Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Da Adamo a Pio IX (III)...
Lettura del testo

DA ADAMO A PIO IX QUADRO DELLE LOTTE E DEI TRIONFI DELLA CHIESA UNIVERSALE DISTRIBUITO IN CENTO CONFERENZE E DEDICATO AL CLERO E AL POPOLO III

LXXXII. La fatica

«»

[- 720 -]

LXXXII.

La fatica

  1. [211] In Domremi, piccolo villaggio nella Francia, è la casuccia di contadini <di> Giacomo d'Arc e di Isabella Romée325. Sul capitello della porta d'ingresso è una statua di una giovinetta genuflessa, è armata in atto di appiccare combattimento. Al piedistallo della statua è scritto: "Viva la fatica! Viva il re Luigi". Quella statua è l'immagine di Giovanna d'Arco, la verginella illustre d'Orleans, la liberatrice della Francia. Una donna scellerata, Isabella di Francia stessa, rovinò la nazione con le dissolutezze. Una donna vergine di Francia salva il popolo con la fatica.

 

  Giovinetta tuttavia, dormiva sul nudo pavimento, si cingeva di cilizii il corpo, digiunava austeramente e pregava con la pietà di un angelo. Custodiva le pecore del padre suo. In breve Giovanna sarà alla testa di esercito formidabile. Ella sentesi bruciar la terra sotto ai piedi e nel cuore ode una voce che con terribile imperio le grida: "Affrettati e salva il re. Tu libererai Orleans, farai incoronare Carlo vii a Reims, ma sollecita perché poco tempo ti rimane per incominciare e per compiere quest'alta impresa. Non temere, -- continuava la voce -- chi ti manda sono io, il Signore che ti ha creata". Poco stante le compare san Michele arcangelo e la conforta dicendo:  "Affrettati che il Signore è con te". Le compare la vergine santa Catterina e la vergine e martire santa Margherita e le - 721 -dicono: "Su, che dubiti? affetto e gloria al Signore che ti manda".

 

  [212] Giovanna ne parla al padre e ne è derisa, si esprime con lo zio e ne è compatita. Si presenta alle autorità più rispettabili del contorno e queste quasi trasognando sclamano:  "Meschinella! Giovanna, che è purebuona, ella impazzisce!" Ma non s'arresta la giovinetta e sola sen viene al capitano <Baudricourt a>326 Vaucouleurs e grida: "Io sono nata per parlare al mio signore, il delfino, lasciatemi passare".

 

  Il re era stato detronizzato dagli inglesi. Addì 24 febbraio 1429, Orleans, ultimo baluardo del re Carlo, era caduta. Ivi 1500 inglesi avevano completamente rovinato l'esercito di 8000 soldati del re Carlo. Il misero re giaceva in orribili strettezze. Giovanna fu introdotta alla presenza del sovrano. Aveva allora dicias<s>ette anni.

 

  "Era di una bella statura e molto ben rispondente in tutta la persona; aveva bianco il colorito, neri gli occhi ed i capegli. Questi erano tagliati corti ed in giro, come costumava allora la cavalleria. Aveva assai vivezza ed una gagliardia di corpo fuor dell'ordinario; inoltre era coraggiosa ed esperta in maneggiar l'armi a guisa del più valente cavaliero. Semplice e modesta, ella parlava poco, ma se il discorso cadeva sopra la sua divina missione incominciava con dire copioso, potente, ispirato a guisa di quello di una profetessa. I lineamenti del suo volto erano delicati e avevano l'espressione di una pietà dolce e piena di fiducia in Dio. A dir breve, in tutta la sua persona brillava alcunché di divino".

 

  Or Giovanna, salutato rispettosamente il re e postasi ginocchione, parlò: "Io mi chiamo Giovanna la Pulzella e sono qui mandata da Dio per portare soccorso a voi, gentil sire, ed al vostro regno, e il Re del cielo vi comanda per mezzo della mia voce di farvi consacrare e incoronare nella città di Reims e voi diventerete il vicario del Re del cielo, come il debb'essere ogni vero re di Francia".

 

  Ora il re parlò a lungo con i vescovi e con i maggiorenti - 722 -del trono. Intanto Giovanna sospirava con [213] alto gemito e diceva: "Datemi soldati e lasciatemi partire, perché breve è il tempo concessomi. Iddio mi manda ed io gli devo obbedire". Gli furono dunque affidati trentamila soldati. Or Giovanna vestì abito virile perché disse <di> sentirsi così inspirata e aver ottenuto che in guardare a lei nessuno fosse trascinato a pensieri vili. Salì un bianco destriero e partì coi suoi da Tours327 e fu in breve a vista di Orleans e poi sotto alle sue mura. Da questo luogo Giovanna dettò una lettera che mandò al re ed al generale inglese con dire: "Mi manda il cielo; sgombrate la città o sopra di voi cadrà tal rovina che mai la peggiore". Ammonì per tre volte, e quei dentro deridendola con scherno maggiore, ella si dispose <ad> assaltarli.

 

  Aveva seco l'arcivescovo di Reims e molti sacerdoti. Rivolta ai soldati parlò: "In nome del Signore, doliamoci delle nostre colpe, confessiamo i peccati nostri, perché Dio ci benedica". Volle che nel giorno precedente allo assalto si confessassero tutti e si comunicassero. Intanto spuntò l'alba del giorno ottavo di maggio 1429. Giovanna intese che pochi soldati francesi erano stati feriti. Allora gridò ella: "Sparso il sangue francese!" Levossi poi come un leoncino, spronò il suo cavallo, venne avanti tutti e trovatasi già a presenza di Glacida, generalissimo delle truppe nemiche, gli gridò: "Mi manda il Signore; ritirati o incontrerai malamente". Alla quale rispondeva Glacida: "Accostati, fanatica e strega. Accostatevi tutti voi, seguaci di una indemoniata ed eretici". A tanto insulto gridò Giovanna ai suoi: "Avanti! Avanti! Il Signore è con noi!" Per la prima affrontò i pericoli, per la prima riempì i fossi e adagiata una scala superò le mura e rivolta a' suoi continuò: "Fuggono gli avversari, accorrete". Gli inglesi quasi percossi da luce sovrumana erano in quella di volgere le spalle. I francesi li inseguirono con rapida corsa e passarono fuor fuori colla spada ottomila di loro avversari impudenti. Giovanna volse lo sguardo a quei cumuli di cadaveri sparsi e pianse [214] di compassione. Appressò alle labbra un morso di - 723 -pane e poi gridò: "Avanti! Avanti, che ci rimangono altre battaglie; io cadrò ferita, ma non temete, mi rialzerò e noi vinceremo".

 

  Giunsero sotto le mura di Jargeau328; Giovanna scalò le mura e fu coperta da una pioggia di sassi. Cadde sotto il cavallo e fu ferita con un dardo che gli rimase infitto ad una spalla. Giovanna fu tratta fuori combattimento e fu lasciata, ma udendo che i suoi erano in pericolo, di sua mano strappò il ferro, lavò la ferita e salito il suo destriero si trovò avanti tutti. Tolse la bandiera da destra del suo alfiere e affrettossi innanzi a tutti gridando: "Il Signore è con noi!" Stese morti tremila nemici e poi si affrettò sopra Troyes329 con altra battaglia sanguinosa, finché fu a vista di Reims. Il nome di Giovanna era divenuto terribile. Tutta Europa ne parlava. Gli inglesi, scorati e infranti, abbandonarono la città senza porre resistenza. Giovanna, come di costume ad ogni vittoria, si inginocchiò con i suoi e rese vive azioni di grazie al cielo. Di poi venuta innanzi a Carlo sì gli parlò: "Sire, mio padrone, non vel dissi già che il Signore del cielo mi ha mandata perché siate incoronato a Reims? Or domani lo sarete con plauso universale del popolo e dello esercito". Quanto al duca di Borgogna che se n'era ito, mandò <a> dire: "Cessa dal perseguitare il tuo re, o se tu hai brama di portare le armi conducile contro ai saraceni, i nemici della croce del Salvatore".

 

  Rimaneva Parigi. Giovanna si affrettò e in passare per il suo paesello Domremi e per Greux disse330 al re: "Ve ne prego, eccettuate dalle imposizioni i due villaggi". In appressarsi a Parigi sospirò: "Io vo' combattere sino all'ultimo, ma le mie patrone celesti santa Catterina e santa Margherita mi hanno avvisata che qui mi aspettano pene gravi. Il cielo mi aiuti". Parigi si conservava ligia al potere inglese. Il duca di Borgogna vi s'era ricoverato. I nemici avevano adunate le proprie forze in estremo atto di difesa. Giovanna per [215] due - 724 -volte respinse con intrepidezza l'assalto nemico. Ma nel terzo scontro ricadde per tradimento, dicesi, di uno de' suoi. Sotto le mura di Parigi i signori dell'esercito, bramando attribuire a sé il vanto della vittoria, tolsero a comandare in persona e volsero, si riferisce, Giovanna in un'insidia pericolosissima. Ella sfuggì nondimeno e scampò nelle selve, ma presa da un soldato francese, certo Lionello, fu venduta al duca di Borgogna, il quale alla sua volta la vendette come un re agli inglesi.

 

  Or qui incominciano i maggiori patimenti per l'eroina. Rinchiusa in carcere, fu legata alle mani ed ai piedi con catene e stretta fra massi di legno, che le impedivano <di> muoversi, e fu sorvegliata da guardie che le cagionavano tormentosa noia. Finché gli inglesi tolsero a fare questo discorrere scellerato:  "Giovanna d'Arco, che è venuta come inviata dal cielo e ci ha sgominati cotanto, Giovanna bisogna rovinarla nella fama e nella vita e gettarla poi come un cencio da calpestare dalla Francia e dalle nazioni civili". Comperarono dunque giudici vili e gli imposero: "Condannate Giovanna o sarete voi stessi condannati". E questi adoperarono tutte le arti che ben sa scoprire un ingegno malevole e interessato. Circondarono Giovanna con un'insidia di settanta argomenti, ai quali doveva rispondere e poi con dodici articoli capziosi.

 

  Giovanna non era capace a leggere, non a scrivere. Sapeva il Pater, l'Ave, il Credo. Nondimeno seppe sì ben rispondere alle interrogazioni dei giudici che meglio non avrebbe potuto un esperto teologo. Certamente ella era ammaestrata dal cielo. Discopriva le insidie dei giudici, ne disfaceva i sofismi, ne rimproverava le indiscretezze e minacciandoli perfino aggiungeva: "Se io morrò, sarà per causa di voi. Io non so se voi abbiate o meno diritto a giudicarmi. Ad ogni modo io dal giudizio vostro appello al giudizio del papa, e se voi mi contrastate e che poi ve ne venga castigo da Dio, è bene che io ve n'abbia avvertiti".

 

  [216] I giudici infuriando maggiormente la condussero sul cimitero e disposero un rogo e gridarono: "Una delle due, o tu confessa d'aver disubbidito alla Chiesa o ti bruciamo viva in questo momento". Ella percossa dal terrore soggiunse: "Se in qualche cosa ho fallato, ne domando perdono". I giudici si - 725 -valsero di questo per dire che Giovanna si era confessata rea e già provvedevano per richiuderla per tutta la vita in una carcere penitenziaria. Le comparvero allora a Giovanna in atto di rimprovero santa Catterina e santa Margherita, onde la meschinella riscossa si presentò ai giudici sclamando: "Disdico quanto con violenza mi avete strappato; io non ho coscienza d'aver fatto altro allo infuori di quello che il Signore mi ha detto <che> operassi". Allora gli iniqui, fingendo accondiscendenza, gli porsero carta a <sotto>scrivere con segno di croce, dicendo essere quella una dichiarazione di fede ortodossa. Era invece un manoscritto nel quale Giovanna confessava aver sé commessa ogni sorta di delitto contro alla fede e contro alla umanità. Con questo documento i giudici gridarono al trionfo e tratto Giovanna alla pubblica piazza di Roano fu fatta salire sopra un palco. Un giudice da destra ed altro da sinistra sopra altri palchi recitarono lor discorsi di condanna. Un carnefice affisse dinanzi al palco di mezzo un cartellone sul quale si leggeva: "Giovanna, che si è fatta nominare la Pulzella, mentitrice, perniciosa, ingannatrice del popolo, indovina, superstiziosa, bestemmiatrice di Dio, miscredente della fede di Gesù Cristo, vantatrice, idolatra, crudele, dissoluta, invocatrice dei demoni, scismatica ed eretica". Un carnefice le applicò al capo un berretto rosso nel quale era scritto: "Eretica, recidiva, apostata, idolatra".

 

  A Giovanna avevano permesso i giudici che si comunicasse in quel mattino. Contraddizione! Ottocento soldati con accette l'avevano accompagnata ed or circondavanla. La folla di popolo rimanevasi muta e dolente. Un uomo si precipitava dalla folla e venuto [217] ai piedi di Giovanna pianse e le chiese perdono d'averla tradita. Molti lagrimavano. Giovanna rivoltasi a tutti disse: "Rispettate il re e voi, giudici e carnefici, perdonatemi se nella violenza del male vi ho detto parola di impazienza". Alcuni degli astanti uscirono in singhiozzi amarissimi, ma altri gridarono al carnefice: "Fa il tuo ufficio". Il rogo era acceso, Giovanna fu condotta e legata ad un albero che sorgeva dal mezzo della catasta. Il confessore fra Martino detto L'Advenu accompagnavala. Giovanna in scorgere le fiamme che già le erano vicine disse al confessore: - 726 - "Salvate la vita; da lungi poi mostratemi fino all'ultimo la croce a ciò che io ne abbia conforto". Indi gridò: "Ah Roano! Roano! Troppo io temo che tu per avermi uccisa sia poi castigata". Le fiamme l'avvolsero. Ella gridò alto: "Gesù! Gesù! Gesù!" Il popolo si sciolse in lagrime, accorsero per salvarla ma era spirata. Imprecarono ai giudici, dei quali taluni presi da un tremore si affrettarono <a> confessarsi al direttore di Giovanna stessa e chieder misericordia. Tutti gli altri perirono miseramente.

 

  Il re Carlo vii si scosse dalla sua indolenza e si ebbe rimorso della ingratitudine sua in non aver difesa la liberatrice della Francia. Tosto udita la morte di Giovanna d'Arco, Carlo chinò la fronte, si asciugò una lagrima e sorgendo disse:  "Chiamatemi tutti i giudici più incorrotti del regno e che rifacciano da capo il giudizio a Giovanna d'Arco, perché è giusto che sia riconosciuta al rispetto del mondo quella che ella è, la liberatrice di Francia, la verginella illustre e santa d'Orleans". Tosto si compierono in favore di Giovanna d'Arco 144 deposizioni. Fu conosciuta l'eroicità della sua vita. Si istituirono processioni anniversarie perpetue, si inaugurarono monumenti ad esternare le sante virtù della Pulzella.

 

  Ma l'odio fra le due nazioni inglese e francese non è ancor venuto meno fino ad oggidì. Francia poi fino ad oggidì si rese colpevole mentre, adulterando la [218] storia e calunniando le persone, attenta per far credere il peggio in danno di Giovanna d'Arco. Meschinella! Ha il torto d'aver avuto un cuore profondamente cattolico e questo non gli fu giammai perdonato dal Voltaire che, parigino di natali, francese per lingua, si mostrò sempre inglese di mente, russo331 di cuore.

 

  2. Francia ed Inghilterra potevano e dovevano apprendere il saggio regolarsi da montanari che incominciavano da costituire la Confederazione svizzera. Questi nel cuore e sulle labbra avevano la massima: "Dio e la patria!" E sulle proprie bandiere scrivevano: "Dio e la patria!"

 

  A Saxlen nel cantone di Unterwald è sotto l'altar maggiore - 727 -della chiesa par<r>occhiale lo scheletro di un guerriero, il quale è fregiato con decorazioni d'oro e di diamanti. Impugna la spada ed il rosario e si denomina dai paesani il frate Klaus, e più comunemente il beato Nicola di Flue.

 

  Svitto, Uri, Unterwalden332 s'unirono in confederazione. In breve vi s'aggiunsero Berna e Lucerna, Zug e Glarona e Appenzell. L'articolo fondamentale della confederazione era questo: "Uno per tutti e tutti per uno. Morrà chi avesse da vile a fuggire davanti allo inimico che assale il paese". Nicola da Flue in più scontri combatteva con la spada e con il rosario e ottenne medaglia d'oro di valor militare.

 

  3. Accadde che i primati di Lucerna congiurassero contro la federazione e che di poi l'imitassero quei di Zurigo. Un fanciullo ascoltò per caso il discorso dei traditori di Lucerna, i quali però lo costrinsero dicendo: "Giura che dirai niente a veruno o sei morto". Il fanciullo giurò, ma venuto alla sala dei buoni amici si rivolse alla stufa e le parlò: "Meschinella, i potentati di Lucerna hanno congiurato contro alla confederazione e tu sei minacciata di distruzione". Gli altri se n'avvidero e corsero alle armi. Il sacerdote Diboldo333 recavasi innanzi portando il Santissimo Sacramento, [219] intanto che le donne ed i fanciulli pregavano di cuore nella chiesa. I traditori della patria avevano chiamato i nemici tedeschi, ma i confederati collo aiuto di Dio li sconfissero uccidendo 80 conti e strappando 27 vessilli. Dopo aver combattuto, rendevano grazie al Signore ed erano tutta pietà in soccorrere ai feriti. I nemici stessi ne erano commossi ed un conte, dovendo eleggere il tutore ad un pupillo, consegnollo ad un confederato.

 

  Altra volta il duca Leopoldo venne e si piantò contro ai confederati con una selva compatta di lancie in quadrato di quattro ordini. Ma un soldato Arnoldo, dato uno sguardo a' suoi, gridò: "Pregate Dio, abbiate cura della mia famiglia e seguitemi". Proferito questo discorso, si scagliò come un leone entro a quell'esercito, strappò lancie e si aprì un varco. Gli - 728 -altri tennero dietro maneggiando poi orribilmente la spada da destra e da sinistra, uccisero lo stesso Leopoldo e costrinsero gli austriaci a ritirarsi. Dopo la vittoria intuonarono un cantico di ringraziamento a Dio, alla Vergine, a san Fridolino334, e non avevano fine a sclamare: "Viva Dio e la patria!"

 

  4. Nicola da Flue, contadino semplice e buon padre di famiglia, ordinò le cose della famiglia e poi disse: "Iddio mi chiama, io me ne vado". Si ritrasse in solitudine a Liestall e ritornò poi nuovamente presso ai suoi, ma visse in silenzio con Dio. Abitava una grotta. Passava le ore del in orazione fino a mezzogiorno e nelle ore di poi trascorreva su per monti in dar lode allo Altissimo. Posava il capo di notte sur un sacco e si levava sollecito alla preghiera. Per vent'anni visse del solo cibo eucaristico.

 

  Il vescovo di Costanza mandò giudici a verificare. Questi gli imposero di cenare con loro ed egli obbedì, ma assaggiato un boccone parve morirne. Fu dunque lasciato in pace. L'arciduca Sigismondo alla sua volta mandò medici accreditati. Nicola con l'esempio e con il discorso diceva: "Amate Dio e il paese, vivete semplicemente [220]nella carità di Gesù Cristo salvatore nostro".

 

  5. In Piccardia viveva santa Coletta335, o Nicoletta, la quale seguendo una via di umiltà e di mortificazione profonda attese per ridurre alla stretta osservanza la numerosa famiglia di san Francesco. Era gran bisogno di esempi così illustri perché lo spirito di Satana, che è spirito di menzogna, di inganno, si propagava nel mondo mercé gli errori di Wiclefo e di Giovanni Hus. Questi rendevano odioso il clero e facevano che ognuno interpretasse pure a proprio giudizio la Bibbia.

 

  Nella Boemia si rese terribile tal Ziska, guercio dell'occhio destro, che nel regno atterrò 550 monasteri trucidandone in buona parte i religiosi. Anch'egli si costituì capo di fazione religiosa, che poi si moltiplicarono in quelle dei calistini, dei taboriti, degli orebiti, i più crudeli di tutti, che a guisa di belve - 729 -sanguinarie intridevano le mani nel sangue dei fratelli. Dicesi che Ziska in morire imponesse di formare con la sua pelle un tamburro battente per discorrere in stragi continue.

 

  Malgrado tanti loro eccessi, mandarono loro proposte per partecipare al concilio che si teneva in Basilea e fu loro conceduto il salvacondotto perché venissero pure in numero di trecento. Era proverbio che un boemo ha dentro di sé almeno cento demonii. Quei di Basilea in fissare su quei volti torvi e su di Procopio, il capo che era ancor bagnato da tanto sangue, ne inorridivano. Entrati nel concilio nel gennaio336 1432, esposero quattro tesi sulla Comunione sotto le due specie, sul337 predicare semplicemente e con verità il Vangelo, sul punire i peccati pub<b>lici commessi sotto pretesto di religione, sul togliere ai chierici il governo della repubblica.

 

  I loro teologi difesero quattro di queste loro proposizioni finché, infiammandosi gli spiriti e temendo di una conflagrazione, vennero ad una conferenza amichevole e conchiusero più cose in favore della fede e dei boemi, i quali in parte si ritrassero dai [221] loro errori, gli altri caddero poi sotto il ferro dei propri avversari e così la Boemia ritornò provincia ecclesiastica e fra tutte salda nella religione.

 

  6. Un Roquesane nondimeno cagionò dispiaceri. Eletto alla sede arcivescovile di Praga, minacciò <di> rinnovare gli errori condannati, ma quei del popolo gridarono: "Noi lo sacrificheremo dinanzi allo altare". La Boemia invero era una sentina di tutti i vizii e di tutte le superstizioni, ma Enea Silvio, più tardi Pio ii338, e di poi san Giovanni da Capistrano con la facondia del discorso e con la potenza dei miracoli convertirono quelle genti. Venne in soccorso una buona maestra, la pestilenza.

 

  7. Un esempio preclaro di virtù appariva altresì in Italia nella persona di santa Francesca Romana, che forzata a sposare Lorenzo di Ponzani339 ebbe figli, fra i quali certo Evange

 

- 730 -lista che visse come angelo in carne. La vita di Francesca era nel mortificarsi e patire, finché indusse lo sposo a fare con lei voto di continenza.

 

  Di santa Francesca abbiamo la vita scrittane dal suo confessore in tre libri e sono della sua vita interiore, delle sue visioni, delle lotte sue con i demonii. In visione fu portata allo inferno per misurarvi le pene dei superbi, degli avari, degli incontinenti, dei bestemmiatori. Nel purgatorio scorse il tormento delle anime penanti e nel paradiso vide la gloria che circonda gli ordini dei santi.

 

  Francesca non bevé vino, non mangiava carni ovvero uova o latte o pesce. Portava un doppio cilizio con cintura di crine e con un cerchio di ferro. Morendo il marito, venne genuflessa dinanzi alle compagne chiamate le oblate e pregolle <di> riceverla insieme per offrirsi intieramente a Dio a mezzo di Maria.

 

  Santa Francesca Romana predisse al pontefice Eugenio i disturbi che gli avrebbero cagionati i Colonna, nipoti di papa Martino, non che i congregati nel concilio di Basilea. Quanto ai Colonna, rapito il meglio delle dignità e del tesoro alla morte di Martino, vennero armata [222]mano contro al pontefice, finché si ritrassero attoniti dalla maestà di Eugenio, iv di questo nome.

 

  8. Quei di Basilea cominciarono male in convocare un concilio nel tempo e nel modo non voluto dal pontefice. Non furono lodevoli in accogliere i boemi e dir loro che sarebbero stati giudicati conforme alla inspirazione dello Spirito Santo, mentre già lo furono giudicati nel concilio di Siena e di Costanza. Operarono peggio quando, a vece di sospendere il concilio come il pontefice ordinava, essi pretesero tre articoli di fede con dire che il concilio generale è superiore al papa, che il pontefice non può o sospendere o trasferire un concilio senza il consenso dei congregati, che eretico è chi non crede tutto ciò. Il pontefice Eugenio adoperò le industrie più accurate di una viva carità per indurli al dovere, ma non riuscendo pronunciò essere questo di Basilea non concilio, ma conciliabolo.

 

  9. Eugenio iv alla sua volta convocò concilio a Ferrara che poi trasferì a Firenze. Vi assistevano san Lorenzo Giustinani - 731 -ed il beato Nicola Albergati. Giovanni il Paleologo, imperatore di Costantinopoli che era venuto per abbracciare l'unione, fu posto a sedere in un trono inferiore a quello del pontefice e di fronte a quello dello imperatore dei romani. Sotto al seggio dell'imperatore era il seggio del patriarca Giuseppe, ottuagenario. Il dotto Bessarione commendò la dottrina dei latini e parlò manifestando che le pretese ragioni dello scisma non erano che sofismi che or si volevano affatto levare, che i sacri dottori son d'accordo negli insegnamenti, che dove uno è meno chiaro si dovesse consultare e attenersi a chi insinua più lucidamente, che dicendosi il Figlio procedere dal Padre si intende per causa intermedia340, che nella sostanza di dottrina greci e latini convengono. Dieci metropolitani e quattro patriarchi341 convenivano. Questo di Costantinopoli, sentendosi venir meno, alla sera del [223] 9 giugno 1437 espose la sua dichiarazione di fede e fu poi trovato morto su quella. Gli furono fatti solenni funerali. Eugenio pontefice, ringraziando con lagrime Iddio e i presenti, espose il decreto di unione che poi pub<b>licò a tutta la terra.

 

  Eugenio iv, continuando il suo concilio a Firenze, ricevette in agosto del 1441 un'ambasceria degli armeni e degli etiopi, i quali si dolsero dolcemente che i pontefici giammai li avessero salutati con lettere, ed or supplicavano ché loro, discendenti dalla regina <di> Saba e dall'eunuco della regina Candace ma di questi tanto inferiori, pure li ricevessero in quella nobile adunanza e ascoltassero le loro preghiere. Altri ambasciatori giunsero dalle rive del Tigri e dell'Eufrate e dal paese di Aram, patria di Abramo.

 

  Il pontefice invia poi a quei popoli cardinali legati e missionari con doni, sì per confortare i credenti che per convertire gli erranti, sovrat<t>utto gli eretici nestoriani. E rivoltosi a sant'Antonino arcivescovo di Firenze disse: "Crescete pure nella virtù, strappate i vizii e gli abusi dal popolo, siatelo - 732 -pure Antonino il consigliere, continuate nelle vostre fondazioni, a ciò per mezzo vostro si abbia bene la Chiesa d'Italia e di tutto il mondo".

 

  Le ambascerie degli orientali suddetti erano state inviate dai missionari, spediti da san Bernardino in quelle parti mentre era <vicario> generale dell'ordine <francescano>342. Bernardino a questo punto chinò il capo, si incurvò alla terra e disse: "Padre, ho manifestato il vostro nome agli uomini ed ora vengo a voi"343. In dirlo volò al cielo. Il pontefice Eugenio, che pur tanto aveva faticato per la Chiesa, alla sua volta chiese perdono con lagrime a' suoi famigliari e chiuse gli occhi mentre sentiva dirsi: "Partiti, o anima cristiana...". Così gli eroici durano alla fatica sino all'ultimo. Viva la fatica che forma gli eroi intrepidi, i cristiani santi!

 

Riflessi

 

1. [224] Nascita, azioni, morte di Giovanna d'Arco. Si riforma il giudizio di Giovanna d'Arco.

2. Principii della Confederazione svizzera.

3. Tradimento scoperto e riparato.

4. San Nicola da Flue.

5. Boemi e adunanza di Basilea.

6. Roquesane in Boemia.

7. Santa Francesca Romana.

8. Quello di Basilea è conciliabolo.

9. Concilio di Firenze.





p. 720
325 Originale: Romè; cfr. Rohrbacher XI, p. 271.



p. 721
326 Per l'integrazione cfr. Rohrbacher XI, p. 278.



p. 722
327 Originale: Toul; cfr. Rohrbacher XI, p. 292.



p. 723
328 Originale: Argeau; cfr. Rohrbacher XI, p. 311.



329 Originale: Troys; cfr. Rohrbacher XI, p. 314.



330 Originale: per il suo paesello e Domremi e Greuxi disse.



p. 726
331 Originale: rozzo; cfr. Rohrbacher XI, p. 361.



p. 727
332 In Rohrbacher XI, p. 362: «Unterwald»; cfr. Nota 239.



333 Originale: Deboldo; cfr. Rohrbacher XI, p. 362.



p. 728
334 Originale: Fidolino; cfr. Rohrbacher XI, p. 365.



335 Originale: Caletta; cfr. Rohrbacher XI, p. 375.



p. 729
336 Originale: nello agosto; cfr. Rohrbacher XI, p. 385.



337 Originale: nel.



338 Originale: Giulio II; cfr. Rohrbacher XI, p. 394.



339 Originale: Luigi di Ponzoni; cfr. Rohrbacher XI, p. 403.



p. 731
340 Diversamente in Rohrbacher XI, p. 474: «Quando i Padri orientali dicono che lo Spirtito Santo procede dal Padre pel Figliuolo, questa proposizione per significa una causa immediata».



341 Originale: Dieci metropolitani di quattro patriarchi.



p. 732
342 Per le integrazioni cfr. Rohrbacher XI, p. 509.



343 Gv 17, 6.13.



«»

IntraText® (VA2) Copyright 2015-2025 EuloTech SRL
Copyright 2015 Nuove Frontiere Editrice - Vicolo Clementi 41 - 00148 Roma