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MEMORIE PASSATE E PRESENTI INTORNO ALLA ROCCA DI MUSSO IMPRESSIONI DEL VISITATORE Capitolo I Una figura pietosa |
Capitolo I
[5]Un personaggio di venerando aspetto, quasi colomba gemente nei forami dello scoglio3, vegliava in stagioni tempestose del 1500 all'alto della rocca di Musso, presso il tempietto di sant'Eufemia. Gli piove giù dal mento una barba fitta e bianca come neve, ha il viso contratto per molte sofferenze, gli occhi sono incavati per lungo esercizio del leggere, e la fronte ha coperta di profonde pieghe per l'abito continuo del meditare. Il personaggio nostro è venerando altresì per quell'ampia canizie che in lui cagionarono timori ripetuti e fervide brame di un cuore profondamente religioso. Veste da ecclesiastico con semplice tonaca di nero saio. Imbraccia una zimarra di velluto paonazzo orlata in bianco, quando si faccia a visitare il castellano nelle sue sale d'udienza. Nato a Davos, fu abate di San Lucio4 e poi vicario generale del vescovo di Coira, e si chiamava Teodoro Schlegel.
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Questi sentivasi trafiggere il cuore in iscorgere che i molti governi dei cantoni svizzeri favorivano le rivoluzioni eretiche di [6]Zuinglio e Calvino, e per non vedere la patria bagnarsi nel sangue de' suoi figli era accorso se mai il Giangiacomo Medici, valorosissimo capitano, avesse potuto prestargli soccorso per iscongiurare dal paese una calamità estrema. Il Medici aveva operato prodigi di valore a Lecco ed a Como e lunghesso le riviere del massimo Lario, fino a Chiavenna ed a Morbegno. Dei fatti avvenuti in quest'ultima borgata scrive il Rebuschini5: "Di questa meravigliosa vittoria sopra Morbegno diede il Medici relazione a tutti i principi d'Italia ai quali credeva dovesse riuscire graditissima, veggendo da sì piccole forze fiaccato l'orgoglio di una nazione feroce e nemica del nome italiano, ed in particolare al pontefice, per essersi i Grigioni staccati dalla Chiesa cattolica onde abbracciare la Riforma evangelica". Teodoro Schlegel mirava dunque a collegare gli sforzi dei cattolici ancor fedeli al forte nerbo dei soldati di Giangiacomo e così salvare la patria ma, scoperto, n'ebbe l'esiglio dal paese e la taglia sul capo. Onde sconsolato stavasi presso al castellano, confortava nella fede il Medici stesso co' suoi mille prodi e scriveva in confutazione del libro di Lutero La schiavitù babilonica.
Ed ecco al mattino di un mestissimo giorno le campane del tempio di Musso e delle chiese al lido, non che quelle di San [7]Rocco e Sant'Eufemia stessa, incominciano lamenti funebri. Rispondono con suono mesto i sacri bronzi di Dongo e di più altri paesi circonvicini. Teodoro Schlegel scende a benedire nella chiesa del lido il cadavere dei capitani Borserio e Casanova, caduti l'ieri nella battaglia navale di Bellagio. Risale poi su cantando il vecchio sacerdote, e le sorelle del Medici, Margherita e Clara, e le cugine dello
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stesso, Laura e Cecilia Serbelloni, che in una casa di Musso vivevano vita quasi monastica, si accompagnano al corteo avvolte nei loro fitti veli. Attendevano, sul piazzale del tempio di san Biagio, Giangiacomo ed una eletta di sacerdoti e di religiosi. I soldati del capitano, il popolo numeroso, accorso dalle terre circonvicine, si assiepava<no> allo intorno. Si celebrarono con mestissimo rito gli uffici funebri, il cancellier Lucio recitò un discorso in lode dei valorosi che caddero e si diede loro sepoltura, dopo di che Teodoro si ritrasse alla solitudine e gemette dicendo: "Fino a quando, o Signore vi saranno tante guerre e tanto sangue?".
Giangiacomo Medici fece distribuire generose oblazioni ai conventi ed al popolo, e si dispose a nuove battaglie. Si difese con intrepido valore nel suo castello di Monguzzo presso Lecco, ma vi perdette il proprio fratello Gabriele, e Battista, altro fratel diletto, cadde nelle mani nemiche. [8]Teodoro Schlegel si inchinò alla terra e pregò: "Ricevimi nel tuo seno, madre pietosa!". Giangiacomo gridò: "Sono immagine di leone ferito, ma non vinto. Orsù, io lascio il forte di Musso per la contea di Marignano, ma il grido del sovrano della foresta si farà udire nello scuotere avversari di più altre terre e spingerli in più rapida fuga". Si incamminò e divenne generale degli eserciti di Carlo v. Il suolo parve tremare sotto a' suoi piedi, ma finalmente la terra gli aprì un vano, Giangiacomo vi entrò supplicando il cielo con dire: "Perdonate, Iddio, perché fui magnanimo". Un sepolcro monumentale fu eretto a lui ed a Gabriele nel tempio massimo della città di Milano.
Due figure illustrissime compaiono fra l'altre e pregano su quella tomba con la pietà di un angelo. Un sacerdote offre in ogni mattino fino in perpetuo il santo Sacrifizio. Le due persone che supplicano genuflesse sono il Vicario di Gesù Cristo in terra, il pontefice Pio iv, fratello a Giangiacomo ed a Gabriele, ed il nipote loro Carlo Borromeo, cardinale arcivescovo e santo, del quale la città di Milano e Lombardia e Italia intiera dispongono in questi dì feste solennissime per celebrare con trionfo il terzo centenario del felice suo transito di quaggiù.- 801 -
Sulla rocca di Musso vivissima immagine [9]di pietà è quella dell'Agnello di Giovanni Battista. Quante memorie e quante immagini presso una rocca di monte! Preghiamo. Qui è il monumento pietoso di una gran croce nera che campeggia sopra una parete di marmo, cinta dei fiori piangenti di riviera. Sotto a quel segno di salute si legge:
accoppiando l'arte e la natura
su questa rupe sparse il profumo dei fiori
ch'ei coltivò con delicato cuore6
e da questa zolla
al tramonto del 26 agosto 1883
improvviso chiamollo iddio alla eterna vita7.
In Milano sulla tomba di Giangiacomo è scritto: Io<anni> Iacobo Medici march<ioni> Meregnani eximii animi et consilii viro multis victoriis per totam fere Europam partis apud omnes gentes clarissimo cum ad exitum vitae anno aetatis LX pervenisset.
Ivi stesso si legge:
Gabrieli Medici ingenii et fortitudinis eximiae adolescenti post cladem Rhetis et Francisco secundo Sfortiae illatam navali praelio dum vincit cum invicti animi gloria interfecto.