Io non son degno di chiamare per nome gli apostoli del Signore”. Gregorio conte di Tuscolo557, che si ravvede alle esortazioni di san Nilo, diceva alla sua volta: “Io non son degno di ricevere un santo” e allogò Nilo con alcuni suoi nella villa che fu già di Cicerone558 e che è detta Grotta ferrata. Ma san Nilo, scorgendo d'essere anche qui onorato, fuggì atterrito e intanto lo colse una morte santa. Nel 1005 morì pure sant'Adalberone559 vescovo di Metz, che essendo di famiglia reale e tenerissimo pei poveri, indossava il cilizio nella celebrazione dei santi misteri.
Riccardo, abate di San Vannes, in recitare i salmi del Salterio stavasi appoggiato meramente alle dita dei piedi e delle mani. Preso consiglio da sant'Odilone560, eresse monasteri di osservanza sì rigorosa da eguagliare il fervore dei cenobi di Egitto e di Nitria. Aveva occhio a tutti. Uno sciagurato si avventò per ucciderlo e in vibrare il colpo sentissi il braccio inaridito. Riccardo perdonogli e lo guarì. Seguendo l'esempio di Riccardo, il conte Federico si veste di cocolla e con umiliarsi avanti <a> tutti si dispone a crescere in merito per il regno [434] de' cieli.
Folco, conte d'Angiò, edifica monasteri per ottenere che personaggi santi preghino per lui. Ma Folco561, mentre faceva il divoto, era pure gagliardo e feroce. Dicevasi “il martello”. Aveva usurpato qualche bene di Chiesa e l'arcivescovo si rifiutò <di> benedire i suoi monasteri, onde Folco appellò a Roma.
Più savio di tutti fu il conte d'Aquitania Guglielmo v detto il Grande. Era potente come un re e fabbricò monasteri nel Poitù; fu amico di Fulberto di Chartres, che scrivendo contro i giudei confutava le loro obbiezioni con cui pretendevano che - 489 -lo scettro di Giuda fosse florido nelle famiglie, né trovarsi altrove un re lor proprio. Fulberto è meritevole d'esser noverato fra i Padri della Chiesa.
Alcuni errori serpeggiavano pure in questo tempo. Leoterico562, nella sede di Sens, in porgere il Corpo di Cristo premetteva queste parole: “Se sei degno, ricevi ecc...”. Leutardo a Châlons e Vilgardo a Ravenna spacciavansi profeti. Una visionaria, da Italia venuta ad Orleans, trasse al suo parere alcuni ecclesiastici appo i quali confessavasi, e fissò le massime e le pratiche del manicheismo antico. Ma questi eretici, scoperti, furono dispersi e <mai> più di loro se ne parlò. Un Arefasto563 illuso ne confessò le turpitudini. Invocavan Satana564 che appariva in forma di bestia nera; ucciso poi un fanciullo di otto dì, bruciavanlo e assaporandone con cibi quelle ceneri dicevano <di> mangiare un cibo spirituale attissimo all'anima di chi crede.
9. Dileguate queste crude superstizioni, la fede apparve fulgidissima in quest'epoca, quando i fedeli tolsero a riconstrurre in esemplari più elevati quasi tutte le chiese o di città o di campagna, ovvero i fabbricati di monasteri e di monumenti sacri. Le chiese di quest'epoca elevaronsi dal [435] suolo come un'immensa poesia e qual prodigio d'architettura. Nella facciata è descritta la storia dell'Antico e del Nuovo Testamento. Le torri del tetto ti elevano al cielo, lo squillo delle campane è la voce di Dio, le guglie ti rapiscono. Nello interno scorgi tanta altezza che le case dei grandi al confronto ti appaiono come topaie. Una selva di colonne da terra par che <a>scendano al cielo e ridiscendano a recarti i beni di lassù. Le finestre colorate ti rammentano i misteri di Gesù e della Vergine; è l'unità di Dio nello altare santo. Negli architetti non scorgi memoria del loro nome, perché a Dio solo è la gloria di tutto. Sotto al pavimento sono i sepolcri565 dei vescovi e - 490 -dei principi illustri che hanno guidato i popoli a salute. Ricchi e poveri muovono a gara per istituire Dio erede delle proprie sostanze.
Ritorniamo a sant'Enrico. Egli non fu sol santo, ma eroe. Mosse con tre spedizioni alla volta d'Italia, finché in Pavia con applauso generale fu incoronato re di Lombardia. Ritornando poi in Germania, compare nel concilio di Francoforte; si pone ginocchione avanti i 35 vescovi adunati e dice: “Io non mi leverò finché non mi promettiate di aiutarmi ad erigere un vescovado a Bamberga”. Enrico ha cura di promuovere i cappellani che educa presso di sé alle sedi di vescovo in Utrecht, in Brema ed altrove.
Gli slavi irrompendo menano strage. I cristiani di Sassonia malfermi si ribellano a Dio ed al sovrano. Gli slavi, tolti per ultimo 60 sacerdoti, gli strappano la pelle dal capo e li conducono con infiniti strazi in visita alle città slave. Il danno alla religione fu senza misura; moltissimi cristiani perirono. I pontefici Giovanni e Sergio e Benedetto, che porsero sempre aiuto a sant'Enrico, in questo momento (1009) adunarono intorno al pio imperatore missionari intrepidi e vescovi potenti, i quali [436] istituendo novellamente scuole e monasteri ritornarono la fede in quella infelice nazione. Dopo ciò Enrico ritorna a Roma dove è consacrato imperatore. Riceve dal pontefice un pomo d'oro con croce pure d'oro, che Enrico dona poi al monastero di Clunì.
In Roma non si cantava il Simbolo nella Messa, perché la città non fu funestata da eresia giammai. Enrico ottiene che vi si canti tuttavia. Venuto poi a Bobbio, vi edifica un convento, ed entrato nel monastero di Clunì sclamò: “Io non mi partirò più da qui. Vo' farmi monaco per dispormi alla mia eternità”. Sant'Odilone si fa a parlargli così: “Tu sarai il monaco ed io prendo cura dell'anima tua, ma tu ritorna al governo, perché senza te il regno si sfascerebbe”. Obbedì Enrico.
I saraceni invadevano la Toscana e minacciavano Roma. Il califfo mandò un sacco di castagne al papa dicendo: “Numera queste se vuoi sapere il numero de' miei soldati”. Il pontefice, allora Benedetto viii, mandò alla sua volta un sacco di miglio. Riccardo e Ruggero, normanni intrepidi, avevano già - 491 -ottenuto vittorie su greci e su saraceni. Per incuter terrore ai nemici, fatto cuocere un musulmano in ogni dì, porgevanlo a mangiare.
A Canne avevano anche toccata una disfatta perché il governatore di Capua aveva tradito. Ma pervenendo sant'Enrico da Germania, muove con questi e dissipa le truppe nemiche. Di poi novellamente si fa a ristorar i danni delle chiese nei concili di Pavia e in quelli di Aquisgrana. Per due volte e con cordialità carissima alle sponde della Mosa riceve e restituisce visite e doni a Roberto, piissimo re di Francia.
Per ultima volta si recò anche a Roma per essere benedetto dal Vicario di Gesù Cristo. Venuto allo altare di san Pietro, depositò entro a ricchissima borsa il manoscritto di un'antifona composta [437] e musicata da lui in onore di san Pietro apostolo566.
Da Roma ritornò alla sua Germania, dove accordò con Roberto di Francia di trovarsi poi a Pavia con il legato pontificio a fine di conferire in argomento di religione e di Stato. Ma lo prevenne la morte, essendo nella piccola città di Grona addì 14 luglio 1024. Santa Cunegonda, consorte ed imperatrice, assisteva in duolo. Sant'Enrico avanti spirare si rivolse ai parenti della imperatrice e disse: “Cunegonda voi me la avete data vergine, ed io qual me la deste ve la rendo”. Tosto poi chiuse gli occhi avendo 52 anni di età.
Vivo e morto, Enrico continua <a> parlare al mondo e dice: “Im<m>agine del secolo decimo sono io. La fede salva le anime, la fede prospera le nazioni!”
1. La fede nel Mille.
2. Si risuscita il fervore nei monasteri.
- 492 -3. Credenze particolari intorno la fin del mondo. Crescenzio ribelle al pontefice. Sant'Adalberto. Roberto re.
4. Ottone di Germania. Concilio in Aquisgrana.
5. Santo Stefano re d'Ungheria.
6. Sant'Edoardo. Etelredo. Invasion di danesi. Sant'Elfego.
7. San Canuto re. Spagnuoli ributtano saraceni.
8. Furore di ebrei contro ai cristiani. San Froilano, san Nilo, sant'Odilone. Guglielmo v il Grande.
9. Rinnovazion dei templi santi. Nobili tratti e morte di sant'Enrico.