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IL TERZ'ORDINE DI SAN FRANCESCO E L'ENCICLICA DEL PONTEFICE LEONE XIII XVI. Sposa fedele, la castità |
XVI.
[105]È una sposa eletta fra tutte, la castità. Chi la possiede è beato. Lo dice il Signore: "Beati i mondi di cuore perché vedranno Dio"108. La castità è propria di ogni condizione nella società cristiana, ma è praticata in alto grado dai cristiani di vita religiosa. Produce poi beni innumerevoli di spirito e di corpo. Francesco si unì alla castità come a sposa fedelissima. Volle che i suoi imitassero il saggio proposito.
Il sommo pontefice Leone xiii nella enciclica all'episcopato
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dell'orbe cattolico, parlando del Terz'ordine, dice: "Utilità grandi, è agevole il comprenderlo, dovettero scaturire da siffatta istituzione salutare in se stessa e mirabilmente opportuna a quei tempi. Della quale opportunità questo stesso fa fede, che altre associazioni somiglianti germogliarono e dalla famiglia domenicana e da altri Ordini religiosi. Inoltre è il fatto che parla: conciossiaché in gran numero, [106]dagli imi ai sommi, pieni di ardore e di zelo correvano a professare il Terz'ordine di san Francesco. Furono tra i primi il santo re di Francia Luigi ix e l'eroica santa Elisabetta d'Ungheria; dietro a questi vennero, coll'andar degli anni, molti pontefici e cardinali e vescovi e re e principi, i quali tutti stimarono così convenevole alla loro dignità il modesto abito francescano".
Spiegano i dottori sacri che di ogni domestica virtù e civile ornamento carissimo è la castità. Tanto un cristiano è fedele esemplare, quanto egli è casto. Francesco, sentendo in sé fiamma molesta, si buttava in tempo di crudo verno nella neve, fra le spine. Quando in Egitto iniqua persona venne a tentarlo, egli accese un fuoco vorticoso e poi vi si distese entro e disse: "Ecco il luogo che a me conviene; ho scelto questo fuoco per evitare altri fuochi. Se quelli vi bruciano, non è acqua che sia sì propria ad estinguerli quanto questo". Iddio salvò miracolosamente il suo servo. La trista poi gridò misericordia e divenne penitente sincera. Eguale prova pose in atto Francesco quando, predicando alla corte dell'imperator [107]Federico ii in Bari, l'iniquo sovrano mandò a lui persona con intendimento malo. Francesco esortava tutti alla austerità dicendo: "Nostro Signore lodò san Giovanni Battista perché portava un ruvido vestimento. Secondo le sue parole, coloro che vanno mollemente vestiti dimoran nelle case de' principi109, ma non dev'essere così nelle capanne dei poveri. So per esperienza che i demoni fuggono quelli i quali menano una vita austera, e san Paolo insegna che quelli i quali son di Gesù Cristo han crocifissa la loro carne co' vizi e con le
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concupiscenze"110. Donava ai suoi questi saggi consigli: "Fratelli miei, noi dobbiamo evitare con gran diligenza le confabulazioni e la famigliarità con le donne, nemmeno riguardarle, tanto più perché veggiamo che con ciò si perdono i deboli e i forti s'indeboliscono. Se non è uno che sia d'una virtù molto sperimentata, io son persuaso esser tanto difficile il conversar con111 esse senza trarne contagio, quanto il camminar in sulle bragie, come dice la Scrittura, senza brugiarsi la pianta dei piedi112. Egli è cosa pericolosa il portar dentro se stesso delle immagini atte a risvegliare113 il fuoco d'una carne già domata e ad imbrattare il candore [108]di un'anima casta. Vano114 e frivolo egli è il trattenersi con le femmine, se pure non è per sentire le loro Confessioni e per dar loro salutari avvertimenti o per qualche ragionevole convenienza, ma è d'uopo anche in questi casi sbrigarsi con poche parole. Qual altro affare può mai avere un religioso a trattar con esse? La troppa sicurezza fa che meno <ci> riguardiamo dalle insidie del nemico, e se il demonio può aver nell'uomo qualche cosa, ancorché picciola come un capello, la farà egli ben presto divenir grossa al par d'un trave".
Per indurre i suoi a guardarsi dall'ozio, che è padre dei vizii115, diceva: "Voglio che i miei frati lavorino e si occupino in qualche cosa, perché temo che standosene oziosi non impieghino in cose illecite il cuore e la lingua. Chi vuol vivere delle altrui fatiche senza far nulla, merita di esser chiamato frà mosca, poiché, nulla facendo di buono e le cose buone guastando, a tutti si rende spregevole ed odioso".
Ai disoccupati diceva quello dell'Apocalisse, diceva: "Perché - 167 -sei tepido comincerò a vomitarti dalla mia bocca"116. Per indurli al silenzio diceva quello del Savio: "La vita e la morte sono in potere della lingua"117. In questo modo voleva [109]Francesco che i suoi custodissero attentamente i sensi del corpo e dello spirito per non perdere un tesoro massimo, la castità. Con la castità dice il Signore che vengono tutti i beni118.
Il sommo pontefice Leone xiii descrive così i beni che dai cristiani casti del Terz'ordine ne vennero alla società: "Né era immeritata lode (questa che gli prodigavano i popoli). Imperocché poderoso aiuto al pubblico ben essere veniva da quel ceto di persone che, tenendo fisso119 lo sguardo alle virtù e alle leggi del loro fondatore, si adoperavano al possibile a far rifiorire in seno alle corrotte città i pregi della vita cristiana.
Certo, grazie all'opera ed all'esempio dei terziarii, si videro spesso estinte o mitigate le discordie di parte, tolte di mano ai faziosi le armi, allontanate le cagioni di litigi e contese, procacciati sollievi agl'indigenti, ai derelitti; frenato il lusso divoratore delle sostanze, corrompitore dei costumi. Onde la domestica pace e la tranquillità pubblica, l'integrità e la mansuetudine, il retto uso e la tutela della proprietà, che sono i migliori elementi di civiltà e di benessere, rampollano, come da propria radice, dal [110]terzo Ordine, e se cotesti beni non andarono perduti, l'Europa dev'esserne in gran parte riconoscente a Francesco. Ma sovra ad ogni altro paese va debitrice a Francesco l'Italia, la quale come fu più particolarmente il teatro delle sue virtù, così ne sperimentò più che mai i benefici effetti... Vagì dolcemente sul suo labbro la nascente favella italica; carità e poesia spirano potentemente in quei cantici popolari, cui la dotta posterità trovò non indegni di ammirazione. Sublime e più che mortale alimento trasse dalle memorie di Francesco il genio italiano, talché sommi artisti gareggiarono chi meglio ne ritraesse le mirabili geste in opere di
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pittura, di scultura, di intaglio. Francesco ispirò all'Alighieri uno de' suoi canti più pieni di forza e di leggiadria ad un tempo, al pennello di Cimabue e di Giotto composizioni di una grazia e semplicità inarrivabili, a rinomati architetti il disegno di grandiosi monumenti eretti o sulla tomba del Poverello o sulla chiesa di santa Maria degli Angeli, che era stata testimone di tante e sì stupende meraviglie. E a questi santuarii traggono da ogni parte pellegrini a onorare l'umbro patriarca de' poveri, nel quale, in ragione dell'estrema povertà [111]di beni terreni, sovrabbondò per divina misericordia la dovizia dei doni celesti". Così in breve descrive il sommo pontefice le buone virtù e le buone opere dei cristiani casti.
Specchiamoci in quelle virtù e in quelle opere e preghiamo il cielo che ci conforti ad imitarle.