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DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO III LXXVII. La vita della Chiesa |
1. [164] Entra nel santuario di una famiglia cristiana. Ecco là i membri della casa adunati a festa presso una culla. Godono perché nella famiglia è entrato un figliuoletto. - 674 -Ognuno gode <di> porgergli un saggio di quel cibo dolce e molle che al bambino si conviene. Il fanciullo cresce avanzatuccio, è giovincello, poi uomo adulto e personaggio illustre.
Come i parenti a poco a poco e attentamente gli porsero il cibo del corpo, così con cura egualmente sollecita gli hanno porto il sostentamento dell'anima. La mente ed il cuore del giovine figlio, quasi pesce nel suo liquido elemento, l'hanno fatto guizzare nelle acque purissime della fede e del costume santo. Quel giovine or egli è o magistrato integerrimo o nel ministero del culto santo sacerdote che sospira incessantemente: "Vo' salvare le anime!" Credetelo, lo spirito di fede, di preghiera, di sacrificio, è la vita della Chiesa di Gesù Cristo.
2. Rodolfo di Habsburgo208 l'abbiamo scorto da semplice cittadino volare con la mente e con il cuore a Dio. Gli angeli del cielo l'additarono ai giusti della terra dicendo loro: "Eleggetelo Rodolfo in vostro re, che vi sarà padre amante". Obbedirono. I discendenti209 della casa di Habsburgo regnarono con gloria attraverso ai secoli fino ad oggidì.
San Luigi di Francia in un'estasi di pio desiderio lascia la Francia, viene a Tunisi, sospira gridando: "Chi salva questo popolo? Ed a Gerusalemme chi s'affretta?"[165] In dirlo volge ambedue le mani all'alto e riceve nell'una la corona del confessore, nell'altra poi la palma del martire. Fratello a san Luigi era Carlo re di Sicilia, il quale pervenuto a vista di Tunisi solleva bandiera di gioia. Ma gli si risponde con vessillo di lutto. Carlo s'abbraccia alla salma del caro estinto, scende a capitolazione con Tunisi, e adagiando le spalle regie al pietosissimo carico accompagna la sepoltura fino in San Dionigi, nella tomba dei reali di Francia. Ivi è la salma del re dei francesi.
Ma Edoardo sovrano d'Inghilterra giunge in quell'ora e grida: "Arrestate, ché con gl'infedeli, i nemici della croce di Gesù Cristo, non si può venire a patto veruno. I saraceni sono da distruggere". Non è ascoltato. Parve agli altri ritornare e - 675 -furono in numero di quattro mila assorbiti dalle acque presso a Trapani210.
3. Edoardo proseguì suo cammino alla volta di Terra Santa. Prendeva vigore sempre vivo in fissare nel volto a Teobaldo, arcidiacono211 di Liegi, che l'accompagnava con fede in quell'impresa. Quando addì 27 ottobre 1271 nella città di Tolemaide giunge avviso essere stato Teobaldo eletto al solio del pontefice sommo, Edoardo sclamò: "Il cuore di Teobaldo vive della vita di Gesù Cristo; non può non effondere il pontefice novello lo spirito, che è la vita della Chiesa, nel cuore degli uomini in tutta la terra".
Fu buon profeta. Teobaldo prese il nome di Gregorio x. Continuando poi in ispirito a Gerusalemme, ammonì severamente i cristiani di San Giovanni d'Acri e di Antiochia, dicendo: "Come può stare a difenderci la virtù di Dio fra cristiani che vivono nella sozzura di iniquità?" E di là dirigendo il corso incontrò i tartari che, guidati da Marco Polo, intendevano far capo al Vicario di Gesù Cristo.
Il pontefice Gregorio guardò alla Italia e la fece gemere, alla Germania e fecela sospirare. Il pontefice le mostrò la persona adorabile del Salvatore schiaffeggiata novellamente da giudei perfidi, e quei d'Italia [166] si mossero ai gemiti, poi alle lagrime ed al gridare desolato. Uomini e donne, vecchi e fanciulli, patrizi e popolani movevano in processione flagellandosi e confessando alto i peccati propri. Restituivano il mal tolto, riparavano gli scandali dati, supplicavano di mercé. E come nella Italia, così nella Germania.
4. Rodolfo di Absborgo porgeva il cavallo in dono al sacerdote che accompagnava allo infermo il santissimo Viatico del Corpo di Gesù Cristo. Rodolfo, figlio di Alberto, fu in concetto di santo e morì a Spira212. Pascevasi di rape e con quella destra con cui vinse poderose battaglie, con quella cuciva la sua veste. A chi per insulto coprivalo di immondezze,- 676 - Rodolfo per castigo voleva che facessero altrettanto in altra ripresa. Avanzava dalle spalle sul capo a tutti. In venire trionfalmente si trovò chi disse: "Che naso grande!" Rodolfo si volse dal fianco opposto e ridendo disse: "Potete ora passar oltre?" Amavanlo svisceratamente i sudditi. Più l'amavano quando scorgevanlo afflitto da domestiche sciagure. Diceva ai popoli suoi: "Amate i pastori delle anime vostre".
Gregorio guardò ai saraceni e scorse che nessuna setta di eretici mai nocque tanto come la superstizione maomettana. Però attese a ripararvi.
5. Guardò alla mala fede dei greci e parve commoverli co' suoi alti sospiri. L'imperatore Michele Paleologo chiamò intorno a sé Vecco, cartofilace nella Chiesa greca, personaggio erudito e sacerdote zelante. Dissegli dunque Michele: "Non vi pare che noi faremmo meglio <a> ritornare all'unione del pontefice romano? Gregorio più che uomo egli è angelo in carne e ci attende con brama da cherubino". Rispose Vecco: "Alcuni hanno il nome di eretici e nol sono; altri sono tali e non ne hanno il nome; i latini son di questa specie". Aggiunse il Paleologo: "Io ve ne esorto, studiate meglio. Tre articoli soli ci dividono da Roma e sono il primato del pontefice, le sue appellazioni e la menzione di lui nelle preghiere della santa Messa".
[167] Gregorio x a tant'uopo e per aiuto alla Chiesa uni
versale adunò in Lione un concilio generale. Erano congregati oltre a cinquecento vescovi e più che mille prelati. Lume splendidissimo veniva san Tomaso d'Aquino, che recava il suo trattato contro ai greci. Nondimeno Tomaso in breve infermò. Consolavasi in ripetere: "Domandai di morire come semplice religioso e l'ottenni". Indi proseguiva: "Chiunque camminerà continuo alla presenza di Dio, sarà sempre pronto a rendergli conto delle sue azioni, e non perderà mai il suo amore consentendo al peccato". Tomaso, ricco fra tutti della vita della Chiesa perché fra tutti scrisse e operò egregiamente per la Chiesa, addì 7 marzo 1274 passò alla vita gloriosa dei beati in cielo. I religiosi domenicani di Tolosa s'ebbero in dono più prezioso dell'oro la salma del dottore. L'uno avambraccio che aiutò <a> vergare il miracolo di tanti libri l'ebbe il duca di - 677 -Modena e l'altro il popolo di Napoli. Il pontefice sclamò: "San Tomaso, prega, prega per noi". E dispose che tanto si movesse gaudio nella festa di san Tomaso come nelle solennità dei santi Ambrogio, Agostino, Girolamo e Gregorio.
San Bonaventura era presente al concilio e con la vivezza del suo affetto e con la forza della sua parola elettrizzava gli animi dei convenuti. Ma presto ricadde anch'egli presso alla salma di Tomaso, il diletto suo. Bonaventura, serafino d'amore, volò egli stesso fra gli angeli celesti. Gregorio x coll'amorevolezza di sua voce aveva tratto a sé i greci, tirato aveva da lungi i tartari stessi. Nello incontrarli abbracciolli festoso e disse: "Sorgi, Gerusalemme, e sta in alto, e gira gli occhi all'oriente e mira i tuoi figli raunati dall'oriente fino all'occidente"213. Giorgio Acropolita, gran logoteta, rispose al pontefice sommo: "Io abiuro lo scisma pel mio signore e per me; credo di cuore e professo colla bocca la fede cattolica, ortodossa e romana che abbiamo letto or ora e riconosco [168] il primato della Chiesa di Roma e l'obbedienza che a lei è dovuta. Io confermo il tutto con giuramento sull'anima del mio signore e la mia".
6. Il cielo con prodigio manifesto mostrò di essere con la sua Chiesa. In Lione infieriva una pestilenza cruda. Il sommo pontefice con molta fede in Dio trasportò processionalmente reliquie di santi martiri e tosto il contagio cessò. Attese di poi a descrivere costituzioni per il retto ordinamento della Chiesa, finché applaudendo con purissima gioia ai greci ed ai tartari, ai latini ed ai tedeschi, benedisse a tutti e ritornò a Roma. In passare visitò Milano dove il popolo con strepitosa gioia uscì incontro sclamando; "Santissimo e beatissimo Padre, benediteci!"
<7.> Pervennero alle lor terre i tartari stessi, i quali alla lor volta continuavano <a> raccontare magnifiche cose di Gregorio e del concilio. Il loro sovrano, il gran khan, in udire levossi e sclamò: "Cessino infra noi le sedizioni ed i tumulti; più degna cosa è scrivere al pontefice ed ai potentati cristiani in occidente- 678 - per dir loro che noi siamo lieti a venire in loro soccorso per distruggere i saraceni, nemici perpetui del nome cristiano". La voce del gran khan fu accolta da Giulio pisano che la ribadì con affetto alle orecchie dei chinesi. Fra Giovan di Monte Corvino in breve divenne arcivescovo di Pekino. Russi, francesi e più altri popoli d'occidente mandarono lor missionari a predicare, e così in breve la Tartaria si rese in massima parte cristiana.
Lo spirito del male vinse nuovamente nella Tartaria, ma nondimeno traccie evidenti di Cristianesimo rimasero nella religione dei lama, i quali conservano massime e culto e pratiche di costume che assai più dei buddisti dell'India lascianli avvicinare alla fede cattolica.
Gregorio Abulfaragio214, primate dei giacobiti, ne scrisse con erudizione profonda. Il dotto maronita Assemani215 poi, con il pio gesuita Papebrochio mostrano ad evidenza che il popolo minuto non partecipava allo scisma dei grandi. In ispirito e formalmente [169]il volgo era unito alla fede del Salvatore. Il popolo fu nella Russia ingannato dai libri di quei maligni che in presentare loro il papa di Roma il copersero del nero manto della calunnia. Così gli scellerati ottennero che fino a questo giorno il popolo illuso nella Russia credesse <di> lodare Iddio con scagliare ingiurie e bestemmie al Vicario di Gesù Cristo in terra.
Lo spirito vivificante, che è la fede e la preghiera, quanto cresceva sulla terra di occidente, tanto diminuiva nelle regioni d'oriente. I greci erano un ramo quasi staccato dall'albero della Chiesa.
L'imperatore Michele Paleologo depose il patriarca Giuseppe, esulò molti fra quelli che ripugnavano a riconoscere il pontefice, riempì le carceri di imputati. Ma più che la fede premeva al Paleologo il trono che Carlo di Sicilia minacciava di rapirgli. Michele per scampare da una guerra e da una rotta inevitabile mandava legati al papa. Gli stessi ambasciatori- 679 - pontifici216 li ricevette con pompa cortese nella sua città capitale e nei reali palagi, ma intanto che si effondeva con i legati così, teneva adunato un concilio dei vescovi e dei maggiorenti del regno, ai quali in pieno consesso aveva detto: "Io sono obbligato <a> trattare con generosi modi i legati del pon
tefice, ma non temete che io sarò sempre con voi". Scorgete ora viltà del basso impero?
8. Un Giovanni signore di Procida, discendente dalla spenta dinastia di Svevia217, profittando dei malcontenti che erano in Sicilia a cagione delle tasse che imponeva re Carlo, venne allo imperator di Costantinopoli e parlò: "Se volete se
guire il mio consiglio, voi potete assicurarvi dagli assalti del re Carlo. Io farò ribellare la Sicilia contro Carlo medesimo, con il soccorso dei signori del paese e del re di Aragona, il quale pre
tende aver diritto su questo regno a ragion di sua moglie Co
stanza, figlia ed erede di Manfredi". La congiura fu accettata.
Era la Pasqua, 29 marzo [170] 1282. I palermitani all'ora di mezzodì uscivano al passeggio alla campagna, quando un ufficiale del governo usò qualche insulto alla modestia d'una giovine sposa. Tosto cominciò il grido: "Scacciamo i francesi!" Le campane suonarono a stormo. I francesi che già erano adunati nella chiesa furono trucidati, dugento ne furono uccisi fuori.
Il re Carlo riparò a Roma. Vennero là pure i palermitani sup<p>licando con queste parole: "Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi!" Ai quali rispose il papa: "Lo chiamavano re dei giudei e gli davano schiaffi"218 e rimandolli.
Il re Carlo scrisse con espressione di alto sdegno al re di Aragona, che alla sua volta gli soggiunse con eguale severità e sfidollo a duello nelle terre di Edoardo d'Inghilterra. Non ac
consentiva il pontefice, ma Carlo temendo di apparir vile venne con molto apparato per provarvisi. Quel di Aragona
- 680 -mandò <a> dire che gli era soprag<g>iunta indisposizione e con ciò ritraevasi per sempre.
Il sommo pontefice sentenzia: "Il regno di Sicilia è mio ed io l'ho dato ad amministrare a Carlo; or chi osa contraddirmi?" Scomunicò Pietro219 per suoi iniqui attentati; scomunicò parimenti Giacomo pur di Aragona con la madre Costanza perché mantenevano le ribellioni di Sicilia.
Re Carlo220 morì. Gli succedette Carlo ii, nipote di san Luigi di Francia, con la sposa Maria, nipote ella stessa di san
t'Elisabetta di Turingia e madre a Lodovico vescovo di Tolosa, che seguendo gli esempi di san Francesco crebbe in alta perfezione. Mercé la cooperazione di personaggi sì santi, lo spirito di Dio, che è la vita della Chiesa, moltiplicò sul reame di Napoli e vi apportò immensi beni.
9. Questo medesimo spirito infiacchiva in oriente e nella stessa Palestina, e per questo ne vennero incommensurabili danni. In Africa rimaneva un sol vescovo [171]e risiedeva nel Marocco. I cristiani di Tripoli assediati dai turchi non furono atti a difendersi e caddero miseramente, dopo avervi comandato per lo spazio di 180 anni.
Restava Tolemaide. Questa ricchissima e bellissima città riceveva mercanti da tutto il mondo ed aveva le rappresentanze dei principali governi del mondo. Ma gli abitatori si affondavano nel lusso. Ai primi rumori di guerra inviarono i tesori più preziosi a Cipro e attesero. I saraceni li tormentarono per assedio e con assalto, finché entrarono trionfanti, quando Matteo di Clermont ospidaliere, deposte le ire di parte, gridò: "Perché morremo tutti da vile sotto i colpi della scimitarra turca? Difendiamoci fino all'ultimo sangue". Matteo221 di Clermont ottenne di respingere per un momento i saraceni, ma vi ritornarono. Il patriarca gridò: "In nome del Signore io ve ne scongiuro, confessate le vostre colpe tutti e comunicatevi allo altare del Signore e poi d'un cuor solo gridiamo: - 681 -Meglio morire che vedere i mali del popolo!" Sorsero invero intrepidi e combatterono come lioni, ma sopraf<f>atti dal numero vi caddero.
Il patriarca Nicola voleva morire coi suoi. Fu trascinato alle navi; entrò e volle con sé quanti credette poter salvare, ma la nave oltremodo carica perì al fondo nella prima burrasca che incontrò. Era il 18 maggio 1291. I tartari parevano venire in soccorso, ma tardarono.
Due Giuda traditori, Alfonso iii di Aragona e Giacomo di Sicilia, mentre mostravano zelo per la Terra Santa erano intesi con il sultano d'Egitto di impedire quanto potessero i crociati, di riferire le mosse dello esercito cristiano. Promisero che per qualsiasi richiesta non avrebbero mandato denaro ed armi ai crociati. Il sangue come sale alla fronte in ricordare tanta viltà!
Insieme con Tolemaide caddero le fortezze minori di Terra Santa. Gerusalemme fu perduta. Ed ora giace la meschinella avvilita dal 1291 a quest'anno 1887. Sionne perduta, quando ti troveremo, quando?
10. [172] Ma ritorniamo dove lo spirito di Dio, vera vita della Chiesa, è più lieto. Ivi si respira un'aura di paradiso. Noi godiamo in accostarci alle persone venerande del beato Andrea in Siena, che a guisa di Finees punisce un bestemmiatore e si ritrae poi per santificarsi alla solitudine.
In Siena stessa un fanciulletto orrendo in volto e mostruoso nelle membra veniva nascosto per rossore dalla nutrice, ma un pellegrino in passare disse: "Donna, non temere, ché questo bambino sarà la luce e la gloria di questa città". Fu vero; Ambrogio si rese celebre per dottrina e per santità. La Vergine benedetta per tempissimo tolse a guarirlo nel corpo e perfezionarlo nell'animo.
In questo periodo san Giacinto e san Sadoc222 percorrono la gran Tartaria e la Polonia in fatiche incessanti. A Sandomiro quarantun cristiani illustri ricevono profezia che morranno martiri e poco di poi ne sono incoronati. Il beato Egidio di - 682 -Sant'Irene, il beato Guido, il beato Lobedau223 nella Prussia, la beata Salomea224 nella Polonia, il beato Giovanni di Fermo, il beato Benvenuto di Ancona.
San Bertoldo e san Menrico, premonstratesi, accompagnarono il divin Salvatore quasi Giovanni il diletto fino al monte Calvario, appiè della croce. La beata Elisabetta Picenardi225, i sette beati fratelli servi di Maria chiamati Laudesi226, san Filippo Benizzi, san Pellegrino, san Silvestro Gozzolini, il beato Amato Ronconi, il beato Fazio da Verona227 e più altri a modo di Sansoni novelli diedero saggio di una forza sovran<n>aturale attissima per sconfiggere le forze d'inferno e salvare il mondo.
San Simone Stock228 propagò l'ordine dei carmelitani; san Raimondo da Pennafort volendo ritornare da Maiorica229 a Barcellona e impedendolo il sovrano disse: "Un re della terra ci chiude il passo, ma il Re del cielo vi supplirà". Stese dunque il mantello suo sopra le acque e galleg<g>iando su quello compié 60 leghe di cammino.
A Treveri un giovinetto Verner si accosta al santo [173] altare per la Comunione pasquale. Gli ebrei per odio alla fede cristiana lo traducono in segreto e lo martirizzano fra crudi strazi. Il beato Verner defunto parla tuttavia con la potenza di molti prodigi. A Parigi un ebreo rabbioso tolse ad inveire con sacrilego trattamento intorno al Sacramento augustissimo e vide spicciar sangue dall'ostia benedetta e riempir la casa di molteplici prodigi.
Santa Elisabetta regina illustrava il Portogallo. Con l'esercizio d'una pazienza invitta ottenne che il proprio consorte, il re Dionigi, lasciata la via di un libertinaggio scandaloso, si dirigesse - 683 - ad una condotta di vivere santo. Sant'Agostino conduceva vita nascosta nel convento di Rosia in Toscana. Stese una memoria per rivendicazione di certo diritto nel monastero, che letta dall'avversario fecelo sclamare: "Chi ha steso questa memoria è un diavolo o un angelo o il signor Matteo di Termes". Matteo di Termes, palermitano, lasciato il mondo prese il nome di Agostino e fu istitutore degli eremiti detti del dottore sant'Agostino. Gli agostiniani s'ebbero il beato Clemente di Sant'Elpidio, il beato Antonio Patrizi, il beato Gregorio Celli, il beato Nicola da Tolentino.
Raimondo Lullo230 viveva perduto per tal donna la quale per disingannarlo gli mostrò il petto corroso da orrenda cancrena. A tal vista Raimondo si ritrasse e scrisse i libri chiamati La grand'arte, L'arte generale, L'arte dimostrativa, che spiegò a Roma ed in molteplici concili, per istituire collegi atti allo studio delle lingue orientali e convertire i saraceni. Pellegrinò alla Tunisia, convertì alla fede molti filosofi averroisti, e ritornando dedicò al re di Francia il libro dei Dodici principii. A Roma231 descrisse pure il libro Albero delle scienze. Raimondo Lullo232 fu martirizzato in Africa. Ebbe genio grande e fede maggiore.
Altri personaggi illustri confortarono il mondo cristiano nella seconda metà del secolo decimo terzo. Sono specialmente i seguenti: il beato Ivone, detto "avvocato [174]dei poveri"; il beato Giacomo di Varazze che conciliò Genova, rotta in fazioni da 50 anni. Scrisse vite dei santi nel suo libro Leggenda aurea. Il beato Alberto da Bergamo moltiplicava il pane in pro dei poveri. Il beato Nevolone233, calzolaio di Faenza; santa Margherita da Cortona, che convertita da via pessima ritornò santa ripensando ai patimenti di Gesù salvatore.
Angelerio234 e Maria piissimi coniugi allevarono dodici figli, dei quali Pietro si ritirò alla solitudine ed avendo già settant'anni- 684 - fu eletto al solio pontificio che tenne per cinque mesi. Si chiamò Celestino. Ma benché santissimo nella sua condotta, commetteva talune inesattezze nel governo della Chiesa e mal s'adagiava al consiglio dei cardinali. Credette <di> non posseder a sufficienza lume di prudenza e di sapere, e per questo rinunciò al pontificato e si ritrasse a condurre vita tuttavia solitaria. Fece miracoli in vita e dopo morte; fu istitutore di un ordine di religiosi che molto illustrarono la Chiesa.
11. La presenza di tanti santi inspirò in cuore ai fedeli un fervido desiderio del perdono delle proprie colpe. Corse voce che visitando il tempio di san Pietro i fedeli avrebbero guadagnata indulgenza. Questo bastò perché dugento mila pellegrini volta a volta si succedessero in quest'anno 1300 a venerare il sepolcro del principe degli apostoli. Il pontefice, allora Bonifacio viii, estese bolla indulgenziata, onde i popoli più lontani della Tartaria accorrevano per essere benedetti. Intanto avveniva questo: in occidente prendeva vigore la vita della Chiesa, e questa faceva sì che Rodolfo di Absborgo, invitato puranco da' suoi popoli, sclamasse: "Viva Gesù Cristo e la prosperità dello impero!" I re di Francia e di Inghilterra ne seguivano l'esempio e assistevano poi a numerosi concilii che si adunavano per aiutare il riordinamento della disciplina ecclesiastica, il buon costume e la felicità dei popoli.
In oriente poi, e sovrat<t>utto nello impero greco, [175] lo spirito di Gesù Cristo veniva meno fin quasi a spegnersi, e per questo caddero in mano ad Otmano, duce dei turchi235, che poi dominò i musulmani dal 1300 al 1887 che corre, fissando sua residenza in Costantinopoli.
L'impero cristiano in occidente innalzò i popoli a florida prosperità, l'impero ottomano in oriente ridusse i popoli alla barbarie. Credetelo, tanto vale vivere della vita della Chiesa come vale vivere della vita di Dio; tanto nuoce lasciarsi trarre nel sonno dell'errore quanto nuoce stare nelle ombre di morte.
- 685 -Riflessi
1. La vita della Chiesa si sviluppa grado a grado.
2. Rodolfo di Habsburgo, san Luigi di Francia.
3. Edoardo d'Inghilterra. Teobaldo e Gregorio x.
5. Gregorio x ed il Paleologo di Costantinopoli.
7. Fede nella Tartaria. Assemani e Papebrochio. Indebolimento di fede a Costantinopoli.
8. Giovan di Procida invita i saraceni a prender Sicilia. Re Carlo e <il>re d'Aragona si sfidano a duello.
9. Mali in oriente ed in Palestina. Cadono Tripoli e Tolemaide.
10. Il beato Andrea da Siena, san Giacinto, san Sadoc in Tartaria. Eletta di santi in Europa.
11. Giubileo sotto Bonifacio viii. Stato della Chiesa in occidente ed in oriente.